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Da I più non ritornano - Diario di ventotto giorni in una sacca sul fronte russo (1942-43), Eugenio Corti, Mursia Editore, Milano, 1990
Mentre camminavo, mi superò un soldato che montava a pelo un cavallo agricolo russo; si arrestò brevemente per dirmi: "Il Comando tedesco comunica che entro mezz'ora arriveranno le colonne di panzer." Non credevo ai miei orecchi, mi feci ripetere l'annuncio: il soldato veniva proprio dal Comando tedesco.
Mi invase una grande allegrezza, sebbene le continue delusioni dei giorni precedenti m'indussero a diffidare. Credetti all'arrivo dei panzer, anche perché volevo crederci.
Avevo attraversato quasi per intero il fondo valle, ed ero abbastanza vicino a una delle isbe che intendevo raggiungere, quando scorsi un sottotenente italiano seduto tutto solo sulla neve al margine della strada; come arrivai alla sua altezza, mi fece un fuggevole cenno di saluto con la mano.
Aveva in faccia un mesto sorriso. Risposi al suo saluto, e "Mi pare di conoscerti" gli dissi, "chi sei?" Mi disse il suo nome, e che apparteneva al mio stesso Raggruppamento, 60º Gruppo. Ricordai allora che ci eravamo presentati non molti giorni prima.
"Sai" continuò, sempre con quel malinconico sorriso, "mi hanno preso." "Dove?" "Al ventre." "È uscita la pallottola?" "No."
Tacqui un momento: era condannato a morire entro poche ore.
"Coraggio, una ferita al ventre non è poi così grave" gli dissi quanto mai stupidamente, al fine di rincuorarlo. "Lo so" mi rispose assecondandomi.
"Del resto" soggiunsi, "sai che stanno per arrivare i panzer?" "Lo so, ho sentito. Speriamo arrivino presto, perché se no, per me..." e tentennò il capo, accentuando quel sorriso.
Incapace di dire qualcosa d'adeguato, lo salutai: "Beh, ciao", e ripresi a camminare.
Rimase seduto in silenzio al margine della strada; ogni tanto si guardava intorno.
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