Da Non prendere freddo - Il racconto di un reduce del Corpo di Spedizione Italiano in Russia

Luciano Vigo, Gianni Iuculano Editore, 2000

 

Non prendere freddo copertinaPer Soldati, in fondo, fu quello uno dei migliori periodi della guerra: mangiava il vitto della mensa del colonnello, dormiva al riparo e al caldo, ragionevolmente lontano dalle pallottole, e senza niente da fare tutto il santo giorno. La sola grande sofferenza per lui, accanito fumatore, era la mancanza di sigarette.

Da tempo ormai non veniva più distribuita la razione giornaliera di tabacco, quelle quattro schifose Milit che bruciavano la gola e sapevano di pepe.

La mia scorta personale di ottime sigarette comperate ancora in estate [1941, n.d.r.], in Rumenia, era finita prima del previsto poiché Soldati, al quale avevo affidato la chiave della mia cassetta affinché mi tenesse in ordine il corredo, se le era fumate tutte, giorno dopo giorno, di nascosto. Quando mi confessò che erano tutte finite non ebbi il coraggio di punirlo, né avrei potuto comunque infliggergli punizione più grave di quanto era per lui la forzata astinenza, interrotta di tanto in tanto da qualche tirata strappata a qualche compagno generoso, a furia di implorazioni e piagnistei.

È incredibile quanto forte sia la voglia di fumare, più forte - per alcuni - persino della fame.

La prima cosa che ci chiedevano i prigionieri russi, prima ancora del pane, era la sigaretta: papirosh.

Per un pacchetto di Nazionali il contadino ucraino si vendeva le poche cose di valore rimastegli. Ricordo che in un bazar improvvisato in uno dei tanti villaggi ucraini c'era un vecchio contadino che offriva in vendita, come unica sua mercanzia, un vetusto grammofono a tromba e ne chiedeva un prezzo esorbitante in marchi di occupazione: qualcosa come un milione di lire di oggi, ma era pronto a cederlo per dieci sigarette. [...]

Soldati dunque soffriva maledettamente la forzata astinenza e la sua sofferenza si trasmetteva in parte a me, che pur non ero un fumatore incallito.

Finite le sigarette, finite le cicche, finita la polvere di tabacco - frammista a briciole di pane e altri detriti - che si raschiava dal fondo delle tasche per fumarla dentro tubetti fatti con la carta velina tolta alle buste delle lettere da casa, finito tutto il fumabile, Soldati - come estrema risorsa - tentò di imitare il vecchietto russo, nostro padrone di casa, il quale riusciva a fumare qualcosa. Lo vedevamo spesso tutto intento a tagliuzzare pezzetti di corteccia che riduceva in minutissime scaglie, delle quali riempiva dei cartoccetti conici di carta da giornale; poi, per fumare quegli strani zampironi maleodoranti, era costretto a starsene a faccia in su, altrimenti tutti i pezzetti di corteccia sarebbero caduti fuori; e così, assieme al fumo nerastro pestilenziale, gli colava in gola l'olio di stampa che il calore estraeva dalla carta di giornale. Dopo il primo tentativo, Soldati - ancorché avvezzo alle nostre Milit - per poco non si sentì male e dovette rinunciare.

Finché un giorno lo vidi ritornare dal comando di reggimento, dove era andato a ritirare il vitto e la posta, tutto raggiante di gioia e recando un pacco che gli era arrivato da casa, con qualche mese di ritardo: "Sor tenente, se fuma!", disse mostrandomi tutto fiero il pacco, sul quale la moglie aveva scritto, accanto all'indirizzo Fante Soldati Giuseppe, Posta Militare N.. .., le parole "Contiene Zigarette".

Sembrava stranamente leggero, in rapporto al volume, comunque lacerammo rapidamente l'involucro, alzammo il coperchio della scatola da scarpe e la trovammo vuota. O peggio, ci trovammo una bustina di fiammiferi Minerva e un biglietto, con la scritta a stampatello Grazie per le sigarette. L'anonimo autore non poteva essere altri che il maledetto ladro, imboscato in qualche ufficio postale in Italia. Non si era accontentato di sottrarre le sigarette, ma si era preso il gusto malvagio di far arrivare a destinazione il pacco vuoto e lo sfottente biglietto di ringraziamento, affinché la fregatura a quel povero fesso che stava al fronte fosse così crudelmente completa.

La reazione di Soldati fu violenta: il brusco passaggio dalla gioia alla disperazione, alla livida rabbia impotente, senz'altro sfogo che il pianto o la bestemmia; e se ne uscì con una frase che ben sintetizza lo stato d'animo che si era venuto a creare in non pochi di noi, che combattevamo in prima linea... non tanto per le fatiche, i sacrifici e i rischi affrontati, quanto per la sensazione, suffragata da episodi del tipo fregatura delle sigarette, che sia noi al fronte che le nostre famiglie in Italia fossimo vittime di una colossale criminale turlupinatura, con la quale alcuni dritti stavano facendo fessi la parte migliore del popolo italiano: "Sor tenente!", mi urlò Soldati "Ma perché dovemo sparà a li russi, che nun cianno fatto niente de male, e no a sti quattro brutti zozzi fiji de na mignotta, che so rimasti a casa e ce lo stanno a mette in der c... a noantri poveracci?"

"Bono, Soldati, calmati. Su, pensa ad altro, pensa a tua moglie... vedi che ti ricorda sempre e ti vuole bene, questo è l'importante. Fai finta di averle già fumate, le sigarette, anche quelle che avresti dato a me, va là... che te le cedo volentieri." Tentavo di buttarla in ridere, ma dentro di me piangevo anch'io, di rabbia, e auguravo il cancro del fumatore a quel maledetto imboscato.

 

 


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