Allora...
Eccomi, dopo avere letto l'articolo di cui Marco ci ha fornito il link.
Alcune osservazioni...
La didascalia dell'immagine descrive Carlo Comello come appartenente al Reggimento Savoia Cavalleria.
Ma il dettaglio è contraddetto poche righe sotto, quando si dice che lo stesso Comello era assegnato al I Gruppo del Reggimento Artiglieria a Cavallo.
Ho sempre saputo che a supporto di
Savoia - quel 24 agosto 1942, giorno della carica - vi fosse soltanto il II Gruppo, ma può essere che nelle vicinanze vi fosse anche il I Gruppo. Il III Gruppo delle
Voloire, invece, in quei giorni dava supporto soprattutto a Novara Cavalleria.
La fotografia - si assicura - è l'unica scattata nella piana di Izbušenskij. Ma per gli
addetti ai lavori sono note le poche e sfuocate immagini della steppa scattate dal capitano Silvano Abba (comandante il 4° Squadrone di Savoia Cavalleria) subito prima di andare all'attacco in cui trovò la morte.
Le foto del capitano Abba vengono definite (nel libro di Lucio Lami,
Isbuscenskij l'ultima carica) come "le uniche esistenti (e autentiche) scattate durante la carica".
Nel volume suddetto si parla di un ambiente stepposo con campi di grano ed erba alta ma non voglio certo escludere che vi fosse anche il boschetto di betulle cui accenna Carlo Comello nel suo racconto.
Non entro nel merito della descrizione di Comello ("[...] vedevo passare a intervalli gli squadroni lanciati al galoppo contro le postazioni dei Russi. Scavalcavano le loro trincee e arrivarono fino al Don, per poi fare dietrofront e colpirli alle spalle, mentre i Lancieri di Novara li attaccavano ai fianchi.")
Ora, non riesco a quantificare con precisione la distanza tra quota 213,5 (dove si svolse la carica) e il Don, ma direi che vi erano almeno quattro chilometri. Dalle descrizioni della carica che ho letto non solo nel volume di Lucio Lami, ma anche in quelli di Giorgio Vitali (
Trotto, galoppo... Caricat! Storia del Raggruppamento truppe a cavallo. Russia 1942-1943 e
Sciabole nella steppa) non sembra che la carica si sia spinta sino al fiume.
Quello che è certo è che Novara Cavalleria, seppure in zona, non prese parte alla carica.
Nel libro
Memorie di un "Bianco Lanciere", di Francesco Belloni è descritto cosa fece il Reggimento dei Lancieri di Novara il 24 agosto (quando, cioè, Savoia effettuò la carica): venutosi a trovare in territorio nel quale erano presenti forze avversarie, e rischiando di rimanere accerchiato, in pratica procedette silenziosamente dall'una e trenta del mattino sino a raggiungere - sul far del giorno - gli avamposti della Tagliamento a nord ovest del caposaldo di Čebotareskij, e proseguendo poi per Deviatkin.
Vi sono, perciò, nel racconto di Carlo Comello alcuni dettagli che mi lasciano perplessa e che mi piacerebbe approfondire.
In questo ulteriore
articolo
ho trovato menzione di un libro di memorie scritto dall'artigliere (
Fronte russo 1941-1942, c’ero anch’io), che magari cercherò di procurarmi. Chissà se - come indica l'articolo - è ancora disponibile presso il Municipio di Castelnovetto (PV).
Concludo con le righe finali dell'autore dell'articolo segnalato da Marco:
Gli ufficiali tedeschi si congratularono con il colonnello Alessandro Bettoni, comandante del Savoia Cavalleria, dicendo: «Noi queste cose non le sappiamo più fare».Un riconoscimento del valore dei soldati, ma anche dell’arretratezza delle tecniche militari italiane, quando ormai si era alla vigilia della guerra atomica.
La frase pronunciata dai Tedeschi è famosa ed è citata - per esempio - anche in
Sciabole nella steppa.
Tuttavia bisogna prendere con le molle il riferimento all'arretratezza delle tecniche militari italiane in relazione all'uso specifico della cavalleria italiana al Fronte Russo.
Infatti il Raggruppamento Truppe a Cavallo - che da inizio marzo 1942 (se ben ricordo) comprendeva i Reggimenti di Cavalleria Novara e Savoia, nonché il Reggimento Artiglieria a Cavallo (reparti in precedenza assegnati alla Divisione Celere, con cui erano partiti per il Fronte Russo nel luglio 1941) - era stato costituito proprio su imitazione di analoghe Unità sovietiche.
Si era visto, infatti, che tali formazioni di cavalleria potevano rivelarsi molto utili e pericolose, avendo caratteristiche di pronto impiego, di velocità nel prendere posizione e nel pattugliare il territorio (peculiarità che vennero sfruttate appieno e ripetutamente durante la Prima Battaglia Difensiva del Don --> 20 agosto - 1° settembre 1942).
Non dimentichiamo che mesi dopo i resti delle Divisioni Cuneense, Julia e Vicenza (nonché proprio delle
Voloire) in ripiegamento trovarono la fine nella zona di Valujki, gli ultimi giorni del gennaio 1943, dove erano dislocate Unità di cavalleria cosacca che non diedero tregua: chi non venne ucciso, fu avviato in prigionia.
Una prova che anche gli avversari ritenevano i reparti di cavalleria efficaci, soprattutto per azioni di un certo tipo, che prevedevano velocità e incursioni a sorpresa.
Ancora grazie a Marco per questo contributo interessante.
Patrizia