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Tenente PIETRO CHIESA – 22ª Compagnia
IX Battaglione Genio Pontieri

Memorie scritte tra il 1989 e il 2005

Ringraziamo Gabriele, il figlio del tenente Pietro Chiesa, per averci fornito la documentazione del padre.

 

CAPITOLO 1: Settembre 1941
Il gittamento del ponte su barche sul Dnieper

 

Preambolo sulla sincronia dei fatti

Debbo innanzi tutto precisare che non mi trovo molto in quadro con le date di alcuni avvenimenti.

Dalla relazione fatta dal Col. comandante Montaretto, in Considerazioni sul forzamento dei corsi d'acqua, edito nel 1953, risulterebbe che il forzamento del fiume Dnieper – col primo gittamento del ponte – dovrebbe essere avvenuto nella notte tra il 3 ed il 4 settembre 1941; tuttavia, rileggendo attentamente la parte di quel testo, la cosa non appare assolutamente certa.
D'altro canto il Ten. Ratti, nel libretto di memorie da lui recentemente redatto, afferma che "Il giorno 4 settembre ha inizio la manovra con partenza dal bosco alle ore 16,30."
Dal canto mio ho sempre conservato la certezza – un diario non l’ho mai scritto – di aver dato il cambio di guardia al ponte, proprio al Ten. Ratti, il mattino dopo il gittamento del ponte in parola.
Debbo precisare che io non presi parte al forzamento notturno e restai nell'accampamento. Il Ten. Ratti invece aveva partecipato al gittamento ed al mattino seguente rimase, con pochi uomini, di guardia al ponte.
È tuttavia certo che il ponte, durante il servizio del Ten. Ratti, non venne colpito.
Io diedi il cambio al Ten. Ratti verso il mezzogiorno del mattino seguente il forzamento del fiume.
A questo punto viene a cadere anche l'affermazione fatta dal Col. Montaretto che colloca alle ore 9 del giorno successivo al gittamento l'avvenuto colpimento del ponte in barche, con la distruzione di due impalcate.
Affermerei invece che il ponte fu colpito, non giurerei sull'ora, ma al mattino del secondo giorno.
Si tratta tuttavia di una successione cronologica che potrebbe essere derivata dal fatto che non avevamo, allora, dei calendari alla mano per consultarli. D'altra parte, la disquisizione cui sopra, serve solo a spiegare la mancanza di sincronismo tra diverse esposizioni ma non incide sulla autenticità dei fatti.


Primo giorno: il battesimo del fuoco

Andiamo pertanto al mattino in cui io ebbi a sostituire il Ten. Ratti. Quando arrivai avevo con me un paio di squadre. La situazione, fin dalle prime ore a cominciare dall'alba, era impressionante. Ai russi fu chiaro quello che era stato fatto durante la notte: ai loro occhi apparve un ponte totalmente steso e con passaggio continuo di truppe e cariaggi. La sua eliminazione era per loro una questione vitale.
Fu un'infernale gragnuola di colpi d'artiglieria. Come già ebbi a dire nella prima parte, vi erano dei periodi in cui le salve di artiglieria cadevano al ritmo di decine di colpi al minuto. Alcune batterie avevano un tiro molto teso; i loro colpi arrivavano verso la coscia del ponte e contro il terrapieno di accesso con effetti dirompenti; i loro acuti e paurosi sibili si udivano immediatamente dopo gli scoppi. Altre batterie, probabilmente costituite da obici, si preannunciavano con sibili meno acuti ma immediatamente seguiti dalle deflagrazioni più potenti delle prime.
E questo fu proprio il "battesimo del fuoco".
Si trattò, per me, prima di tutto, di collocare ai capi dei tratti di ponte su barche (ed essi erano due, corrispondenti ai due tratti di ponte su zattere che erano stati fatti saltare dai russi) i primi quattro pontieri che dovevano fare il primo turno di guardia al ponte.
Presi quattro uomini ed un sergente e non vi dico quanto mi costò l'infilare quel ponte e dover percorrerlo praticamente TUTTO sotto quella gragnuola di bombe. La nostra grande fortuna era solo dovuta al fatto che i proiettili, superata la coscia del ponte (a terra), cadevano nelle acque profonde del fiume e, pur facendo un gran "botto", raramente  consentivano la fuoruscita delle schegge.
Tuttavia, specie al primo approccio con il fuoco nemico, la situazione risultò drammatica e traumatica.

 

Frittura di pesce

Nessuno penserebbe di andare ad attraversare un campo di tiro, anche molto meno sventagliato, augurandosi che non gli cada un colpo addosso.
Malgrado lo stato d'animo così stressato, la disposizione dei pontieri ai capi del ponte fu fatta. Il servizio doveva durare due ore!
Passate le due ore, che tanto io quanto gli altri pontieri a me affidati passammo negli scantinati di un edificio in muratura sito nei pressi del ponte, dovetti provvedere a dar il cambio. Presi con me altri quattro pontieri, e forse anche un sottufficiale, e rifeci nuovamente il ponte. La prima barca era a circa 600 metri dalla riva. Quando giunsi sul posto non vidi l'uomo di guardia. Lo chiamai. Mi venne il dubbio che gli fosse successo qualcosa: o caduto in acqua o svenuto dalla paura o che so io.
Niente di tutto questo. Il pontiere venne fuori da sotto il ponte che copriva la barca. Gli dissi: sono venuto a darti il cambio. E quello, con uno strano comportamento, mi fa un ragionamento monosillabico di questo tipo: ma io... sig. Tenente... se vuole... sto qui ancora.
La cosa, in quei frangenti, mi parve così assurda, che mi balenò l'idea che quel soldato fosse sotto l'effetto di un trauma psichico. Il pontiere, vedendo la mia perplessità, aggiunge: sig. Tenente, le faccio vedere una cosa; e si infilò nuovamente sotto l'impalcata. Dopo pochi istanti ne uscì con in mano la gottazzuola (la gottazzuola è un attrezzo che serve per svuotare l’acqua dalla barca, quando essa è poca). Essa era quasi piena di pesci lunghi dai 20 ai 30 centimetri ciascuno. Cosa s'era studiato di fare quello strano tipo? Sotto quell'imperversare di scoppi, ai quali non poteva sottrarsi per dovere di servizio, aveva pensato bene di fare qualcosa che lo tenesse occupato nell'attesa e nello stesso tempo avesse una utilità pratica.
Si trattava semplicemente di questo: raccogliere, con l'ausilio della gottazzuola o dell'elmetto, i pesci ammazzati dalle bombe che esplodevano a monte del ponte e che passavano a portata di mano, sul fianco della barca sulla quale stava. Era chiaro che con quei pesci si sarebbe fatto un bel fritto, con i suoi compagni, non appena fosse tornato a terra. Rimasi stupefatto! Quella fu per me la prima lezione di comportamento, relativa all'autocontrollo dei propri nervi in presenza del fuoco nemico. Tuttavia non gli concessi di restare oltre esposto a tale gravoso servizio. Mi parve che avesse avuto, dopo due ore, più che sufficientemente la sua razione di bordate d'artiglieria e quindi lo sostituii. Questo fatto credo, però, abbia contribuito a sollevare il morale tanto ai soldati che io portavo per attuare il cambio quanto il mio stesso.

 

Secondo giorno: un ripristino da matti

Non dovette però passare molto tempo prima che, necessariamente, dovessi anch'io adeguarmi in merito.
Il mattino successivo, sotto la solita gragnuola, il pontiere di guardia al tratto di ponte più lontano, a più di 1000 metri dalla coscia di partenza, venne a riferire che una barca era stata colpita in pieno e pertanto l'impalcata era finita a pelo d'acqua e restava precariamente trattenuta dai travetti di ghindamento. Era indispensabile la riparazione per consentire il passaggio. Per la verità in quel momento, forse per l'intensità dei tiri o non so per quale altra ragione, non ci passava nessuno.
Tuttavia a me avevano insegnato che il ponte, quando è interrotto, doveva essere riparato; del resto ero là per questo. Mi si consenta di dire tuttavia che forse, alla Scuola Allievi Ufficiali di Pavia, non mi avranno detto "subito"; può darsi che sia stata solo una mia falsa opinione.
Fu in questo caso, e solo in questo, che feci non poca fatica a far saltar fuori dai sotterranei di quella casa-rifugio i pontieri indispensabili per mettere in atto la riparazione. Percorremmo pertanto, con trepidazione, il lungo ponte fin quasi alla sponda di arrivo. Il danno era proprio quello segnalato e non si era aggravato nel frattempo, nonostante la corrente fosse impetuosa. Provvedemmo a ricuperare tutto il materiale d'impalcata. La barca era perduta. Fu calata un'altra barca opportunamente lasciata ormeggiata alla sponda di arrivo. Credo che l'operazione non sia durata oltre i venti minuti, fatti obiettivo dei colpi d’artiglieria.
Quindi tornammo, come avrebbe detto il Col. Montaretto, baldi e fieri, alla nostra base di partenza ove gli uomini ci accolsero con evidente rispetto.
Questi ultimi poi ci riferirono che dei soldati tedeschi pure essi di stanza, non so a quale titolo, alla coscia del ponte, avevano loro detto che noi eravamo stati dei matti ad andare a ripristinare il ponte in quelle condizioni.
Questo lo riporto non per trarne una particolare gloria personale ma piuttosto a mio disdoro. Infatti bisogna tener conto di due considerazioni.
La prima è che il ponte lo hanno ricostruito i pontieri che qui voglio citare perché, non  avendo altra riconoscenza, abbiano almeno la mia:

 

  • Serg. DALLA PIAZZA Vincenzo
  • Serg. SCIALANCA Egidio
  • Caporale  BELOTTI Bruno
  • Caporale  DE ROCCHI
  • Pontiere ROSSINI Carlo
  • Pontiere PERETTI Adriano
  • Pontiere MANZONI Walter
  • Pontiere CHIESA Giuseppe
  • Pontiere MANTOVAN
  • Pontiere VERITÀ
  • Pontiere PEDRETTI
  • Pontiere GARAGIOLA
  • Pontiere GHEZZA                                               

 

più cinque barcaioli, dei quale sono spiacente di non aver scritto i nomi.
La seconda è una questione di opportunità nel fare le cose.
In seguito avrei agito diversamente. Avrei tenuto un occhio rivolto al ponte ma anche un occhio rivolto all'accesso. Se avessi tenuto un occhio anche all'accesso avrei visto che nessuno era interessato a passare in quei frangenti; quindi avrei potuto anch'io attendere un momento di maggior calma.
Infatti per un bel pezzo nessuno si azzardò a passare sul ponte.
La morale conseguente è che, quando si ha in mano la vita di altri uomini, è opportuno ponderare sempre bene le proprie iniziative. Ripensandoci ora, può darsi che abbia deciso di effettuare la riparazione, nonostante quelle condizioni, ritenendo che al ponte potessero derivare delle conseguenze peggiori. Oppure vi fossero truppe in attesa della riparazione per poter passare.


Il ponte ripristinato

A parte questo episodio, occorre dire che nei primi giorni il passaggio sul ponte fu molto intenso; di notte il transito era riservato alle truppe che affluivano alla testa di ponte e perciò avveniva in una sola direzione. Con l'oscurità i tiri dell'artiglieria erano molto ridotti, perché mancava ai russi la possibilità di controllarne l'efficacia e questo consentiva un passaggio più sicuro. Durante il giorno il movimento avveniva  in entrambe le direzioni; era prevalentemente pedonale e probabilmente adibito a movimento dei servizi. Avveniva principalmente lo sgombero dei prigionieri che, essendo a gruppi numerosi, erano più esposti alla possibilità di essere colpite dalle schegge. Mi torna frequentemente alla mente il corpo di uno di questi infelici, spostato accanto ad un travetto di ghindamento, che vidi durante un'ispezione. La carità cristiana non brilla in certi momenti. Ognuno è preso da un proprio compito e ritiene che in queste particolari circostanze sia inutile, una perdita di tempo, il doversi fermare solo per compiere un'opera di pietà; certamente quel corpo trovò sepoltura nelle vorticose acque del Dnieper.

In contrapposto, per scaricarmi un poco la coscienza, dirò subito che nel dicembre '42, nell'attacco che subimmo la sera del 17, i russi ebbero delle perdite che constatai solo all'alba del giorno successivo. Alcuni non davano più segni di vita, ma tre di essi muovevano almeno una mano. Li feci portare all'ospedale da campo, anche se ritenessi minime le possibilità di salvezza, non tanto per le ferite, che neppure potei rilevare, quanto per la notte trascorsa, immobili, in quel gelo.

Ritorno al ponte.

Anche i tedeschi ebbero le loro perdite. Il piccolo reparto, che forse fungeva da collegamento con i loro comandi, un mattino in cui ero di servizio, mentre alcuni di essi osservavano lo scarso movimento alla testa del ponte, furono improvvisamente investiti da una nutrita salve di artiglieria che provocò il ferimento di alcuni di essi e lo sbandamento generale.

 

La situazione alla notte

Anche durante la notte la situazione non era rosea; il ponte non offriva valida protezione laterale, particolarmente quello su barche. Inoltre si era dovuto collegare il nostro ponte con quello precedente su zattere. Questo produceva un raccordo con un certo dislivello tra i piani delle due impalcate che risultava pericoloso. Nonostante fosse disposta una lampada  ad occhio di bue e vi fosse sempre un nostro ufficiale disposto nell'immediata  vicinanza, che invitava a rallentare "langsam" (piano), si verificarono gravi inconvenienti. Durante uno dei miei servizi, un motociclista equipaggiato di tutto punto finì sbalzato in acqua. La colonna proseguì come se nulla fosse successo. Noi ci illudemmo di vederlo e poterlo salvare, legando un salvagente ad una fune; in realtà scambiammo i gorghi, a tratti visibili nella notte, per bracciate di un corpo umano.

 

Gittamenti e ripiegamenti

Per quasi tutto il mese quel ponte ci fu causa di molte preoccupazioni. Continui gittamenti e ripiegamenti. Il materiale si assottigliava di giorno in giorno. Bisognava provvedere a ricuperarlo ad ogni costo; soprattutto durante il giorno per evidenti ragioni di visibilità. Ma la visibilità serviva anche agli osservatori russi che  provvedevano a far intensificare il ritmo delle bordate di artiglieria.
Ci si trovava così in mezzo al fiume quando arrivavano le granate di obice, che prima si sentivano in partenza, quindi frullare nell'aria e poi si stava a vedere dove sarebbero andate a cadere. È vero che il pericolo peggiore era quello di essere colpiti in pieno, ma ad un certo punto i russi usarono dei proiettili spolettati in modo tale da consentire la dispersione di un maggior numero di schegge, che si vedevano spiattellare sull'acqua. Così il Battaglione ebbe i suoi feriti.
Se era vero che, nei primi giorni, le granate che cadevano nel fiume causavano soltanto dei grandi botti e producevano una forte vibrazione degli abiti, fu poi altrettanto chiaro che esse divennero estremamente pericolose; infatti, sull'acqua in barca, non ci si poteva minimamente nascondersi né ripararsi.

 

L'ultimo gittamento sotto il fuoco nemico

Finalmente si arrivò alle ore 8 del 28 settembre '41.
La descrizione di questo gittamento (ultimo sotto il fuoco nemico) è riportata nell'opuscolo, già citato, redatto dal Col. Montaretto. Sulla descrizione dell'operazione mi trovo pienamente d'accordo. Non mi trovo invece d'accordo su quanto afferma circa il momento del gittamento e cioè  “periodo.... .. scelto in relazione alle pause che il nemico usava fare durante il tiro”.
Penso che chiunque trovi quest'affermazione strana. A parte il fatto che se anche il nemico fa delle pause, smette subito di farle quando gli osservatori gli comunicano quanto sta succedendo qualcosa di nuovo.
Pur restando ferma la veridicità del fatto essenziale, debbo citare altri risvolti.
Tutti noi ufficiali (e soldati) eravamo stati informati  che il comando tedesco aveva ordinato il ripristino del ponte, in via definitiva  perché, affermavano, il nemico era stato battuto ed allontanato dalla testa di ponte e quindi non avrebbe dato più alcun fastidio.
Premesso questo, il ponte poteva quindi essere ripristinato in tutta tranquillità anche durante il giorno.

Pontieri, sottufficiali, ufficiali parteciparono tutti.

...quindi tutti al ponte, cucinieri, furieri, nessuno volle perdere l'occasione di celebrare il grande evento, cioè il ripristino del ponte senza alcun pericolo...” così riferisce anche il Ten. Ratti nel suo libretto di memorie.

 

Le riprese del Cinematografo

In questo contesto interveniva anche un altro fatto.
Premesso che nel boschetto dove era occultata la 22ª Comp. erano pure accampati un paio di furgoni del Servizio Cinematografico di Documentazione del Regio Esercito, che fino ad allora si erano limitati a filmare alcune bordate di tiri di controbatteria, che le artiglierie russe effettuavano nei confronti di una batteria tedesca disposta pericolosamente alle nostre spalle.
Niente quindi si prestava meglio di una simile occasione per effettuare una ripresa senz'altro unica e spettacolare di un gittamento del ponte sul fiume Dnieper. Peccato però che non si potesse anche avere l'emozionante visione dei colpi d'artiglieria in arrivo!

 

Lavori in corso

Fu in queste condizioni che s'iniziò l'ultimo gittamento del ponte su barche, che aveva ormai raggiunto anche una considerevole lunghezza.
Alla testa del ponte oltre il S.Ten. Nicolai, c'era il Col. Montaretto stesso, non solo, ma si erano aggregati anche almeno altri due o tre ufficiali, ungheresi e tedeschi, solo per osservare la manovra.
Di squadre trasporto materiali, ce n'erano in eccedenza; anche a terra erano rimasti in molti ad osservare. Io non avevo un compito preciso e quindi mi muovevo da terra e lungo il ponte su zattere costruito dai russi, per il caso di una fortuita necessità. Vedevo l'operatore con la sua macchina da ripresa piazzata alla coscia del ponte e l'andirivieni dei pontieri che portavano le tavole e travicelle alla testa del ponte. Anch’io ero munito di una macchina fotografica Kodak 3, 5.
Questo durò, per quanto affermato dal Col. Montaretto, dalle ore 10,15 alle 11,10. Ad un certo momento (pressappoco alle 11)  mancavano solo due impalcate per completare il ponte su barche.

 

Effetti speciali

Io mi trovavo sul ponte in zattere, a circa duecento metri dalla sponda di partenza e non sapevo della situazione alla testa di ponte. Ad un tratto udii distintamente il frullare di due (mi parve) granate in arrivo ed il conseguente scoppio proprio a monte del tratto di ponte di barche in costruzione. Fu un fuggi-fuggi generale tanto perché la situazione diventava improvvisamente pericolosa, specialmente per chi non era interessato al gittamento, quanto perché il çol. Montaretto aveva ordinato lo sgombero a tutti quelli che non appartenevano alle due squadre travetti e tavole, addette alla chiusura delle due impalcate. Io ebbi alcuni momenti di perplessità perché, da dove mi trovavo, non avevo udito l'ordine di sgombero dato ai non direttamente impegnati, quindi anch'io mi unii ai fuggitivi e corsi per un centinaio di metri; tosto mi fermai perché ritenni disdicevole non solo fare brutta figura unendomi ai soldati in fuga ma addirittura precedendo gli ufficiali tedeschi e ungheresi che erano alla testata del ponte.
In questi frangenti incontrai il S.Ten. Grosso, che sopraggiungeva da terra gridando "... ma cosa scappate... è solo il tritolo...", senza raggiungere l'effetto di fermare la fuga generale. L'affermazione era per me incomprensibile tanto che gli chiesi di spiegarmi che cosa fosse la storia del "tritolo". "Ma sì", mi fa "... è il sergente (di cui non ricordo il nome) che è stato mandato con un barchetto a far esplodere del tritolo per rendere più verosimili le riprese cinematografiche!"
Forse il S.Ten. Grosso non aveva prima sentito il frullio delle granate che avevo sentito io. Ma si rese subito conto anche lui che, sempre di tritolo si trattava, ma il barchetto ed il sergente non c'entravano per niente: erano autentiche granate!
Intanto il grosso dei soldati era passato; aspettai il passaggio degli ufficiali stranieri ma non li vidi mai più. Anche i cinematografari erano scomparsi.
Naturalmente il gittamento delle due ultime impalcate continuò regolarmente ed in dieci minuti l'opera venne terminata.
A lavoro compiuto, quando il Col. Montaretto, il Ten. Nicolai ed i pontieri delle squadre trattenute al ponte vennero a terra espressero il loro stupore  raccontando come i già citati ufficiali, ai primi colpi, si fossero fatto largo tra i pontieri e preso la rincorsa. Non mi spiegai mai come feci a non vederli passare davanti a me.
A mia discolpa ed a titolo di espiazione dirò che rimasi successivamente su quel ponte a scattare qualche fotografia delle deflagrazioni di granate in arrivo; a dimostrazione che non ero scappato lontano. Mi si conceda di dire che la cosa non fu né semplice, per mancanza di teleobiettivo, né proprio priva di pericolo.

 

Il diario dell'ignoto pontiere

A questo punto mi dispiace sconfessare anche il brano che qualcuno potrebbe aver letto su Ricordi di pontieri italiani in Russia a pag. 126 e che con qualche riserva posso dare per buono fino all'ultimo capoverso di pag. 128. Da qui in avanti il racconto diventa di pura fantasia. Ammetto che una persona possa vedere degli eventi in maniera più o meno realistica o impressionante ma non ritengo accettabile confermare fatti e decine di morti, feriti e dispersi inesistenti. Questo non solo perché io ero là ma perché ve n'erano pure molti altri, che per scrupolo ho interrogato e mi possono essere testimoni del travisamento di fatti reali. Per tutti citerò il Ten. Ratti che nel suo libretto afferma, a questo riguardo, "Ma anche questa volta la fortuna sorrise agli audaci, nessun morto, nessun ferito, un morto ci fu precedentemente ma per cause accidentali."
Parecchi anni più tardi, dopo la pubblicazione del libro Ricordi di pontieri italiani in Russia avvenuto per l’interessamento del capo-gruppo pontieri Reduci di Russia, Serg.Magg. Basile, scrissi allo stesso chiedendo di sapere chi fosse l’autore della suddetta specifica memoria, (a pag. 126, Dalla pagina del Diario di un ignoto Pontiere ritrovato in un tascapane abbandonato, risultato anonimo) ma non ebbi mai risposta.
E con questo chiudo l'incidente.

 

I giorni dopo il gittamento

Vero è che il ponte fu centrato prima di sera.
Da allora il ponte non venne più ripiegato ma solo riparato nei punti colpiti. Dal 29 settembre i bombardamenti cessarono ed esso venne tenuto efficiente dai nostri genieri, per quanto atteneva al tratto in barche, e dai genieri ungheresi per la parte su zattere.
Quello che ancora oggi mi lascia stupito è come fosse possibile che soltanto due obici, ormai a grande distanza, riuscissero in così breve tempo centrare una striscia di pochi metri, quale era quella del ponte; oltretutto uno di essi presentava un inconveniente: quasi ogni due colpi faceva udire uno strano frullìo ed il proiettile cadeva in acqua senza esplodere. Sul fondo di quel fiume giaceranno ancora decine di proiettili inesplosi. Durante il recupero del materiale ci accorgemmo, ad un certo momento, che facevamo scorrere le barche su di uno di questi. Era un bestione di almeno 25 o 30 cm. di diametro e circa un metro di lunghezza.
Durante il mese di ottobre, non appena i pontieri del I Btg. ebbero terminata la  riparazione del ponte in ferro, incominciammo l'operazione di ricupero e caricamento dei materiali da ponte.

 

Interpolazione: lettera dal fronte

A questo punto farò un'interpolazione. Oggi, 10 giugno 1989, (tra l'altro anniversario dell'entrata in guerra a fianco della Germania, avvenuta 49 anni or sono) mi è venuto in mente di andare in cantina a cercare delle lettere che a quei tempi scrissi all'attuale mia moglie, da essa gelosamente conservate in una scatola e sopravvissute ai trascorsi decenni. Speravo di trovare in esse non solo frasi d'amore ma qualche riferimento, sfuggito alla censura, che mi aiutasse a ricordare date e fatti di allora. Debbo ammettere di essere stato fortunato perché, incredibilmente, ho trovato una lettera del 30 settembre 1941 (XIX) che descrive i fatti sopra citati.
Volutamente non cancello quanto ho già scritto ma riporto testualmente il brano della lettera in modo di avere un confronto ed un'integrazione.

"Ai primi giorni di settembre venimmo qui per gettare un ponte sul Dnieper (o meglio, venimmo alla fine di agosto e gettammo il ponte il 4 sett.). Sulla riva opposta vi era solo una piccolissima testa di ponte tedesca.Si trattava di riattare due interruzioni di un ponte di zattere russo lungo più di 1200 m. con due pezzi di nostro ponte per una lunghezza complessiva di 200 e più metri.Il lavoro venne eseguito di notte: venne un aereo ma non si accorse di nulla ma verso l'alba, dopo un lavoro massacrante, il ponte venne finito appena in tempo che le artiglierie russe incominciarono il bombardamento.
(Ricordo nuovamente che in quella notte io non fui presente)
Alla mattina seguente la notte della costruzione del ponte fui comandato come primo ufficiale di guardia al medesimo.
In quella giornata le artiglierie russe lo tempestarono dall'alba al tramonto ma non lo colpirono, pur sparando non meno di 550 - 600 colpi. Otto bocche da fuoco susseguivano dall'alba al tramonto i loro colpi. Ogni tanto si fermavano ma per soli 3 - 4 - 5 minuti, altre volte erano in 12 a sparare facendo arrivare le granate a quattro a quattro.

Come dissi già, durante il giorno 5 non riuscirono a centrarlo.
Alla mattina del 6 all'alba (anche durante la notte vennero due aerei ma non lo colpirono) incomincia la musica infernale; alle 8 il ponte viene centrato: non ti sto dire come fu e perché (?) il fatto è che con un gruppetto di 13 soldati e un sottufficiale ventenne, dimenticavo i cinque barcaioli, che feci richiedere dal soldato di guardia (io intanto per essere loro d'esempio ero già partito in quarta sul ponte) che mi raggiunsero immediatamente, sostituii le due impalcate colpite e la barca ridotta a stuzzicadenti.

Alle 8, 25 il traffico era ristabilito; un solo soldato fu lievemente scalfito in una gamba, grazie a Dio una scheggia cadde pure fra me ed un soldato.

 

Modestamente (non tanto direi ora) ma orgogliosamente dico che per quello, oltre alle particolari soddisfazioni ricevute dai miei colleghi e dai soldati ebbi anche dal Colonnello, alle cui orecchie giunse subito il mio operato, la proposta per una... E quando io mi sarei mai sognato tanto onore! – ti ricordi quanto circa un anno fa ti dissi delle mie note caratteristiche?! che ci vuoi fare... il fatto è che il Colonnello mi propose per una ricompensa al valore - questo lo so positivamente, quello che non so è se è italiana oppure tedesca – poiché i tedeschi furono così entusiasti di noi che immediatamente chiesero di segnalare i nomi di coloro che specialmente per volontarismo si erano distinti in quelle azioni dei primi giorni. Sappiamo pure che, lo disse il Colonnello stesso, ufficiali e soldati furono proposti per onorificenze italiane e per quelle tedesche.

 

Fino ad ora di ufficiali proposti in tutto il battaglione siamo in quattro: l'ufficiale che era alla testa dei ponte e due altri che si distinsero assolvendo l'incarico delle ricognizioni del fiume mentre il nemico era ancora dall'altra parte.

 

Ritornando al ponte di cui stavo parlando – o scrivendo – nella stessa giornata fu nuovamente colpito. Da allora in poi incominciò la tragedia del ponte. Di notte e quand'era possibile di giorno si faceva il ponte e quando LORO lo vedevano fatto lo rimettevano a gambe all'aria: quante barche sforacchiate e quante a pezzettini sono partite!

 

Per qualche giorno, dietro ordine tedesco, dalle quali unità dipendiamo, lo lasciammo interrotto ecc. ecc. altrimenti mi dilungo troppo e quelli della censura si stufano ed allora mi cancellano tutto.
Ultimamente si iniziò l'attacco e i russi furono respinti e noi rifacemmo il ponte – e sarebbe ieri 28.
Ora ti faccio ridere un po'.
I russi vengono attaccati la sera precedente e fatti ritirare – si crede che non possano più disturbare il ponte.
In pieno giorno riceviamo ordine di fare il ponte; intanto ci sono i cinematografisti della Cineteca di Stato che vogliono riprendere una ricostruzione della scena dei primi gittamenti del ponte, fingendo dei tiri di artiglierie; ci si mette d'accordo di mettere a valle del ponte delle cartucce di tritolo e farle esplodere durante la costruzione del ponte (ma questo io lo seppi dopo).

 

Sono le 11,15 circa, il ponte è all'ultima impalcata, tutti i soldati lavorano tranquilli poiché contrariamente agli altri giorni non un colpo si è udito – il nemico ormai ha ripiegato e si ritira verso il centro della sacca enorme che li chiude.

 

Ad un tratto, vedi caso, ad un centinaio di metri a valle del ponte si leva una colonna d'acqua (e di schegge) e una formidabile detonazione si leva nell'aria: tutti i soldati che sono alla testa del ponte si buttano a terra ma un ufficiale che era al corrente della faccenda del tritolo, che è il S.Ten. Grosso che forse tu non conosci poiché era di quelli che erano distaccati a Verolavecchia, dà di mano immediatamente alla macchina fotografica che si era portato per l'occasione e si mette a gridare: "Cosa fate fessi lì a terra - è il tritolo!!!"

 

BANG...! ecco arriva una seconda sberla e allora vede le schegge che cadono e quelle che fanno duecento metri di piattellini sull'acqua e così di seguito. Erano ancora due cannoni di lunga gittata che sparavano da chissà dove!

 

Ad ogni modo il ponte fu finito in pochi minuti poiché è impossibile che una batteria (salvo sia un caso) centri il ponte ai primi colpi. Io che non ero di servizio ma ero sul ponte anch'io colla mia macchina foto, mi sono prudentemente ritirato un po’ indietro e se sono riuscite, come spero, ti farò vedere  le foto delle bombe.

 

Prima di notte erano riusciti a colpire una volta il ponte. Con una pellicola russa che spero sia buona ho fatto le foto dell'interruzione ed ho preso altre foto di bombe di cui una – si vedrà forse un po’ da lontano – che centra il ponte di zattere russo verso la riva opposta.  Da stamattina anche quei cannoni sono stati catturati e i russi suonati..."

 Così termina la lettera sopravvissuta.

 

CAPITOLO 2: Inverno 1941-42
Acquartieramento a Dniepropetrovsk e una triste licenza

 
Il 3 od il 4 di ottobre (1941, n.d.r.) ci trasferimmo dal bosco alla città, acquartierandoci in una confortevole caserma russa. Qui la vita si svolgeva pacificamente come se fossimo stati in Italia. Quello che ci scarseggiava molto erano i viveri. Eravamo rimasti aggregati, in sussistenza, alle forze tedesche – certamente in retrovia – ma le razioni, oltre che pessime, erano anche così esigue da essere ai limiti della sopravvivenza. E non si trovava, non dico in città ma neanche nelle circostanti campagne, nemmeno una patata che integrasse il rancio; questo valeva tanto per i soldati quanto per gli ufficiali.
Nel contempo le restanti due Compagnie del Btg. si erano mosse oltre il Dnieper, al seguito delle Divisioni del Corpo di Spedizione Italiano in Russia, (Pasubio, Torino e Celere) che precedentemente, a loro volta, avevano oltrepassato il fiume.
Appartiene a questo periodo un episodio degno d'essere ricordato.
I nostri soldati, potendo uscire in libera uscita, trovavano modo di fraternizzare con la popolazione e, per le più svariate ragioni, non era infrequente il caso che venissero accolti nelle case private.
 
Una provvidenziale baruffa

Avvenne così che in una certa notte di dicembre, verso mezzanotte, sentii bussare discretamente alla porta del mio stanzone, che di giorno fungeva anche da mensa ufficiali. M'infilai i calzoni ed andai alla porta. Mi trovai davanti due pontieri che con strana titubanza mi raccontavano che... non si sentivano tranquilli... che non riuscivano a dormire...
Ero molto perplesso; istintivamente chiesi loro se volevano essere cullati. Naturalmente non era questo che volevano da me. Finalmente, fatta la premessa, passarono al racconto dei fatti che qui riferisco come li raccolsi.
Quella sera erano stati ospiti in una casa dove, naturalmente, vi erano delle ragazze con le quali stavano passando la serata. La serata laggiù era anche piuttosto lunga perché, tenendo noi gli orologi regolati sull'ora italiana, avveniva che alle tre del pomeriggio ormai era buio. Orbene, mentre essi facevano quattro chiacchiere con queste ragazze, ad un certo momento sentirono bussare alla porta. In un primo tempo non fecero caso ma poi i colpi si ripeterono. A questo punto decisero di uscire a vedere chi bussasse; ma non videro nessuno. Rientrarono. Poco dopo i colpi si ripeterono (forse la precedente iniziativa doveva solo servire per accertarsi chi e quanti fossero all'interno della casa). Ad un certo momento, al ripetersi dei colpi, questi due pontieri decisero di uscire nuovamente ma armati di moschetto, per ogni evenienza.
Riaprirono la porta ma, per la seconda volta, non videro nessuno, anche a causa del buio. Intanto che erano fuori decisero di fare una pisciata. Fu a questo punto, mi raccontarono, che due ombre saltarono loro addosso e cominciarono a menare botte da orbi. Le due ombre, in realtà, erano due soldati tedeschi che forse se l'erano avuta a male del fatto di essere stati soppiantati da italiani.
Nacque pertanto un parapiglia e la cosa andò avanti quel tanto che consentì ad uno dei due pontieri di mettere K.O. il tedesco che gli era saltato addosso. L'altro pontiere invece non ce la faceva allo stesso modo. Vedendo il suo amico in difficoltà, non ci pensò due volte ad afferrare il moschetto per la canna e mollare una stangata sulla testa del secondo tedesco.
Ora, era proprio per questo che erano venuti da me e la ragione per cui non potevano dormire. Pareva che la botta fosse stata troppo pesante. L'avevano lasciato a terra con la testa grondante sangue, mentre l'altro era scappato. "E se l'avessimo ammazzato?".
Mi chiesero pertanto consiglio su quello che convenisse fare. Non lo sapevo nemmeno io. Ancora adesso mi domando come avrei dovuto comportarmi considerate le circostanze di allora. Pensai, e dissi loro, che ormai il guaio era fatto e che un loro ritorno immediato sul luogo dell'accaduto non era consigliabile. Piuttosto all'alba, e con cautela, avrebbero potuto recarsi sul posto per rendersi conto di come stavano le cose. Così andammo a dormire. Al mattino ritornarono per riferirmi che il soldato tedesco non c'era più e che le ragazze erano state portate via dalla polizia militare tedesca. Brutta conseguenza.
Naturalmente raccontai tutta questa storia al Cap. Bonsi e rimanemmo ad attendere lo sviluppo degli eventi, che non tardarono.
Lo stesso pomeriggio giunsero, accompagnati da un nostro militare di guardia, tre prestanti militari tedeschi, con tanto di catenella disposta al collo e reggente sul petto una gran placca metallica con su scritto FIELDPOLIZEI.
Noi ufficiali eravamo raccolti nel mio stanzone, che fungeva da mensa, a giocare a carte. Il Cap. Bonsi – uomo di mondo, bisognava riconoscerlo – li accolse col sorriso sulle labbra, con molta deferenza, ed offri loro un bicchierino di non so quale liquore, che neppure ricordo da dove venisse. Quindi incominciò, come dire, la relazione dei fatti. In che lingua si fosse svolta la conversazione non saprei proprio dire; tuttavia mi è tuttora chiaro che ci capimmo. Ci dissero che sapevano che dei nostri soldati avevano fatto baruffa con due dei loro e che questi ultimi avevano avuto la peggio. Ne approfittammo per chiedere come stavano e, quantomeno, venimmo a sapere che nessuno era morto. Tirammo un respiro di sollievo. Orbene, rimaneva da scoprire la ragione della loro venuta, poiché una ragione ci doveva pur essere. Infatti incominciarono a chiedere che provvedimenti intendevamo prendere e se, soprattutto, intendevamo segnalare il fatto ai nostri Comandi superiori. Il Capitano, con diplomazia. si informò se loro avevano, da canto loro, segnalato il fatto ai loro superiori e la risposta fu negativa. Alla fine si capì che se la cosa passava sotto silenzio, per entrambe le parti, era meglio per tutti e si sarebbero evitati strascichi e spiacevoli attriti tra i Comandi alleati.
Valse, anche in questo caso, quanto affermato nei famosi versi di una canzone napoletana... "chi ha dato, ha dato, ha dato, – chi ha avuto..ha avuto..ha avuto – scurdammocce o' passato...".
Altri bicchierini, sorrisi, strette di mano e Heil Hitler!; così se ne andarono ed il caso fu definitivamente chiuso.
In seguito i miei due soldati mi riferirono – ma di questo non ho le prove – che ai due soldati tedeschi la cosa non andò poi tanto male. Furono ricoverati all'ospedale ed evitarono così di andare in linea, col loro reparto, che subì gravi perdite. 
 
Natale 1941

Si giunse così alla festività di Natale. Nei miei giri, non so come, avevo individuato, piuttosto lontano da dove eravamo alloggiati, una chiesetta cattolica e qui mi recai per tempo per confessarmi. Più tardi giunsero anche i miei colleghi ufficiali accompagnando i soldati.
La chiesa era stata riaperta al culto da un sacerdote proveniente dal Russicum di Roma e parlava anche il russo. La cerimonia fu semplice ma certo commovente, date le circostanze. Dopo essersi rivolto a noi, naturalmente in italiano, il sacerdote si rivolse ai russi presenti, nella loro lingua. Li vidi subito tutti drizzare la testa e le orecchie come fanno i levrieri al richiamo del cacciatore.          
Giunti alla comunione, poiché era impossibile al sacerdote poter confessare chiunque avesse desiderato, diede l'assoluzione generale e così, chi desiderò, si accostò alla comunione.
Dopo la festività di Natale giunse la fine dell'anno. 
 
Una brutta notizia con rimpatrio per licenza
 
All'ultimo dell'anno giunse l'inviato del Comando di Battaglione recando i pacchi e la posta. A me giunse una brutta notizia ed un foglio di licenza di 15 giorni più il viaggio: mi era concesso perché dovevo rientrare in Italia causa grave malattia di mio padre. Rimasi incredulo ed allibito perché mai avevo ricevuto notizie di malattia di mio padre. Ora una notizia così improvvisa! A tratti pensavo che mio papà ed i miei zii avessero architettato qualche cosa pur di farmi rientrare. Ma non fu così. Cadendo da una scala si era fatta una lesione al petto ed ai polmoni per la quale dovette in seguito soccombere il 25 gennaio 1942. Ebbe solo la possibilità di vederci per l'ultima volta, me e mio fratello Gino, e noi di vederlo spirare con grande serenità, in quel triste mattino.
Al primo di gennaio partii dalla stazione di Dniepropetrovsk su di un treno merci che tornava dal fronte. Eravamo in due o tre militari italiani ed altrettanti tedeschi, in un carro bestiame, con lo sportello aperto e con un fusto, di quelli per carburanti, sventrato, nel quale particolarmente i soldati tedeschi bruciavano ogni cosa che riuscivano a rimediare durante le numerose fermate. Il guaio era che il bidone emetteva più fumo che fiamma e pertanto si finiva col patire tanto il gran freddo che il fumo, perché il vagone era di fatto sempre aperto. Per almeno un paio di giorni e notti si viaggiò in tal modo attraverso l'Ucraina, fin che, come Dio volle, giunsi a Leopoli. Ormai ero in Polonia (ora è terra russa).
Solo qui trovai una stazione ben illuminata, con un grande salone di attesa. In un angolo di questo salone era sistemato il cosiddetto Comando Tappa. Tuttavia in quell'angolino trovai il paradiso. Potei mangiare qualche cosa di caldo e soprattutto dormire, appoggiato ad un muro, avvolto dal tepore.
Il giorno appresso – siamo ai primi di gennaio '42 – raggiungo, ora con vagone di 3ª classe, la cittadina di Przemisl. Qui dovetti fermarmi, per la rituale disinfestazione, almeno un paio di giorni. Era il 6/7 gennaio '42. Questo lo ricordo bene perché, dopo la disinfestazione, potei uscire da quella costruzione, che aveva l'aspetto di un convento posto alla periferia della cittadina, per andare ad acquistare qualche ricordo del luogo. Entrai in un negozietto sul quale, peraltro, c'era la dicitura JUDE EINTRITT VERBOTEN. Entrai egualmente, perché noi italiani non avevamo inculcato l'odio antiebraico, ed acquistai un piatto e due cofanetti, tutti di legno, che tuttora conservo in casa e portano la data del 7.1.1942. È da notare che i due cofanetti riproducono nel coperchio dei motivi che richiamano la svastica hitleriana.
In seguito non ricordo più quale via seguii; ricordo però che giunsi, via Vienna e con un altro ufficiale, a Tarvisio. Qui altra fermata di uno o due giorni per una seconda disinfestazione. Quella tedesca non era evidentemente ritenuta attendibile dai nostri Comandi. Tuttavia, noi che le provammo entrambe, trovammo la tedesca infinitamente più scrupolosa di quella italiana.
Giunsi a casa presumibilmente verso l'11 di gennaio. In quei giorni mio padre che, in seguito alle lesioni subite al petto, aveva superato una prima polmonite a sinistra, stava superando una seconda polmonite al lato destro. Sembrò, in un primo momento, che la cosa si risolvesse. Invece ricadde nuovamente col polmone sinistro. Anche se ricoverato all'ospedale – purtroppo allora non esistevano cure penicilliniche – la sua fibra non resistette ulteriormente ed il 25 gennaio cessava di vivere, mentre ero là ad assisterlo e, direi, senza che me ne rendessi conto, salvo che negli ultimi istanti della sua vita.
Rimasi in Italia, per le pratiche che sorgono in tali frangenti, fino alla fine di febbraio.

Ritorno sul Fronte Russo
 
Il primo marzo arrivai a Tarvisio, il 2 a Vienna, il 3 a Cracovia... quindi, presumibilmente presi la via di Leopoli. Il viaggio di ritorno al reparto fu meno disagiato del precedente nel senso che soffrii meno freddo. Dopo Leopoli, non so per quale ragione, con qualche altro militare, dovemmo fermarci in una stazioncina russa ove esisteva un piccolo Comando Tappa italiano. Restammo lì per diversi giorni ad assistere al passaggio sempre di treni merci diretti al fronte; questo ci seccava perché, dato che ormai in Russia c'eravamo di nuovo, a noi interessava raggiungere i nostri reparti.
Finalmente fu di passaggio un treno ospedale tedesco diretto al fronte, naturalmente vuoto; insistemmo ed ottenemmo di essere caricati. Giunsi così a Dniepropetrowsk il 13 marzo, di notte.
Fuori della stazione vi erano alcune baracche col Comando Tappa italiano. Qui di servizio trovai alcuni militari della mia Compagnia. Da essi ebbi, con grande incredulità e stupore, notizia dell'impiego in linea della 21ª e 23ª Compagnia e della morte dei Capitani Ciocchi e Munaro e del Ten. Nicolai, quest'ultimo mio compagno di corso alla Scuola Allievi Ufficiali di Pavia, anno 1937-'38, unitamente ai Ten. Parisi, Ratti e Grosso.
Giunto al reparto ne trovai dolorosa conferma. Altri ufficiali feriti, sottufficiali e soldati morti e feriti, con il sacrificio di oltre un terzo dei nostri reparti pontieri e di altri reparti speciali usati per tamponare, già allora, una falla che avrebbe richiesto una modesta forza di combattimento che, incredibilmente, non esisteva. Non esisteva una riserva una di rincalzo! E, come si vedrà in seguito, non esistette mai.
 

CAPITOLO 3: Febbraio 1942
La battaglia di Petrikova: non fanti ma tra i fanti

 
Dopo il ripiegamento del ponte ed il ricupero dei materiali, avvenuto verso il 10 di ottobre, la 22ª Comp. rimase a Dniepropetrowsk, acquartierata in una caserma russa, fino al maggio 1942.
La 21ª e 23ª Comp. proseguirono invece oltre il Dnieper, al seguito delle truppe del C.S.I.R., ma a causa delle piogge e degli impantanamenti furono costrette a fermarsi a Sinelnikowo. Appena la situazione migliorò proseguirono fino a Petropawlowka con il compito di tenere praticabili le piste che portavano a Stalino (poi ribattezzata Donetsk).
 
In questo periodo (si era ai primi del dicembre '41) il Ten. Col. Montaretto viene sostituito (alcuni diranno per motivi di salute, altri che il servizio di censura aveva intercettato una sua lettera contenente giudizi di dissenso su qualche comando italiano).
Subentrò il Magg. Rinaldi, proveniente dal I Battaglione Pontieri.
A fine ottobre 1941 le due Compagnie si diressero su Stalino e furono alloggiate in due scuole nella zona di Putilowka. Svolsero servizio al campo prigionieri e al campo d'aviazione italiano.
A Natale (del 1941) si profilò, per la prima volta, l'impiego delle due Compagnie come truppe di fanteria. Fortunatamente non occorse andare in linea, perché gli attacchi furono contenuti (con gravi perdite) dai reparti di prima linea, dagli eroici Bersaglieri del 3° Reggimento e dal Gruppo CC.NN..
Fu soltanto un segno premonitore.
 
Ecco come il Ten. Ezio Ratti di Como, della 23ª Comp., descrive i fatti che seguirono.
 
 
"...tutto fu calmo finché arrivò il fatidico febbraio 42. Già precedentemente il Comando C.S.I.R. ci aveva riforniti di armi automatiche, bombe a mano e già avevamo fatto un minimo di esercitazioni, ma nessuno mai avrebbe pensato che arrivasse il giorno di essere impiegati come truppe d'assalto.
Ma venne anche quel dì ed ai primi di febbraio si partì per Stalino in tradotta con destinazione zona Isium dove i Russi avevano rotto il fronte.
Dopo un giorno ed una notte in treno fino a Marjanka, si arriva al fronte in zona Snamenowka.
Eravamo alle dipendenze dei Tedeschi, inseriti (con il I Btg. Pontieri, il Rgt. di Cavalleria Novara ed il reparto Carri appiedato S. Giorgio), nel Gruppo Musinu comandato dal Col. Musinu, eroe della battaglia delle Frasche (guerra '15-'18).
La temperatura si aggirava sempre sui 20-25 gradi sottozero, giorno e notte sempre in postazione, perché i Russi li avevamo di fronte, appostati sulle collinette dominanti la pianura ed il paese; nelle azioni di difesa di Sofjewka si ebbero i primi feriti fra i reparti di Cavalleria, tra di loro il loro Ten. Col. Custoza, successivamente deceduto, ed i pontieri della 21ª Compagnia.      Dopo il ripiegamento da Nikolajewka del I Btg. Pontieri, avvenuto dopo una resistenza, [per queste ragioni il Btg. ebbe la ricompensa di una Medaglia di Bronzo e la Medaglia d'Oro alla memoria al Cap. Magg. Bisceglie (*)], arrivò l'ordine al IX Btg. di prepararsi per andare all'assalto del paese di Petrowka, che si trovava sulla nostra destra a pochi chilometri.
L'azione era predisposta in modo perfetto, ossia: l'artiglieria tedesca doveva bombardare il paese con il successivo intervento dei carri armati, sempre tedeschi.
Dopo queste azioni dovevamo intervenire noi, iniziando l'avvicinamento alle ore 5 del mattino e successivamente occupare il paese. Sembrava una manovra perfetta che presentava per noi un rischio relativo, ma nessuno pensò al freddo ed al gelo.
Così quando noi iniziammo la manovra di avvicinamento, i reparti tedeschi non avevano ancora iniziato la loro operazione, a causa, ci dissero, del forte gelo che aveva bloccato tutto. Nessuno aveva provveduto ad avvisare il nostro Comando, così che, arrivati in prossimità del paese, ci accolse un fuoco infernale. Noi, ignari di come si combatteva a tu per tu il nemico, ci scagliammo con tutta la nostra baldanza pontieristica al grido di "Savoia!" sul nemico, obbligandolo a retrocedere e a rifugiarsi sulle colline sovrastanti il paese da dove, però, continuò a mitragliarci ed a bombardarci con i mortai.
Il primo a cadere fu il Ten. Nicolai, ricoverato prima in una isba, poi trasportato in un ospedale tedesco ove spirò.
A lui fu concessa la Medaglia d'oro alla memoria (**).
Nessuna notizia dei Tedeschi; questi iniziarono la loro azione con un ritardo di qualche ora, non sapendo che in paese c'erano truppe italiane, così ci piovvero addosso anche i confetti tedeschi.
Considerata la situazione, visto che nessuno veniva in nostro aiuto, finite le munizioni e per non essere accerchiati,venne dato l'ordine di ripiegamento.
Su quella distesa di neve quanti caddero? Ci contammo alla fine dell'azione:  
21ª Compagnia - un solo ufficiale efficiente, il Ten. Borasio;
il Comandante Cap. Italo Ciocchi caduto;
gli altri due ufficiali, Ten. Fausto Monacelli e S.Ten. Adolfo Fianchisti, feriti e trasferiti in ospedale.  
23ª Compagnia - il Ten Ratti sano e salvo;
Il Comandante Cap. Carlo Munaro e il Ten. Filippo Nicolai caduti;
il Ten. Monti ferito e ricoverato.  
Per entrambe le Compagnie: una perdita del 40 % tra i sottufficiali e per la truppa una perdita del 30 % fra morti e feriti."  
 
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(*) Alla memoria della Medaglia d'oro del Cap. Magg. Donato Briscese venne intitolata la caserma del Distaccamento Pontieri di Legnago.  
(**) Alla memoria della Medaglia d'oro Ten. Filippo Nicolai venne intitolata la caserma del 2° Reggimento Pontieri di Piacenza.  
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Per il IX Battaglione, oltre alla Medaglia d'Oro concessa alla memoria del Ten. Nicolai, mi sembra doveroso ricordare anche i Comandanti delle due Compagnie:
 
per la 21ª il Cap. Italo Ciocchi, Medaglia d'Argento alla memoria;
per la 23ª il Cap. Carlo Munaro, Medaglia di Bronzo alla memoria.          
 
Furono inoltre concesse diverse decorazioni al valore, alla memoria e a viventi (argento, bronzo, croci di guerra).
Mi turba però il pensiero di voler farne un elenco che mi darebbe l'idea di voler mettere in atto una classificazione ed una distinzione. Ufficiali, sottufficiali e pontieri, nelle varie azioni, hanno dato tutto di se stessi nel compimento del proprio dovere.
A qualcuno potrà sembrare che la parola "dovere" sia soltanto una figura retorica o un luogo comune, cui si ricorre in questi frangenti. Nessuno di noi è in grado di valutare a mente fredda e direi anche disincantata, quello che in un ipotetico futuro potrebbe essere il proprio comportamento in situazioni così drammatiche. Quando è in gioco non solo la propria vita ma anche quella dei proprii compagni. O si scappa, dimostrandosi dei vili, o si resta, subendone tutte le conseguenze. Questa seconda condizione implica il concetto del DOVERE.
 
Nessuno di loro avrà forse mai pensato di dare quanto ha dato, particolarmete per coloro che hanno sacrificato la vita.  
A questo proposito, voglio qui citare un brano della lettera che nell'ormai lontano 27 marzo 1942 scrissi all' allora mia fidanzata:
 
"... Ancora ne approfitto di coloro che ritornano in Patria per farti sapere presto mie notizie. Chi te le porta è il S. Ten. Monti, che anche tu conoscesti a Pontevico. Rimase ferito ai piedi da una pallottola. Egli stesso, ancora in un non lontano passato confessava, quando la discussione cadeva sui fatti d'arme, che avrebbe avuto paura se si fosse trovato il nemico immediatamente davanti.
Invece, caso strano, succede sempre il contrario di quello che si pensa o si teme; si comportò valorosamente, da quanto mi hanno raccontato gli altri miei colleghi. Alla testa del suo plotone, ma da solo, ebbe a snidare una mitragliatrice russa a forza di bombe a mano..."  
 
Sempre riguardo a tali considerazioni, potrei affermare la stessa cosa del capitano Munaro.  
Se qualcuno desiderasse documentarsi sulle decorazioni concesse tanto al IX che al I Battaglione Pontieri, raccomando la consultazione del libro RICORDI DEI PONTIERI ITALIANI IN RUSSIA, edito presso le Grafiche Mazzucchelli di Milano (ed. maggio 1987). Questo testo è nato dall'appassionata ricerca del pontiere maresciallo Angelo Basile, da sempre animatore del GRUPPO PONTIERI IN RUSSIA, e dalla preziosa collaborazione del pontiere Eugenio Nosenzo. In esso sono ricordati episodi e fatti d'armi cui prese parte particolarmente il I Battaglione).
 
È da rilevare come la 22ª Compagnia, accantonata a Dniepropetrowsk, fu risparmiata dalla Battaglia di Petrowka (21 febbr. 1942).
Purtroppo anche per essa dovevano venire i giorni amari del dicembre 1942, che l'avrebbe coinvolta, effettivi e complementi, in un'azione che l'avrebbe vista imbattuta ma senza speranza di salvezza.
 

CAPITOLO 4: Marzo - Novembre 1942
Avvicendamento degli ufficiali e movimento verso il Don

 

Dopo l'azione di Petrowka i resti della 21ª e 23ª Compagnia rientrarono a Stalino, sostituite dagli Alpini del Btg. Monte Cervino.

Il comando della 21ª Compagnia venne temporaneamente assunto dal Ten. Monacelli e passato successivamente al Ten. Ubaldo Fontebasso, promosso nel frattempo capitano per anzianità.
Alla 23ª Compagnia giunsero invece, quali complementi dall'Italia, il Cap. Fabbri ed il Ten Baglini.            
Anche la 22ª Compagnia aveva nel frattempo avuto la sostituzione quasi completa degli ufficiali. Il primo a rientrare fu il S. Ten. Felice Maschio, per non so quale diritto. Seguì il Cap. Francesco Bonsi, per malattia, che venne sostituito dal Cap. Emi Barbetta Achille; quindi il S. Ten. Stefano Tiano, dapprima ricoverato in ospedale e successivamente inviato in Italia a causa di grave malattia polmonare, che più tardi l'avrebbe portato alla morte.
Al loro posto giungevano il S. Ten. Domenico Parisi (detto Ico), proveniente dalla 23ª Compagnia ed il S. Ten. Livio Girardi, proveniente dall'Italia. Quest'ultimo restò poco tempo perché venne trasferito non ricordo più a quale delle altre due Compagnie.
Il Ten. Elio Zuliani ed il S. Ten. Alfonso Magnifico ottennero il rimpatrio nel corso dell'estate perché iscritti all'università.
In sostituzione di questi ultimi giunsero dall'Italia i S. Ten. Edmondo Soster e Roberto Cristiani.
Lo scrivente, per un paio di mesi, ebbe la mansione di ufficiale addetto agli automezzi; in autunno venne però sostituito, in quest'ultimo incarico, dal S. Ten. Parisi.  
In giugno anche la 22ª Compagnia raggiunse il Battaglione a Jusowka, ove era un minuscolo laghetto.

In luglio tutto il fronte si mise in movimento verso Nord-Est, in direzione del Don. Anche il IX Battaglione si mosse.
Non mi è possibile, ora, ricordare gli itinerari e le numerose località toccate dalla tre Compagnie.
A malapena e con notizie ricevute da memorie d'altri (particolarmente dal Serg. Magg. Montani) posso indicare un itinerario di massima seguito dalla 22ª Compagnia Pontieri.
Un primo trasferimento ci portò a Voroscilowgrad, ove per qualche tempo si mantenne in efficienza un breve ponte di cavalletti su di un piccolo corso d'acqua che attraversava la città. Quindi la Compagnia si spostò più a nord... e sul Donetz si ricongiunse, temporaneamente, con la 21ª e la 23ª che colà avevano gittato un efficiente ponte di barche.
Venne quindi l'agosto '42.
Da allora il Battaglione venne impiegato, sempre più spesso, come forza di tamponanento ogni volta che il fronte cedeva in qualche settore di Divisione.
Evidentemente l'Armata Italiana in Russia (ARM.I.R.) non aveva truppe di riserva. Pertanto fungevano da rincalzo i vari reparti di truppe speciali.
Anche in queste circostanze il Battaglione ebbe i suoi morti e feriti anche se in numero non così elevato come a Petrowka. Il destino sembrava particolarmente accanirsi contro la 21ª Compagnia; quando era in linea veniva attaccata da pattuglie russe, ma anche in retrovia fu colpita da aerei russi con mitragliamenti e spezzonamenti.
Ai primi di agosto la 22ª Compagnia era accampata a Olgovirog (e cito il Serg. Magg. Montani):
 
"... Oltre Millerowo ove si aveva costruito un ponte a cavalletti su un torrente. Il giorno 25 viene data partenza immediata per la linea, non come pontieri, ma come aggregati al 79° Reggimento. Fanteria della Divisione Pasubio. Il giorno seguente ci troviamo a Kalinski sul fiume Don. L'accoglienza non è affatto delle migliori: colpi di artiglieria, mortai, katiuscia, mitraglia. Un apparecchio tedesco cade in fiamme. Feriti che urlano, civili che fuggono, case incendiate..."
 
Su questo settore di fronte terminò l'agosto e si arrivò a metà settembre. Qui la sorte ci fu ancora benigna; solo un pò di fame, ma soprattutto sete. Le notti erano tranquille ma di giorno bisognava stare distesi nelle proprie buche, continuamente sdraiati sotto il sole cocente, altrimenti i russi aprivano il fuoco con i mortai. Ci fu un solo ferito.        
 
A questo punto mi viene da ricordare che la nostra Compagnia aveva in organico anche un ufficiale medico, come per le altre due.
Alla 21ª vi era il S. Ten. Medico Manozzi, romano; alla 23ª il Ten. Medico Domenico Muzzio, pavese, ex alpino, già in servizio all'ospedale di Busto Arsizio (VA), ove tuttora risiede. Alla 22ª era assegnato il Ten. Medico Cutrì, da Mesagne (Brindisi). Lo ricordo a questo punto per le cure prestate al sopra ricordato pontiere ferito.
Restammo per poco tempo, nella stessa zona, a costruire rifugi per le truppe che avrebbero dovuto passarvi l'inverno.
A fine settembre eravamo nuovamente in linea nella zona di Rybnyi. Qui le cose andarono meno bene perché avemmo qualche ferito. Subentravamo alla 1ª Compagnia Pontieri che, come detto più sopra, era stata attaccata da una grossa pattuglia russa subendo alcune perdite; un loro pontiere veniva fatto prigioniero e trascinato verso le linee nemiche. È il caso di dire: buon per lui che avesse avuta rotta una gamba nell'azione; dopo poche centinaia di metri venne abbandonato dai russi ed ebbe la fortuna di essere notato dalla postazioni dei suoi commilitoni che provvidero a ricuperarlo. Ritornati in retrovia furono attaccati da aerei russi che, con mitragliamenti e spezzonamenti, causarono loro alcuni morti e feriti.  
Lascio ancora la parola al Serg. Magg. Montani:
 
"Sembra ormai una cosa abituale. Sul calare della sera si sentono i russi parlare e cantare; è sicuro che durante la notte non ci daranno tregua. Nella notte del 5 ottobre, mentre sto per dare il cambio alla vedetta, una grossa pattuglia russa ci attacca sulla destra; si scatena un inferno, abbiamo alcuni feriti.
11 ottobre, [...] sto riposando nella buca fatta a T, con me c'è un altro soldato. I russi riprendono a sparare con mortai e artiglieria, la terra trema, ci crolla addosso (nota: il terreno è di sedimentazione sabbiosa e non tanto consistente). Vorremmo uscire per non rischiare di rimanere sepolti vivi. La linea è illuminata a giorno con i razzi..." 
 
A questo punto ricordo ancora, per fatto personale, il S.Ten. medico Cutrì. In linea ero stato colpito (si fa per dire) da una violenta e dolorosa forma di enterocolite spastica acuta. Dovetti proprio tornare indietro dov'erano i pontieri di riserva e quindi l'infermeria. Il buon Cutrì mi curò con delle grandi cucchiaiate di carbone vegetale in polvere, senza ostie, e con qualche compressa disinfettante. Grazie anche a Dio, in pochi giorni il disturbo passò e potei tornare al mio posto.
In questo luogo mi capitò un fatto curioso che dimostra come, alle volte, si possano lasciare le penne anche in retrovia. Passando a fianco d'un autocarro capitò che un colpo di vento prendesse il telo che copriva un grosso autocarro Fiat e, scardinandolo da un lato, lo ribaltasse dal lato opposto, esattamente sulla mia testa. Buon per me che la testa finisse tra la parte dell'intelaiatura metallica e le centine in legno; diversamente chissà come sarebbe andata! Traballai ma resistetti in piedi. Fui colpito sul naso, di striscio, da una centina, che certamente m'incrinò il setto nasale e mi produsse una ferita la cui cicatrice mi rimase per alcuni anni; però il danno fu limitato.
 
Alla fine di ottobre ci dettero il cambio i Bersaglieri del 6° Reggimento. Il cambio avvenne al calar delle tenebre. Il rilevamento delle postazioni dei pontieri e la sostituzione con elementi dei Bersaglieri venne fatto dallo scrivente, che fu caldamente pregato dal comandante di quel reparto di restare in postazione con loro perché, effettivamente, non erano assolutamente a conoscenza di quello che avessero di fronte. Aderii a tale richiesta e raggiunsi il giorno successivo il mio reparto.
Tappata questa falla, alla seconda metà di ottobre la 22ª si trasferisce a Padgoria e quindi, in novembre, a Garmascenka alle dipendenze della Divisione Pasubio.        
La 21ª Compagnia raggiunse Luganskaja alla dipendenza di non so quale Comando di Corpo d'Armata.
La 23ª passa alle dipendenze del II Corpo d'Armata; si sposta oltre Kantemirowka passando per Karinoskaja, Gracievo e stabilendosi a Krintshnaja. (V. Ten. Ratti).  
Ritorniamo però alla 22ª Compagnia.  
Nella prima decade di novembre i plotoni pontieri, suddivisi per squadre, furono aggregati a diversi reparti della Pasubio.
La maggior parte di esse vennero assegnate alle batterie di artiglieria, disposte sull'arco di fronte, nell'ampia ansa descritta verso nord, agli ordini del S. Ten. Edmondo Soster e S. Ten. Roberto Cristiani.
 
 
luoni_1Mappa schieramento novembre 1942

Mappa dello schieramento sul Cappello Frigio alla data del 25 novembre 1942.
Tratto da: La Pasubio sul Fronte Russo, di Vittorio Luoni.

 
Due squadre, della forza complessiva di una cinquantina di uomini, rimasero con il sottoscritto a Getreide, presso il comando del 79° Rgt. Fanteria, per essere adibita alla costruzione di alcuni baraccamenti che sarebbero serviti da ricovero invernale al Gruppo Camicie Nere Tagliamento.

 

CAPITOLO 5: Dicembre 1942
Quei pontieri combatterono e scomparvero nel nulla

 

Mancavano pochi giorni all'avvicendamento.

Con le mie due squadre pontieri, nell'attesa, effettuavo lavori di miglioramento agli accessi della strada che dal Comando di Reggiment. portava ai posti avanzati.
Così si arrivò al 16 dicembre '42.
Sarebbe dovuta essere una giornata felice perché erano finalmente arrivati i complementi che ci avrebbero dato il sospirato avvicendamento.
Ma non fu così.
La situazione improvvisamente precipitò; gli avvenimenti presero una piega drammatica, tanto per i suoi risvolti umani, derivati dall'ultima disillusione di un rimpatrio balenato agli occhi e subito svanito, quanto per l'ingiusta ed infausta sorte che si stava preparando per gli uomini della vecchia e della nuova Compagnia.
A questo punto cito testualmente la lettera-rapporto che ebbi ad inviare al nuovo comandante il Battaglione, Magg. Cavalli:

 

Gent.mo Sig. Maggiore

 

Ringrazio per l'interessamento Vostro a mio riguardo.
Nella scorsa fine di dicembre e in gennaio scrissi successivamente due cartoline in franchigia dall'Ospedale di Karcow dando mie notizie, ma mi risultò, dai miei colleghi rientrati, che esse non furono ricevute. Ho saputo quello che ne è accaduto della 22ª Compagnia nei giorni seguenti al mio smistamento verso gli ospedali di retrovia; e Voi, Sig. Maggiore, potete ben immaginare il mio dolore al pensiero che si sono perduti ufficiali e soldati, a cui da tempo ero affezionato, in circostanze così tragiche che certamente sono state impari ed immeritate al loro dimostrato valore.
Cercherò, come mi avete richiesto, di esporre dettagliatamente quanto è accaduto dal giorno 16 dicembre 1942 fino alla mattinata del 18, quando fui ferito.
Accludo una cartina fatta cercando di ricordarmi il luogo.
 
 
luoni1Mappa del Cappello Frigio al 17 dicembre 1942
Mappa dello schieramento italiano nell'area del Cappello Frigio alla data del 17 dicembre 1942.
In viola sono evidenziate le posizioni assunte dalle squadre del Tenente Chiesa.
Tratto da: La Pasubio sul Fronte Russo, di Vittorio Luoni.
 
Voi potete controllare meglio su di una carta topografica.
Le azioni riguardanti la 22ª Compagnia si sono svolte nella zona a nord di GETREIDEi (che si trova a 35 Km. circa a N.E. di Ratsceskoje) e precisamente alla base di sinistra dell'ampia ansa che si volge per una profondità di circa 7/8 Km. verso la parte allora russa, nelle vicinanze di un villaggio che mi pare si chiami Rossoskaja (Krasnogorovka n.d.r.). Alla base destra dell'ansa vi è un altro villaggio che, se non erro, si chiama Ogulew, e più a valle di esso è Monastiritcina.
 
 
16 DICEMBRE
 
Il giorno 16 mattina la situazione della vecchia 22ª Compagnia era questa.
Io mi trovavo attendato (due tende da m. 6x8 più una tenda da m. 4x4) a Getreide ove con due squadre (1ª e 8ª) attendevo alla costruzione dei baraccamenti per il Comando Gruppo CC.NN. Tagliamento. Le rimanenti sette squadre erano state date in sussistenza ai vari gruppi di artiglieria di piccolo e medio calibro, in appoggio alla Divisione Pasubio, che a loro volta le avevano suddivise fra le dipendenti Batterie, con l'incarico di costruire, lavorando assieme agli artiglieri disponibili, le postazioni ed i ricoveri della seconda linea.
Il Ten. Cristiani ed il S. Ten. Soster avevano l'immediata direzione tecnica del lavoro su di una parte del settore di lavoro delle suddette squadre.
Il giorno 15 seppi telefonicamente dal Cap. Barbetta che il giorno seguente sarebbe venuto a darci il cambio con i complementi. Feci quindi avvertire, oltre a Cristiani e a Soster, tutte le squadre di tenersi pronte per l'indomani.
Debbo aggiungere che fin dal giorno 8 dicembre il fronte era attivo. Inizialmente erano state le CC.NN. a fare qualche attacco di sorpresa; in ultimo si sapeva che i russi, a loro volta, attaccavano nel tratto Ogulew - Monastiritcina ma che, pur avendo ottenuto qualche lieve successo, erano stati contenuti. La situazione almeno per quanto potevamo sapere noi ci appariva buona.
Alle ore 11.30 del giorno 16 arrivarono i complementi su sei o sette autocarri. Decidemmo di dare immediatamente il cambio ai miei uomini e rimandarli indietro nella medesima giornata, affinché i nuovi venuti potessero trovare alloggio, se non sufficiente per riposarsi, almeno per passare la notte al coperto.
Nel pomeriggio avrei dato il cambio alle rimanenti squadre e al mattino successivo sarei tornato anch'io a Garmascewka ove era la base della Compagnia.ii
GLI UOMINI DELLE DUE SQUADRE DA ME DIPENDENTI AVEVANO GIÀ PRESO POSTO SU DUE AUTOCARRI PER FARE RITORNO ALLA BASE quando giunse il Cap. Canepari del IV Btg. Artieri il quale, chiamato il capitano e me in disparte, ci comunicò di aver ricevuto ordine dal Comando Genio Divisionale di avvisarci di recarci con tutti gli uomini disponibili in linea. Gli uomini disponibili erano le mie due squadre e tutti i nuovi venuti. I rimanenti uomini anziani erano come  ho già detto, alle dipendenze delle Batterie di artiglieria e certamente avranno seguito le sorti degli artiglieri.
Voi Sig. Maggiore conoscete  l'armamento e le munizioni in dotazione ai nostri avvicendatori; in identiche condizioni eravamo anche noi. Tuttavia se si richiedeva il nostro intervento in linea era perché, pur conoscendo le nostre condizioni, ciò era assolutamente necessario, e non v'era nulla da ridire.
Ci fu ordinato di raggiungere un Comando di Btg., che credo fosse il I del 79° Rgt. Fanteria. Là avremmo ricevuto le indicazioni per disporsi sulla linea di difesa.

Partimmo immediatamente con gli autocarri e giungemmo nelle vicinanze del luogo indicatoci. Al Comando di Battaglione ricevemmo ordine di disporci in prosecuzione delle truppe di fanteria (come risulta dalla cartina allegata) sull'ala sinistra del Battaglione stesso, cercando di collegarci con le nostre truppe (fanteria) che presidiavano Rossoskaja prendendo posizione di fronte alla "balca" esistente in quel tratto e restando sulla linea della strada che, passando per il Comando citato, portava al villaggio.
Gli ufficiali assieme ai quali andavo in linea, oltre che il Cap. A. Barbetta, erano il Ten. Mori, il S. Ten. Focherini e un terzo di cui non ricordo il nome.iii
 
Nel frattempo eravamo venuti a conoscenza che i nostri capisaldi avanzati erano stati attaccati e sopraffatti dopo aspri combattimenti.
Prendemmo posizione verso le ore ventidue. Io, con una parte dei vecchi pontieri, dovevo recarmi in pattuglia al villaggio di Rossoskaja e cercare di prendere collegamento con le nostre truppe che avrebbero dovuto essere colà dislocate, tenendo però presente che soldati isolati provenienti dal villaggio (posto sulla riva destra del Don) assicuravano che esso era già stato occupato dai russi.
Mentre stavamo per avviarci incontrammo una pattuglia di fanteria, comandata da un ufficiale, il quale ci assicurò che il villaggio era effettivamente già stato occupato dal nemico.
Passammo la nottata nella formazione assunta la sera precedente, avendo cioè, come potemmo renderci conto alle prime luci della alba, il fianco in direzione del villaggio. Nulla accadde in quella prima notte.
 
 
chiesa2Mappa dei cambiamenti di posizione della 22ª Compagnia (1,2,3)
Mappa dello schieramento italiano di fronte all'abitato di Krasnogorovka alla data del 17 dicembre 1942.
In viola sono evidenziate le posizioni assunte dalle squadre del Tenente Chiesa:
1 - Posizione assunta la sera del 16 dicembre
2 - Posizione assunta la mattina del 17 dicembre (rotazione)
3 - Posizione assunta nel pomeriggio del 17 dicembre (arretramento)
 
 
17 DICEMBRE
 
All'alba ricevemmo ordine dal comandante di Btg. (Fanteria) di far perno sulla destra della nostra Compagnia e descrivere con l'ala sinistra un arco fino a portarci ad avere il villaggio di fronte e collegarci con l'ala destra di un reparto tedesco che terminava in una "balca" parallela alla prima.iv
Essendo io alla sinistra eseguii il movimento e mi misi a contatto con i tedeschi. Prendemmo così la seconda posizione tracciata sulla cartina, venendoci a trovare sullo spartiacque di un terreno che avanti a noi scendeva gradatamente al villaggio e dietro a noi aveva pure un leggero declino per un tratto di duecento metri ma che poi ancora risaliva di una trentina di metri a formare la cima della collina dietro alla quale stavano piazzati un pezzo anticarro tedesco e, cosa che vidi quando fui condotto là ferito, anche un paio di nostri mortai da 81.
In questa posizione dovemmo rimanere tutto il giorno sdraiati per terra, nella neve, per sottrarci ai frequenti tiri dei mortai russi.
 
Nel pomeriggio ricevemmo un nuovo ordine dal comandante di Btg. (Fanteria) il quale diceva che all'imbrunire, e precisamente alle ore 15.00 (ora italiana), dovevamo spostarci di un duecento metri più indietro per sistemarci bene in linea con il reparto tedesco.
IN TAL MODO VENIVAMO A TROVARCI NEL BASSO DELLA CONCA formata, come già accennato più sopra, sul fianco della collina.v
La fatalità ha voluto che, proprio a non più di cinque minuti alle 15.00, mentre i soldati della destra della nostra Compagnia, come tutti gli altri, stavano preparandosi per spostarsi sulla nuova posizione, saltasse loro davanti, sbucando dalla "balca" che avevano ancora a non molta distanza, un pattuglione russo armato di fucili e buon numero di "parabellum" ottenendo, com'è naturale, un breve momento di sorpresa.
Si sviluppa quindi un'azione, già nell'oscurità, a cui prendono particolarmente parte gli uomini che stanno sul lato del tratto investito. L'azione prosegue per più di mezz'ora nella notte finché non si sentono le grida dei russi che si ritirano; gli spari cessano e noi, rettificando la linea, ci veniamo a trovare a un centocinquanta metri dietro a quella iniziale, quasi al posto della posizione indicataci da prendere. Rimaniamo colà. Nell'azione non abbiamo avuto alcuna perdita.
 
Durante la notte, il capitano (Barbetta), che già da qualche giorno era febbricitante e che verso sera aveva dovuto recarsi alle tende in cui ero sistemato io per i lavori, poté farci avere delle munizioni e un po' di viveri.
Nella notte, con i pochi badili e gravine già a disposizione per i lavori, riuscimmo a scavarci qualche angusta buchetta nel terreno profondamente gelato e, sistemando la neve attorno, prepararci a difenderci meno dai russi che non dall'aria eccezionalmente gelida.
 
 
 Mappa_Chiesa01Pietro Chiesa: bozza mappa zona operazioni
Schizzo autografo del Tenente Chiesa (matita su carta).
Rappresentazione delle posizioni assunte dalle sue squadre nell'area di Krasnogorovka

 

18 DICEMBRE
 
Venuta l'alba, con un caporalmaggiore dei nuovi venuti, di cui non conosco il nome, andando a vedere verso le posizioni da noi occupate la sera prima, potei constatare che sei o sette russi erano rimasti uccisi nel corso del contrattacco della sera precedente; ricuperammo anche due "parabellum".
Ma ecco che subito dopo le otto di mattina avvenne quanto era da attendersi come conseguenza dell'attacco d'assaggio antecedente.
Incominciarono a giungere a pochi metri dalla nostra linea i colpi dei mortai d'assalto nemici, poi dall'altura a noi di fronte si incominciarono a veder alzarsi i primi elmetti imbiancati dei russi che si avvicinavano, celandosi tra gli arbusti secchi, in ordine sparso, attaccando su tutta la linea a noi in vista.
Si fanno sempre più vicini. Sparano con i fucili e i "parabellum" e noi rispondiamo con i nostri soli fucili.
Il pezzo anticarro tedesco appoggia, com'è naturale, il reparto tedesco. Ad un tratto innanzi a noi i mortai nemici tacciono; i russi saranno a non più di 70 - 80 metri e avanzano decisi.
Restare ancora nei nostri buchetti inefficaci non sembra più opportuno.
 
Si esce anche noi; lentamente ma decisamente andiamo verso loro. Ormai l'esito dell'azione non è che questione di volontà e ai pontieri, che sono ormai quasi tutti i nuovi (i vecchi, con pochissimi indumenti di lana, senza sottocappotto perché avvicendabili non hanno potuto resistere al freddo delle notti e più o meno congelati sono stati condotti ai posti di medicazione)vi e che ora si sono mossi contro il nemico, non si può dubitare manchi la volontà.
A questa vista il nemico tentenna, siamo entrambi allo scoperto, solo le erbe essiccate ci possono nascondere alla vista. Gli elmetti russi, che prima si alzavano numerosi, incominciano ad alzarsi in minor numero e più dubbiosi; continua ancora un po’ l'azione, poi i nemici incominciano a ritirarsi.Se ne vedono di quelli che si alzano fino ad offrire la schiena come bersaglio. Peccato non aver avuto armi automatiche!
Ne avrebbero lasciati ben di più di quanti non ne avranno.
A questo punto, ormai finale dell'azione, forse per coprire la loro ritirata, i mortai russi si rimettono a sparare. I colpi cadono ancora sulle nostre linee, che ormai però sono alle nostre spalle. A questo punto sento una sferzata alla schiena, all'altezza della cintola.
Oltre che il dolore, che non sarebbe molto forte, mi sento impedito a fare i movimenti del busto: come mi fu detto più tardi all'ospedale, il proiettile non era penetrato in cavità, perché allora sarei stato spacciato, ma mi aveva preso di striscio recidendo una buona parte del muscolo e spezzando un una parte di apofisi dalla colonna vertebrale.
Nella stessa azione, più gravemente ferito di me da una pallottola che gli trapassò la spalla, fu il S. Ten. Focherini. Disgraziatamente non sono in grado di segnalarVi nessuno in particolare perché io non conoscevo nessuno dei nuovi venuti. Forse il S. Ten. Focherini potrebbe dirVi qualcosa di più preciso in riguardo. Io posso sinceramente dirVi che i nuovi pontieri della 22ª sono stati ben degni di quelli della battaglia di Petrowka dello scorso febbraio 1942 (a cui né io né la 22ª Comp. ebbe a prendere parte), che il loro morale in quei giorni è stato ottimo, che il nemico non è passato e che se hanno subito più tardi un immeritato e ingiusto destino è solo perché essi, come gli eroi della Pasubio e della Torino, come le CC.NN., hanno saputo resistere e rimanere sul posto fin quando la forza umana non era più in grado di aiutarli a continuare la lotta.
Li ho visti sempre tranquilli e sereni e, mentre venivo accompagnato verso la cima, ove stava il pezzo anticarro tedesco, da dove poi dovevo essere trasportato alla Sez. di Sanità, li udii ancora gridare per la soddisfazione del successo ottenuto.
Proprio di fianco a me un pontiere, sempre dei complementi, fu ferito ad un piede (e so che anch'esso fu smistato verso le retrovie); un secondo pontiere, poco discosto, perdette la vita; ma purtroppo non conosco i loro nomi!
Il giorno 18 sera fui smistato con un'autocolonna di feriti che doveva dirigersi a Ratsceskoje ma, essendo quest'ultima località risultata già occupata dai russi fin dal mattino, si dovette tornare indietro riuscendo, dopo un lungo giro, a portarci al villaggio ove si trovava il Comando della Divisione Torino.vii
Allora ci rendemmo tutti conto della situazione in cui si trovavano coloro che ancora erano in linea e in cui ci trovavamo anche noi. Comprendemmo fin da allora che essi avrebbero data la vita o la loro libertà per la salvezza della nostra; e purtroppo così fu.
Il destino ha voluto essere ingiusto con loro perché essi avevano saputo resistere.
Ringrazio vivamente per gli auguri Vostri e degli ufficiali del Battaglione. Porgo a Voi e agli ufficiali il mio cordiale saluto augurando ogni bene e fortuna al Battaglione.

 

Ten. Cpl. Pietro Chiesa

 

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Per la cronaca riporto qui anche la lettera con la quale il Magg. Cavalli, nuovo comandante il Battaglione, mi richiese la relazione suddetta.

 

IX BATTAGLIONE PONTIERI
Il Comandante – Posta Militare 20 – lì, 27 marzo 1943-XXI

 

Caro Chiesa,

 

ho avuto molto piacere nel sentire tue notizie dall'Italia attraverso una cartolina inviata al Comando di Battaglione.
Attraverso i frammentari racconti di pochi militari della ex 22ª Compagnia scampati dalle varie sacche e portatisi miracolosamente in salvo, ho appreso quanto questo reparto abbia operato sul fronte del Don, e con il sacrifizio di numerosi soldati abbia ben meritato dalla Patria.
Tale sacrifizio non costituisce una cosa vana poiché il Battaglione ha sempre nel cuore il reparto della 22ª Compagnia, che con il suo comandante, scomparve nella mischia sotto la dilagante valanga nemica. Come gli eroi dell'antichità, tutti i loro nomi sono scolpiti nel cuore dei superstiti.
Allo scopo di poter procurare un segno tangibile di riconoscimento per tanto valore, ti sarei veramente grato se tu potessi inviarmi una relazione dettagliata e specifica dei fatti d'arme cui ha partecipato la Compagnia, a tua conoscenza e per testimonianza e partecipazione diretta sulla quale base io possa redigere per le superiori autorità la mia relazione di comandante.
Ti sarò grato se in tale rapporto vorrai essere dettagliato anche di episodi specifici di valore di militari (soldati, graduati, sottufficiali e ufficiali), per cui si potrebbe avanzare proposta di ricompensa al valore.
Ti sarò grato se vorrai dirmi qualche cosa sul tuo fatto d'armi specifico in cui sei stato ferito.
Ti ringrazio molto e a nome del Battaglione ti porgo vivissimi auguri, mentre da parte mia abbiti un caro abbraccio.

 

Il Comandante il Battaglione
Magg. R. Cavalli

 

 
Per quanto sopra esposto veniva concessa alla Compagnia la:

 

MEDAGLIA DI BRONZO AL VALORE MILITARE alla Bandiera (22ª Compagnia, IX Btg., 1° Reggimento Pontieri) 
"Ha partecipato alla Campagna al Fronte Orientale (Russia) col Corpo di Spedizione (C.S.I.R) e poi con l'8ª Armata.
Ha efficacemente contribuito all'avanzata con la costruzione di varie ed importanti opere d'arte.
Durante la battaglia difensiva invernale ha difeso strenuamente sulla prima linea le posizioni affidate, resistendo fino all'ultimo limite del sacrificio finché, accerchiata da preponderanti forze nemiche, venne dopo strenua e disperata resistenza, quasi completamente distrutta."
(B.U. 1948 -disp. 5 - pag. 549)
 

Note:

i      La località chiamata GETREIDE in realtà non credo risulti dalla cartografia russa. Non ho mai visto cartelli in russo ad indicare tale località ma soltanto cartelli tedeschi.
Si trattava di pochi casamenti, poco più di una fattoria collettiva. Ricordo un fabbricato in muratura, in cui era sistemato il Comando di Reggimento; una dacia, parte in muratura e parte in legno, ove erano sistemate l'infermeria e la mensa ufficiali. Altri fabbricati, forse magazzini, in cui non misi mai piede, ed una torre rotonda in cui, per mezzo di un mulo e di un rudimentale macchinario, si macinava il frumento.
Pochi anni or sono ebbi modo di conoscere la probabile origine di tale indicazione data dai tedeschi: Getreide, in tedesco significa "granaglie". Forse era l'abbreviazione di "Getreidespeicher" (magazzino di granaglie) e come tale era un punto di riferimento.

ii    È da notare il fatto che io, nella relazione inviata al Maggiore Cavalli, nuovo Comandante del IX Battaglione, chiamo sempre "Compagnia" il reparto risultato formato dalle mie due squadre più tutti i pontieri appena arrivati di complemento. Questo è derivato dal fatto che tutti questi uomini per me, istintivamente, configuravano una Compagnia. In realtà, bisogna tener presente che oltre a questa "Compagnia" esistevano, sull'arco della Pasubio, altre sette squadre di pontieri, sempre della vecchia 22ª Comp., adibite a lavori di postazioni invernali. Praticamente si arrivava alla consistenza di quasi due Compagnie.
A questo punto è a tutti comprensibile l'entità della perdita di vite umane, di cui nemmeno io ho mai potuto rendermi conto.
Questi pontieri di complemento hanno appena fatto in tempo ad arrivare in Russia per venire immediatamente dislocati in prima linea come fanti, vincere uno scontro, ma essere presi alle spalle dalle truppe russe che, negli stessi giorni, avevano sfondato il fronte della Divisione Ravenna con truppe corazzate arrivando fino a Kantemirowka, una sessantina di chilometri alle nostre spalle.

iii     Forse è il Ten. Bonansea.
È da tener presente che si trattava di complementi appena arrivati, trasferiti immediatamente in linea e dislocati a distanze diverse, con i quali non era possibile, per la particolare situazione di emergenza, mantenere contatti personali diretti.
La stessa cosa dicasi per i soldati.
Mi sono trovato, da un giorno all'altro, anche a causa della continua perdita dei miei vecchi pontieri provocata dal congelamento degli arti, a dover comandare altri pontieri che non conoscevo assolutamente e dei quali non sono riuscito a tenere in mente neppure i nomi di battesimo, nei due giorni che sono stato in mezzo a loro.

iv   "Balca" corrisponde all'italiano "calanco"; è costituita da una più o meno profonda erosione, prodotta nel suolo dalle piogge e dal disciogliersi della neve. Si verifica, naturalmente, nelle zone già depresse del terreno e segue la linea di massima pendenza dello stesso.
Per tale ragione si comprende come la sera della nostra disposizione in linea ci venimmo a trovare col fianco destro del reparto disposto verso il cucuzzolo della collina e quello sinistro verso il villaggio, che il comandante il Btg. di fanteria credeva essere ancora nelle mani di un suo reparto di mitraglieri.
La successiva rotazione, tra la suddetta "balca" e quella parallela, era quindi necessaria per offrire il fronte ai russi e non il fianco.
A mio avviso, fu invece molto discutibile il successivo arretramento della linea, che ci portava in una zona depressa certamente più sfavorevole del costone antistante. La differenza di livello non era tuttavia di grande entità e ammetto che possa anche essere sfuggita al Comandante di Btg. di fanteria, dal suo posto di osservazione.
(quanto sopra lo preciso, non per chi è stato in Russia, ma per le altre persone che non sono state in quei posti e avranno la volontà di leggere queste righe).

v     A qualcuno può interessare il sapere come eravamo disposti e sistemati in linea.
La disposizione era a gruppi di due o tre uomini ogni 20 / 25 metri. La sistemazione non era per niente originale: sdraiati per terra, nella neve; altrimenti, come ci si alzava in più di due o tre persone arrivavano i colpi di mortaio russi. Ci si poteva alzare durante la notte; ma le notti, prima del ripiegamento, furono solamente due. Nella prima non si potè fare niente e del resto non sarebbe servito a nulla perché il giorno successivo si sarebbe variata la disposizione. Nella seconda notte, con gran fatica a causa del terreno incredibilmente gelato anche in profondità, ogni gruppo non poté che scavare una piccola area di pochi centimetri di profondità, ammucchiando attorno a essa un bordo di neve, in modo da potersi almeno proteggere un poco dall'aria gelida.

vi    Mi si chiederà come mai soltanto i vecchi pontieri fossero soggetti ad assideramento.
In conseguenza del loro avvicendamento erano stati loro ritirati gli indumenti di lana. I complementi invece erano dotati di tali indumenti e, inoltre, possedevano un sottocappotto.
Io potei resistere abbastanza bene (ebbi solo un principio di congelamento ai piedi) in quanto avevo abiti di lana personali, parte dei quali ricevuti dall'Italia, dalla allora mia fidanzata Aldina Tacchinardi.

vii   Quando fu iniziato il ripiegamento insieme ai resti della Div. Pasubio, alla quale eravamo aggregati, e ai resti delle CC.NN la 22ª Comp., fino allora imbattuta, si trovò ogni via di scampo preclusa e dovette subire, come i resti della Div. Pasubio, pure attaccata, decimata ma non sconfitta, l'umiliazione e la sventura di essere presa alle spalle da preponderanti forze corazzate russe, subendo gravi perdite in vite umane e prigionieri.
Pochissimi riuscirono ad aprirsi un varco e ad arrivare nelle retrovie. Dei prigionieri, ritornati in Italia a guerra finita, ne ritrovai soltanto due. Di pontieri della originaria 22ª Comp., solo qualcuno. A Salsomaggiore, ove fui ricoverato per la ferita riportata, ritrovai alcuni miei soldati anch'essi colà ospedalizzati a causa soprattutto di congelamento ai piedi. Il gelo aveva loro salvato la vita, ma non dico la loro sofferenza per quelle dita che sembravano carbonizzate ed emananti un insopportabile fetore cadaverico.
Degli ufficiali della 22ª Comp., vecchi e nuovi venuti, ci salvammo soltanto in tre: il Ten. Parisi (addetto allora agli automezzi), che si trovava alla base del Comando di Compagnia, a Garmascewka, mi pare ad una quindicina di chilometri in retrovia, avvisato in tempo da una provvidenziale telefonata; il S. Ten. Focherini, che ebbe una spalla trapassata da un proiettile; e lo scrivente, colpito da una scheggia alla spina dorsale. Entrambi, trasportati all'ospedale divisionale, avemmo la fortuna di salvarci, dopo due giorni di preoccupanti traversie, filtrando tra le maglie delle avanguardie delle colonne motorizzate russe e arrivando alla cittadina di Millerowo. Di quest'ultima inquietante esperienza racconterò a parte.

 

 

Fine


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