Ritornavano a essere protagonisti il fante, lo scarpone, la trincea, il reticolato, il fucile e la bomba a mano, l'attacco e il contrattacco alla baionetta.
Il nemico: la sua immagine assumeva forma concreta. Lo sentivamo vicino. Presto lo avremmo avuto di fronte.
E non sarebbe stata la massa inerme, avvilita, sconfitta, umiliata, conveniente cornice alla nostra trionfale parata.
Bensì il nemico in armi, forte, potente, ferocemente determinato a difendere la sua terra, la casa, la famiglia e l'onore, a vendicare i padri, i fratelli e i figli uccisi, le donne stuprate, le città distrutte, le terre devastate; deciso a fermare, a ricacciare, a distruggere l'odioso invasore.
Cioè noi.
Perché invasori non erano soltanto i tedeschi, tremendi professionisti dell'aggressione, della distruzione e del genocidio, ma anche noi bravi ragazzi italiani, caciaroni, noi che la guerra la odiavamo, checché ne dicesse la propaganda fascista, noi che la guerra la consideravamo un male, necessario soltanto per difendere la terra, la casa, la famiglia e l'onore, proprio come stavano facendo loro, i russi.