Da Cento lettere dalla Russia, 1942-1943, Guido Vettorazzo, Museo Storico Italiano della Guerra, Rovereto, 2004

 

Izjum, 6 settembre 1942

 

Domenica. Vi sembrerà strano ma qui non si sente né il giorno feriale né il giorno festivo: tutti uguali. Contro ogni previsione, però, oggi abbiamo potuto assistere alla S. Messa celebrata dal Capp[ellano] Mil[itare] di un ospedale da campo. Qui non arriva posta, non c'è radio, non ci sono strade importanti, niente! Siamo isolati completamente e tutto quel che sappiamo del mondo si riduce a poco o niente.

Di tanto in tanto arriva qualche motociclista con qualche ordine e gli si chiedono le novità, come va colle operazioni, i bollettini, ecc., si dice, pare, credo, mi potrei però sbagliare... È un gran brutto vivere, così, sebbene si stia benone per clima, per tempo, per mangiatoia e per abitanti. Gran buona gente, qui; sebbene in grande miseria, causa la guerra, ci vedono e accolgono bene, specie noi alpini, buoni camerati e fraterni con tutti. Ieri io e il mio attendente, in un giro per un gran campo, già minato, in un'ansa del Donez abbiamo aiutato un vecchio pescatore a tirare a riva le reti. Ci diede del pesce, noi gli offrimmo del tabacco, che incominciò subito a fumare voluttuosamente, facendo sigarette con della cartaccia da giornale. Era un ex combattente della [prima] guerra mondiale e conosceva un po' il tedesco. Si parlò un po', aiutandosi con segni e motti: si congedò calorosamente da noi, facendoci auguri di ritornare presto in Patria, sani e vittoriosi, e finì così, storpiando un po' le parole che però intesi bene: "Eh, Stalin schnell kaput, krieg fertig!"

Altre novità da qui? L'altra notte (4-5 [settembre]) per l'imprudenza di qualche soldato prese fuoco, verso le 24, un grande capannone, sul tipo dei nostri, nel quale dormivano dei reparti di fanteria appena arrivati. Sono case di legno con qualche po' di calce sulle pareti, immaginate un po' che falò: in due ore non ci fu più niente. Parecchi, anche ufficiali, rimasero in braghe di tela, perdendo zaino e bagaglio; acqua non ce n'era che pochissima, (censura).

È andata così. E fortuna che riuscimmo a sgombrare in fretta un deposito di munizioni lì vicino! Qui presso a noi sono giunti ieri alcuni reparti di volontari caucasici inquadrati da ufficiali tedeschi: sono piccoletti, con occhietti da mongoli, vestiti come i Tedeschi, gente semplice e calma, a quanto pare. Alla sera sono sparatorie e fantasie gioiose, accompagnate da strimpellare di non so che strumenti e da certi canti sul tipo arabo... Immaginate?

Paracadutisti e aerei niente, posta da voi neppure, che vi devo dire d'altro?

Salutatemi tutti, in particolare [il] Preside e fam[iglia], professori, vicini, ecc.

 

Baci a tutti voi: Guido

 

Una scenetta: poco fa sono uscito per sparacchiare qualche colpo alle anitre. Per strada ho trovato - presso una casetta - un bimbetto, collega di Gianfranco: avrà avuto neanche due anni, biondo, nudo come un vermiciattolo, con solo una giacchettina corta corta e sbottonata. Era sudicio sudicio, anzichenò e, particolare degno di rilievo, aveva un bel pancino gonfio, macchiato in più parti con del color viola, di matita copiativa o di inchiostro da timbri. Dio sa come e dove abbia trovato quella tinta. Immaginate la scenetta e quanto ridessi io a vedere quel cosino conciato a quel modo.

Mi mugolò qualcosa che non capii, naturalmente, e poi si mise a seguirmi, ridendo a lanciando piccole grida indistinte. Capii l'antifona: gli diedi un paio di dadi di cioccolato che avevo in tasca. Mi sorrise, fece dietro front e ritornò sui suoi passi, contento, coi suoi piedini nudi e neri e col suo pancino imbrattato di viola. Cosa ne dice Gianfranchino? Ride anche lui? Tutti uguali, i bimbi, anche i russi.

 

 

 


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