di Patrizia Marchesini

 

 

 

Romagna, terra solare e generosa. Qui, in un giorno di quasi primavera, ho conosciuto Marzio e i suoi familiari, cui sono grata per l'accoglienza e la collaborazione... in modo particolare a Fiorenzo (uno dei due figli di Marzio). Un ringraziamento sentito anche ad Amerigo Camugnani, che ha reso possibile questo incontro.

Sono molto contenta di avere realizzato l'intervista perché nel sito U.N.I.R.R., finora, mancava la voce di un bersagliere.

Di seguito il testo, da cui – indecisa fino all'ultimo – ho scelto di eliminare alcune espressioni forse un tantino colorite. Da un romagnolo doc come Marzio non mi aspettavo niente di meno per rafforzare certi passaggi e ho davvero apprezzato la schiettezza e la vivacità di questo burdèl di novantasei anni.

Buona lettura...

 

Al Fronte Russo con il 6° Reggimento Bersaglieri... Prime esperienze

 

Predappio, 18 marzo 2016

 

Quando partì per il Fronte Orientale?1

Non ricordo il giorno preciso, ma era pieno inverno, perché nevicava. Siamo partiti dalla Caserma Fondazza.2

C’erano due donne, che ci buttavano i garofani...

 

1931. Caserma Fondazza: premiazione gara ginnica

 

 

Nel descrivere la partenza per un qualsiasi fronte di una qualsiasi guerra, un soldato – di solito – riferisce sentimenti di nostalgia, di preoccupazione per la famiglia che rimane in Patria, di angoscia per il futuro incerto.

Io non ho mai pensato a niente... vivere, morire... non mi preoccupavo. Ho sempre detto signorsì, e basta.

Certo, ero dispiaciuto nel lasciare la fidanzata, che sarebbe poi divenuta mia moglie. Ma allora era tutto molto semplice: “Ciao, arrivederci...”, non come oggi.

 

Il 6° Reggimento fu comandato dai colonnelli Umberto Salvatores e Mario Carloni.3 Li ha conosciuti entrambi? In cosa differivano i due ufficiali?

Li conoscevo di vista. Per me entrambi hanno fatto il suo dovere.

 

Lasciata la tradotta, il viaggio verso il fronte proseguì a tappe motorizzate. Cosa ricorda, di quegli spostamenti? E quali furono i disagi maggiori che doveste affrontare, nel bel mezzo di un inverno che tutti ricordano come rigidissimo?

Marzio Guidi in una foto scattata durante il servizio militareArrivati – in treno – fino a Uman, siamo rimasti in attesa degli autocarri per trasportarci. Dalla tradotta, a Stalino, abbiamo scaricato le biciclette... saranno rimaste là? Noi non le abbiamo viste mai più.

Certo, in quel periodo non avremmo potuto utilizzarle, con il gelo e la neve. Quest’ultima, quando soffiava la bufera, si accumulava e raggiungeva spessori notevoli, lasciando però scoperto il terreno in altri punti.

Il viaggio fino al fronte – dovevamo dare il cambio ai Tedeschi in un certo settore – durò ventidue giorni, percorrendo sì e no una ventina di chilometri al giorno.

Molte volte – in assenza di asfalto – abbiamo dovuto spingere i mezzi. Gli autisti erano ragazzi molto giovani, e non avevano grande esperienza di guida. Ricordo i piedi spesso bagnati. A bordo del camion – per il gran freddo – li battevamo sempre sul pianale, per riattivare la circolazione.

Anche il mangiare era scarso. Ci davano i soliti maccheroni, che arrivavano duri come il ghiaccio. Se i rifornimenti non riuscivano a raggiungerci, bisognava arrangiarsi.

Abbiamo fatto sosta in paesi distrutti dai bombardamenti. Case e scuole non avevano più i vetri alle finestre. Causa la guerra, erano luoghi per lo più disabitati.

Lungo la strada, in diverse occasioni abbiamo visto dei Russi appesi. Cioè, impiccati dai Tedeschi... forse con l’accusa di essere partigiani, o forse per altri motivi... Noi andavamo avanti. Io, a ventidue anni, non sapevo niente.

 

Quando si parla di Fronte Orientale, di solito si pensa a paesaggi monotoni, contraddistinti – nei mesi più freddi – da un colore bianco-grigio piuttosto uniforme. Ma se invece di un ricordo visivo le chiedessi un suono? Un rumore che per lei è il simbolo di quelle terre?

Non posso dimenticare il rumore degli aerei tedeschi, quando ci bombardarono per sbaglio... Ma questo accadde in seguito.4

 

Dove venne dislocato, nei primi tempi, il XIX Battaglione?5

Non ricordo. Ma rimanemmo fermi per sei mesi.

La nostra Compagnia – la 10ª – era composta da circa cento uomini e aveva a disposizione tre mitraglie. Io – caporal maggiore – comandavo la 9ª Squadra, in tutto una quindicina di bersaglieri.

Facevo servizio di notte. Bisognava mantenere i collegamenti con le altre Squadre, per evitare infiltrazioni da parte dei Russi.

Vivevamo in pratica, dentro buche profonde sì e no due metri.

I ricoveri – nel mio stavamo in cinque o sei – erano stati predisposti dai Tedeschi, che avevano fatto un buon lavoro, usando le traversine in legno della ferrovia danneggiata per rinforzare le pareti e il soffitto.

I Tedeschi ci avevano anche lasciato del carbone e una stufetta, ma il combustibile finì presto. Per distrarci dal freddo intenso e per fare passare il tempo durante il giorno, parlavo di questo e di quello in dialetto romagnolo con i commilitoni originari delle mie parti.

 

Marzio (evidenziato nel cerchio) in una foto precedente la sua partenza per il Fronte OrientalePoi mi assegnarono a quello che chiamavamo posto fisso. Dovevo stare fermo alla mitraglia, pancia a terra, guardando nel buio.

Una notte sentii un rumore, una specie di brr-brr. Un fruscio, un parlottare sottovoce. Erano i Russi, in procinto di attaccarci. Chiesi conferma a un soldato, a pochi metri da me, ma era indeciso. Diedi l’allarme al Comando Compagnia con la pistola lanciarazzi – mi presi questa responsabilità – e tutte le mitraglie aprirono il fuoco.

Sparavamo noi, e sparavano loro, i Sovietici.

Avevano armi che funzionavano sempre. Le nostre, invece, a volte si inceppavano.

La prima volta che tentai di usare la mitraglia... tin, si fermò subito.

Il problema non era tanto il freddo, ma la molla troppo dura e compressa. Per risolvere l’inconveniente dovevamo caricare alcune pallottole in meno, rispetto alla capienza prevista dal caricatore.6

 

Tornando a quella notte... Non so se avessimo ucciso qualcuno. C’era una balka e i nostri avversari credo si fossero riparati là.

Il mattino seguente due Russi, con le mani alzate, si diedero prigionieri; ricordo che erano proprio Russi... altri dell’Armata Rossa – lo scoprii in seguito – erano piccoli, con la carnagione giallastra e lineamenti orientali.

Fui proprio io ad accompagnare i due al Comando di Compagnia, ma non so cosa gli sia successo.

Pensavo che l’avere dato l’allarme mi avrebbe fatto ottenere una Croce al Valor Militare: se non fossi stato sveglio, o se fossi stato sordo, come lo sono ora... i Russi sarebbero giunti indisturbati alle nostre posizioni.

In un’altra occasione, il tenente mi disse:

“Dai, Guidi, che stasera andiamo a rompere le scatole ai Russi, in quel boschetto laggiù.”

“Andiamo pure.”, risposi.

E così facemmo. Arrivati sul posto, una mitragliata... e via, di corsa, verso le nostre posizioni.

 

Che cosa temevate di più, degli avversari?

Erano il nemico, e basta. Allora – essendo al fronte –  la si pensava così e non riflettevamo molto su certi aspetti. Ora, invece, mi chiedo perché fossimo andati in Unione Sovietica.

 

Le operazioni nel bacino minerario del Mius – Serafimovič e la "Prima Battaglia Difensiva del Don"

 

Nel luglio 1942 riprese l’avanzata. La Divisione Celere e il suo XIX Battaglione parteciparono alle operazioni per la conquista del bacino minerario del Mius (Krasnyj Luč). Se non sbaglio alcuni stukas tedeschi vi bombardarono. Vuole raccontarci qualcosa?

 

 

Quel giorno – era il 14 luglio 1942 – la mia Squadra entrò nell’abitato7 per ultima. Vedemmo feriti e morti e anche noi avemmo delle perdite. Sia per le mine, su cui ogni tanto saltava qualcuno, sia per i colpi di mitraglia sparati dall’avversario.

Fu il mio battesimo del fuoco, la mia prima vera azione di guerra al Fronte Russo.

Ricordo che si andava avanti per un po’, poi ci si buttava pancia a terra. Le pallottole fischiavano intorno e quando colpivano il suolo vicino a noi, il terriccio schizzava negli occhi.

 

Quando arrivarono gli stukas, fecero tre picchiate. Mi salvai solo perché ero già in mezzo al paese. Ma chi era all’inizio del centro abitato venne colpito... vi furono diversi morti.8

Problemi di comunicazione tra i Comandi: non ci avevano avvisato. Saremmo dovuti rimanere in periferia, a circa mezzo chilometro dal villaggio, per dare modo ai nostri alleati di portare a termine la missione prevista. Si parlò anche di teli di segnalazione sistemati non correttamente. Noi soldati non capimmo bene di chi fosse la responsabilità di quell’errore tragico.

Ricordo che durante l’azione il tenente 9 mi incitava a perlustrare le case:

“Dai, Guidi. Controlla che non ci siano rimasti i Russi.”

Io andavo, anche negli scantinati dove la popolazione conservava le patate e altri prodotti... ma c’erano solo donne, vecchi e bambini.

Rammento che alcuni dei nostri salvarono dei bimbi da un’isba in fiamme.

 

Ecco la motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare conferita al tenente Tullio Petazzi - Dal data-base dell'Istituto del Nastro Azzurro

 

Quel giorno i Tedeschi ci elogiarono: “Bravi, Italiani!”

Infatti, il 13 luglio, i nostri alleati avevano provato a occupare quella città, senza riuscirci.10

 

Il 24 luglio la Divisione Celere fu messa temporaneamente a disposizione della 6ª Armata tedesca, e ricevette ordine di eliminare la testa di ponte sovietica a Serafimovič, sulla riva destra del Don.

Dal 27 luglio – nello specifico – la Celere andò a supportare il XVII Corpo d’Armata tedesco del generale Hollidt. Un suo ricordo di quei giorni drammatici.

Di quel periodo non sono in grado di riferire molto perché – grazie alla mia bella scrittura – mi mandarono a fare l’aiuto-furiere della Compagnia.

 

La foto, sebbene non scattata da Marzio, è in suo possesso. Sul retro si legge: "Garo armato russo gaput"

 

Il nostro ufficio era una tenda, e le giornate passavano scrivendo i documenti necessari per quanti inviavano a casa i soldi. Tra le nostre mansioni, purtroppo, c’era anche la stesura di elenchi dei morti della Compagnia: io evitai i combattimenti di quel periodo... facevo il gigione, ma gran parte degli altri – quelli non addetti a certi servizi – andò in battaglia e vi furono perdite notevoli.

A dire il vero non sempre stavo in fureria. Mi capitò anche di stare nelle postazioni, ma non mi capitò mai di andare all’attacco e di essere coinvolto negli scontri.

Una volta i Russi iniziarono a tirare granate. Ero in una buca insieme a una ventina di bersaglieri. Il cuore batteva forte. Sentii l’impulso improvviso di scappare. Mi tolsi di lì. Poco dopo un colpo avversario cadde proprio nel punto in cui ero fino a un momento prima. Sembrava che il Signore mi avesse avvertito di andare via.

 

Dagli ultimissimi giorni di luglio al 3 agosto 1942 – combattendo duramente – la Divisione Celere raggiunse l’obiettivo assegnato ed eliminò la testa di ponte avversaria. Le perdite furono ingenti.

Colgo qui l’occasione per chiederle quale assistenza ricevevano generalmente i feriti e con quale modalità venivano recuperati i caduti.

Un mio amico del ’17 – era di Faenza – rimase ferito... se ricordo bene eravamo già a settembre. In un primo momento, per andarlo a recuperare, vennero feriti altri due: a uno di essi un proiettile portò via il naso.

I Russi, nel vedere tutti questi movimenti, prendevano bene la mira e si divertivano. Ma non si poteva lasciarlo là, nella terra di nessuno. Certi commilitoni erano come fratelli, per noi.

Il mio amico fu poi sistemato su un mezzo diretto all’Ospedale da Campo. Aveva una gran sete e io mi allontanai un attimo per portargli da bere. Quando tornai il camion non c’era più, era già partito.

Si può dire che la Sanità era efficiente e che i feriti venivano sgomberati abbastanza in fretta... Il mio amico, tuttavia, non ce la fece... le sue ferite erano troppo gravi.

Messa al cimitero campale di Bahmutkin - Settembre '42Ero molto addolorato, lo consideravo quasi un babbo. Essendo di tre anni più vecchio di me, ai miei occhi era... anziano.

Venne poi sepolto in uno dei nostri cimiteri, e i suoi resti sono rientrati in Italia anni fa.

 

Un’altra volta – eravamo a circa mezzo chilometro dal fronte – un bersagliere di Dovadola11 venne colpito dagli srapel12 e morì perché una pallina13 gli andò dritta al cuore.

Non lo portarono al cimitero, bensì alla tenda dove mi trovavo io... perché era un mio amico. Ho anche una foto, dove lui è sulla barella.14

Si chiamava Attilio Pezzi,15 la foto la scattai proprio io... avevo la macchina fotografica.

A parte il caso del mio amico Attilio, chi moriva in combattimento veniva portato al cimitero che – in quel periodo – era a circa trecento metri da noi.

Il cappellano militare provvedeva poi a celebrare una messa per quanti erano caduti.

 

A volte, soprattutto ora che sono rimasto solo, la notte mi vengono certi pensieri, certi ricordi brutti. Per esempio, quando stavamo nei ricoveri, insieme ai morti... non vi era sempre la possibilità di seppellirli subito.

Per non sentirne l’odore, fumavo spesso la pipa.

Quelle cose hanno fatto parte della mia vita e, anche se sono trascorsi tanti anni, non è facile lasciarsele alle spalle.

 

Poiché la Divisione Celere fu messa – per quanto riguarda gli scontri nell’ansa di Serafimovič – a disposizione del XVII Corpo d’Armata germanico, le chiedo un ritratto degli alleati tedeschi.

Non ho mai avuto contatti particolari con i nostri alleati, quindi non saprei rispondere.

Posso dire che – durante la ritirata – si mostrarono spesso prepotenti. Raus!,16 dicevano quando volevamo entrare nelle case, che loro avevano già occupato, per ripararci dal freddo.

 

18 agosto 1942

 

Contatti eventuali con altri alleati. Romeni, per esempio?

Non ricordo di averne visti se non, forse, nei giorni del ripiegamento. In una città grande come Bologna17 si erano raccolti soldati di varie nazionalità. Ma non posso dire con certezza di avere conosciuto dei militari romeni.

 

La Divisione fu poi ritirata dalla linea per un periodo indispensabile di riposo, tranne il XVIII Battaglione del 3° e due Compagnie Motociclisti...

Ma tale riposo durò ben poco, in quanto gli avversari scatenarono quella che – per noi Italiani – è passata alla storia come Prima Battaglia Difensiva del Don. La Celere fu lanciata all’attacco suddivisa in due colonne.

Il XIX Battaglione – insieme al XVIII Btg. del 3° – fu proiettato verso quota 208,4.

Ho letto che la quota fu letteralmente pelata durante l’attacco, e che tutti i girasoli vennero spazzati via dai tiri della 272ª Compagnia Cannoni Controcarro da 47/32.18

 

I settori di Serafimovič e Jagodnyj dove fu impegnata la Div. Celere

 

 

Fu senz’altro un periodo duro, ma anche in questo caso io non vi presi molto parte, a causa delle mansioni che via via mi affidavano. Un giorno andavo a combattere, e l’altro giorno ero in fureria, oppure al telefono... per mantenere i collegamenti tra la Compagnia e i Comandi. Facevo un po’ di tutto.

Un commilitone raccontò – se è vero – che in quei giorni era sopravvissuto dopo che un carro russo gli era passato sopra: lui si era sdraiato in una buca, e per questo si salvò. Si chiamava Vallicelli Flavio, ed era il babbo di un musicista dell’Orchestra di Raoul Casadei.19

 

Con la conclusione della Prima Battaglia Difensiva del Don, giunsero dall’Italia i complementi destinati alla Divisione Celere.

Di essi il 6° Reggimento aveva estrema necessità, dopo le perdite subite nelle prolungate operazioni estive.

Cosa ricorda, dell’arrivo di tali complementi?

Un giorno vidi passare un reparto di complementi destinati – però – a una Divisione di Fanteria.

Cantavano, spensierati. Credevano di andare a una festa.

In linea, per un morto fra quelli che erano in Russia da tanti mesi, ce n’erano dieci dei complementi, ragazzi senza troppa esperienza.

 

  • Settembre '42 - Il capo furiere della 10ª Compagnia - Sulla destra, la tenda-ufficio
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  • 12.09.1942 - Al lavoro
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  • 12.09.1942 - Un momento di relax
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  • 15.10.42 - Marzio Guidi con il piumetto
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  • 18.10.42 - "Il mio grande albergo per un mese"
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Un lutto importante: il rientro in Italia, il ritorno al fronte e il rimpatrio definitivo

 

So che, purtroppo, in autunno le venne comunicata la morte di suo padre e tornò in Italia, usufruendo della licenza prevista in quei casi.

Arrivò il telegramma mentre ci stavano facendo le vaccinazioni.20

Ricevetti, quindi, una notizia molto triste.21 Mi diedero dieci giorni da impiegare per il viaggio verso l’Italia, altri dieci giorni da trascorrere con la mia famiglia e ancora dieci giorni per il rientro al fronte: in tutto, un mese di licenza.

In quel periodo la situazione sul Don era abbastanza tranquilla.

 

Novembre 1942 - Stazione di Kiev - In viaggio per l'Italia, in seguito alla morte del padre

 

Terminata la licenza, andai a Udine, da dove sarebbe partito il treno diretto al fronte.

In stazione c’era la moglie di un colonnello dei bersaglieri che in quel momento si trovava in Russia.22 La signora cercava qualcuno disposto a portare un pacco al marito. Conteneva bottiglie di liquore e maglie di lana ed era accompagnato da una lettera.

Altri bersaglieri in partenza si erano disinteressati della richiesta della signora. Dicevano: “Ma come faccio a trovarlo, là, il colonnello?”

Invece io accettai di farle il piacere. La signora, per gratitudine mi baciò e mi abbracciò... sarebbe potuta essere la mia mamma: io avevo ventidue anni, e lei era sulla quarantina.

 

Il 17 dicembre 1942, i Sovietici – che, con l’Operazione Piccolo Saturno, stavano attaccando le Divisioni di Fanteria italiane – puntarono alla sutura tra il 3° e 6° Reggimento. Come noto, gli eventi successivi portarono alla distruzione – tra il 19 e il 20 dicembre 1942 – del 3° Reggimento Bersaglieri e del XIII Battaglione del 6° Reggimento.

I resti del 6° Reggimento Bersaglieri, supportati dal II Gruppo del 120° Reggimento Artiglieria, riuscirono a sganciarsi e cominciarono il ripiegamento nella notte sul 20 dicembre.

Vorrebbe raccontare qualcosa di quei giorni durissimi?23

La morte del babbo si rivelò la mia fortuna. Perché, come noto, i Russi attaccarono in forze contro i bersaglieri. Mentre ero in viaggio per rientrare al fronte, giunsero notizie poco rassicuranti su quanto stava accadendo alla Divisione Celere e la nostra tradotta si fermò a Dnepropetrovsk. All’incirca eravamo verso Natale del ’42. Così evitai la parte più brutta del ripiegamento.

Dalla linea a poco a poco arrivarono quanti erano sopravvissuti allo sfondamento a opera dei Sovietici.24

Intanto, io cercavo di capire se – fra quegli uomini – ci fosse anche il colonnello di cui ho parlato prima, per dargli il pacco e la lettera della moglie. Nessuno sembrava conoscerlo. A un bel momento, a furia di girare, trovai il luogo in cui si era sistemato il Comando del 6° Reggimento Bersaglieri, sorvegliato da una sentinella. Chiesi notizie dell’ufficiale... era proprio lì!

Riuscii, quindi, a portare a termine l’incarico. Dopo avere letto la lettera della moglie, il colonnello mi propose di rimanere presso il Comando del 6° Reggimento, in fureria. Così – quando si riprese ad arretrare – io mi spostavo in automobile!

Fu senza dubbio un vantaggio, però se sulla strada si presentava un ostacolo – un grosso sasso o un pezzo di legno – facevano scendere sempre me, per rimuoverlo. Quelli non erano momenti tranquilli, e temevo – mentre ero così esposto – di rimanere vittima di attacchi partigiani.

 

A Dnepropetrovsk rimanemmo poco, tre o quattro giorni: i Russi stavano per arrivare e incominciammo a spostarci. Indietro, indietro, finché salimmo sul treno. Passato il confine, e dopo un brevissimo periodo a Osoppo, arrivai poi a Bologna.

Lì, una trentina di donne – disperate – chiedeva notizie: “Avete notizie di mio marito? Avete visto mio figlio?” Non fummo in grado di aiutarle...

Il treno ripartì per Miramare di Rimini dove trascorsi il periodo di contumacia – circa una decina di giorni – in una colonia. Era un bell’edificio, sembrava una nave.

 

La Colonia Novara a Miramare di Rimini - Foto d'epoca (cliccare sull'immagine per aprire un breve filmato del 1934, inerente una visita di Benito Mussolini alla struttura)

 

Durante la contumacia non si poteva uscire, ma io saltavo la mura sul retro quando veniva a trovarmi la morosa...

 

Una volta rientrati in Italia, quel colonnello – quello del pacco – e io ci scrivemmo qualche volta, ma poi la guerra e il fronte passarono nella zona di Forlì, e io avevo altri pensieri... dovevo occuparmi di mia mamma, per esempio.

 

Il rimpatrio. Ho letto che ad alcuni reduci del 6° Bersaglieri venne riservato un trattamento avvilente: armi individuali e mezzi riportati in Italia dovettero essere consegnati; dopo la disinfestazione furono distribuite divise non da bersaglieri... provvedimenti che suscitarono un malcontento profondo, in uomini che tanto avevano patito per difendersi con quelle armi, per riportare in Patria quei mezzi, sorretti dallo spirito di corpo che quelle divise simboleggiavano.25

A me non è successo niente del genere.

 

Aprile '43 - Miramare di Rimini - Reduci del ripiegamento

 

 

Aprile '43 - Miramare di Rimini - I superstiti della 10ª Compagnia (quella di Marzio) - In primo piano il colonnello Carloni e il maggiore Fortunato

 

A distanza di 73 anni, cosa è rimasto di quei mesi al Fronte Orientale? Cosa ha imparato, da quella esperienza?

Di sacrifici ne abbiamo fatti. La gente, oggi, non può capire.

Predappio, 20.02.2016 Cerimonia di consegna di benemerenza di 1° grado a Marzio GuidiSacrifici che poi non ci sono stati riconosciuti, dallo Stato.

C’erano differenze tra il trattamento riservato agli ufficiali e quello riservato alla truppa. Nella paga, intendo. Eppure al fronte facevamo le stesse cose, vivevamo le stesse situazioni, affrontavamo gli stessi pericoli.

Al Fronte Russo non mi venne nemmeno un raffreddore, né fui colpito da congelamenti, per fortuna. Ma quando tornai in Italia non stavo in piedi. Quante sofferenze!

 

Dopo la caduta del fascismo – il 25 luglio del ’43 – e l’8 settembre, qui in zona c’erano i Tedeschi.

Insieme al marito di una mia cugina andavo a lavorare a Forlì, dove facevano i paraschegge. Erano strutture in cemento armato – alte due o tre metri e spesse trenta-quaranta centimetri – che servivano a proteggere gli edifici in caso di bombardamento da parte degli aerei alleati. Il mio compito, insieme ad altri, era quello di prendere la ghiaia dal fiume. Essa veniva trasportata su dei carri trainati da muli e veniva poi utilizzata per fare il cemento. Tutto questo lavoro era organizzato dalla Todt.26

 

Poi, a causa di un bombardamento degli Alleati che si trovavano sulla Linea Gotica, la scheggia di una granata colpì la nostra stalla (all’epoca vivevo in campagna): morirono mia mamma, una mucca e un vitello... e un soldato tedesco rimase ferito.27 È una storia lunga, da raccontare: c’era stata una frana e i Tedeschi avevano chiesto il mio aiuto per mettere il giogo a una mucca che avrebbe dovuto essere utilizzata per il traino... la nostra mucca non poteva servire allo scopo, perché aveva una malformazione sulla coppa.28

Fui costretto ad andare in una casa di campagna nelle vicinanze, per prendere un’altra mucca. Penso che quei movimenti e i fanalini del camion con cui trasportavamo l’animale abbiano insospettito gli Alleati, che potevano vederci dalle loro postazioni. Insomma, riassumendo, fecero qualche tiro con i cannoni da 105 e... la mia mamma morì. Io, invece, mi trovavo in cucina... e mi salvai.

Dovetti preparare la cassa da morto e portarla al cimitero per conto mio...

Allora le cose andavano così. Ci si arrangiava.

 

Predappio, 20.02.2016 - Da sinistra: Tiziano e Fiorenzo (figli di Marzio), Marzio Guidi, il bersagliere Leo Boattini (classe 1921, non fu sul Fronte Russo) e, con ogni probabilità, un familiare di Leo Boattini

 

 

Le due cartine fornite da Fiorenzo Guidi, figlio di Marzio, per corredare il testo sono prese dal volume Dalle Due Torri al Don (Diario di un Bersagliere), Valerio Bianchinotti, Tipografia Artigianelli (Pontremoli). La fotografia della Caserma Fondazza è tratta da qui.

 

Fine 

 

 
 
 

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