Da Portaferiti in Russia 1942-1943, Giuseppe Bortolo Maddalena, Longanesi, Milano, 1971

 

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Il nostro morale era un po' allegro e un po' turbato. La bramosia del lungo viaggio ci illudeva, il pensiero delle nostre famiglie ci opprimeva.

Certo una guerra è sempre una guerra, ma l'entusiasmo dei giovani è sempre una cosa meravigliosa. Non eravamo sicuri di ritornare, ma eravamo sicuri di vincere; avevamo nel sangue iniettatoci a scuola nei primi anni della nostra vita l'orgoglio della vittoria della Prima Guerra Mondiale riportata dai nostri padri (il cui mezzo milione di morti ormai non contava più nulla) e la quotidiana propaganda esaltatrice.

Noi soldati, dal canto nostro, pregustavamo in anticipo la nostra fetta di torta, cioè la parte di gloria che ci aspettava alla fine della guerra. [...]

Quasi tutti sventolavano il fazzoletto per salutarci, qualcuno piangeva, forse tutti avrebbero voluto fermare quel treno. Ma no, signori, che dico? Se si vede un bambino camminare sull'orlo di un precipizio gli si grida forte: "Ehi, bambino, tirati in la [sic], potresti cadere."

Qui eravamo in cento, in mille sull'orlo di un tremendo precipizio, eppure nessuno poteva gridare: "Ehi, macchinista, ferma quel treno."

 

 


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