Giuseppe_Montaretto_1941CONSIDERAZIONI SUL FORZAMENTO DEI CORSI D'ACQUA

di Giuseppe Montaretto Marullo

Estratto dal

BOLLETTINO DELL'ISTITUTO STORICO E DI CULTURA DELL' ARMA DEL GENIO

Fascicoli N. 1-2 (41-42) – Gennaio-Aprile 1953

ROMA – TIP. 21° STABILIMENTO COLLEGAMENTI

 

Premessa

Non vorrei essere tacciato di immodestia per l'arduo compito al quale mi accingo e che richiederebbe, per essere sviluppato con la voluta ampiezza e competenza, capacità superiori alle mie; ma chi ha servito come me per 27 anni nella specialità Pontieri, e sempre presso la truppa, partecipando ad innumerevoli esercitazioni su tutti i fiumi d'Italia e ad alcune delle più importanti operazioni di forzamento di corsi d'acqua nelle due più grandi guerre della storia, ha il dovere di non lasciare disperdere il frutto di tanta esperienza.

 

L'organizzazione del forzamento di un corso d'acqua è sempre una operazione complessa e difficile perché in essa interferiscono elementi di carattere tattico e tecnico i quali nel loro insieme danno una gamma di soluzioni molto vasta fra le quali occorre sapere scegliere – attraverso la valutazione di elementi a volte quasi imponderabili – quella più adatta al caso da risolvere.

Molti sono gli elementi che occorre prendere in esame nel progetto di forzamento di un corso d'acqua e tutti i trattati di arte militare ne parlano; ma per sapere ben coordinarli ed armonizzare fra loro, occorre una consumata esperienza pontieristica valorizzata da uno studio appassionato delle altre branche dell'arte militare.

 

Scopo di questo lavoro è appunto quello di richiamare l'attenzione dei giovani ufficiali sulla grande importanza della materia, la quale presenta difficoltà non comuni, e quindi per spronarli ad applicarsi col maggiore zelo al fine di acquistare quella capacità e quella sicurezza che si rendono necessarie in guerra.

Esaminando i passaggi di corsi d'acqua in presenza del nemico che si sono attuati nelle varie epoche, si rimane sorpresi come, malgrado le grandi difficoltà che tali operazioni presentano, gli eserciti siano nella quasi totalità dei casi riusciti a raggiungere lo scopo. Ciò si spiega col fatto che prima dell'adozione delle fronti continue e cioè, praticamente, fino alla prima guerra mondiale, il passaggio di corsi d'acqua inguadabili in presenza del nemico presentava difficoltà molto minori di quelle di oggi, perché allora era possibile trarre in inganno il nemico e sorprenderlo attuando il passaggio ove l'ostacolo non era o era mal vigilato. Oggi, però, questo non è più possibile per l'accennata continuità delle fronti e la sorpresa sarà limitata al tentativo di ingannare il nemico sulla scelta del punto e del momento del passaggio.

 


 

Sino a qualche anno dopo la prima guerra mondiale, i requisiti più importanti che dovevano soddisfare i ponti di equipaggio erano i seguenti:

 

  1. facilità di trasporto del materiale sulle strade per poter seguire senza ritardo le altre truppe e raggiungere celeremente il fiume nei punti più adatti per conseguire la sorpresa;
  2. facilità di scarico del materiale e del suo impiego anche nel corsi d'acqua con elevata velocità (sino a 3 metri al 1");
  3. praticità del materiale, qualità questa che è data dal limitato numero degli elementi costitutivi, dalla loro intercambiabilità e dalla possibilità di impieghi vari (ponti leggeri e pesanti, traghetti, porti girevoli e scorrevoli, pontili, ecc.);
  4. organicità di caricamento sui carri, e cioè: possibilità di caricare su ognuno di essi il materiale occorrente per una impalcata, compreso il corpo di sostegno;
  5. portata: tonn. 4-5 per i ponti tattici, 8-10 per quelli logistici.

 

In seguito al grande sviluppo della motorizzazione presso gli eserciti le esigenze di portata crebbero enormemente sino a raggiungere le 20, ed oggi, addirittura, le 70 tonnellate. La stessa motorizzazione impose poi la soluzione di un altro problema, cioè quello della velocità di passaggio sui ponti che, dai 4-5 km/ora dei veicoli ippotrainati, salì ai 20-30 che si richiedono oggidì.

I ponti di vecchio tipo articolati su ogni galleggiante e con ghindamento costituito con funi che si allentavano facilmente, non poteva assolutamente soddisfare tali nuove esigenze.

Per la soluzione del problema – non essendo conveniente, per ovvie difficoltà di trasporto e di impiego, aumentare le dimensioni dei galleggianti – si dovette pensare a collegare rigidamente le impalcate tra di loro in modo da ottenere una travata continua, cosicché il carico transitante sul ponte gravasse su parecchi galleggianti. Nel contempo la stretta connessione degli elementi delle impalcate risolveva il problema della accresciuta velocità di transito.

Naturalmente ciò doveva ottenersi senza scapito delle altre qualità del ponte, conciliando cioè, nei limiti del possibile le nuove con le antiche esigenze.

 


 

I nuovi ponti, resi necessari dall'aumentato peso e dall'accresciuta velocità degli odierni mezzi di trasporto, non posseggono nel voluto grado le caratteristiche dei ponti tattici; essi risultano necessariamente pesanti ed ingombranti, sono poco maneggevoli e quindi rendono le manovre più lente e difficili. Altro loro grave inconveniente è dato dal sistema di unione delle campate che non consente la rapida sostituzione di una o più di esse, qualora danneggiate dal fuoco nemico.

Emerge da quanto sopra che l'impiego dei nuovi ponti non è molto rispondente alle necessità delle operazioni di forzamento, ed allora sorge spontanea la domanda: con quali mezzi eseguiremo tali operazioni? Saranno sufficienti i soli traghettamenti?

 

Esaminiamo questa importante questione.

Oggi si ammette generalmente che la difesa di un corso d'acqua non si attua nelle immediate vicinanze delle sponde ma ad una certa distanza da esse; le sponde vengono però occupate, per la vigilanza e una prima difesa, da pattuglie di osservazione sistemate in appositi centri di fuoco. La vera difesa, si attua su una posizione di resistenza alquanto arretrata dal corso d'acqua e di massima da 4-10 km.

Ne consegue che, mentre per superare la prima linea di difesa possono essere sufficienti reparti di fanteria e guastatori convenientemente appoggiati, per superare la seconda con probabilità di riuscita, occorreranno forze e mezzi di gran lunga maggiori che dovranno passare il corso d'acqua entro la prima notte. Però se per i primi elementi di fanteria e guastatori che debbono raggiungere la sponda nemica fin dalle prime ore dell'operazione, e generalmente di notte, possono essere sufficienti i traghetti, per gli altri è necessario, data la loro entità ed i mezzi e materiali indispensabili, un mezzo di passaggio continuo, cioè il gittamento di un ponte.

 

Non si può pensare di effettuare il forzamento di un corso d'acqua ricorrendo solo al traghetto perché questo non solo è un mezzo di scarso rendimento, ma anche un'operazione molto delicata e difficile.

Infatti il traghetto esige anzitutto particolari condizioni del fiume nel tratto da superare: rive adatte all'imbarco ed allo sbarco, specchi d'acqua privi di ostacoli (secche, palificate, scogliere, ecc.), condizioni di correnti adatte; inoltre dipende dal tipo e numero dei galleggianti disponibili in relazione alla larghezza del corso d'acqua, dal loro sistema di propulsione e soprattutto dal grado di addestramento dei reparti pontieri che lo compiono e anche da quello dei reparti traghettati, La buona riuscita di un traghettamento richiede poi da parte di tutti disciplina ed addestramento perfetti, molta iniziativa ed elevato spirito di sacrificio, qualità che si trovano difficilmente riunite, ma che sono indispensabili in tutte le fasi di questa delicata manovra, specialmente ora, data la grande efficacia delle armi moderne; efficacia che, rendendo più difficile l'opera dei pontieri, obbliga a fare maggior assegnamento sulla sorpresa, e cioè, ad attuare tale manovra durante la notte.

 

Quantunque, come si è detto, il traghetto sia mezzo delicato, difficile e di scarso rendimento, tuttavia è indispensabile ricorrervi in ogni operazione di forzamento per costituire sulla sponda nemica quella prima linea di protezione a guisa di piccola testa di ponte, atta a sottrarre le operazioni del gittamento dalle offese delle armi automatiche della fanteria nemica (1).

Per chiarire i concetti espressi passiamo ad esporre alcuni esempi di operazioni di forzamento di corsi d'acqua, attuate nella prima e nella seconda guerra mondiale.

 


 

Questo forzamento venne reso difficile dalla natura rocciosa delle alte sponde che scendevano nell'acqua con fortissima pendenza. I punti di facile accesso erano pochi e ben sorvegliati dal nemico, ciò che consigliò di scegliere quelli meno adatti affrontando le difficoltà tecniche del laborioso avvicinamento del materiale e quelle ancora maggiori della messa in acqua delle barche.

La preparazione, però, che avrebbe dovuto per le condizioni esposte essere condotta con la massima accuratezza, non lo fu, specialmente per quanto riguarda la messa in acqua delle barche, cosicché i reparti, malgrado i ripetuti tentativi e gli sforzi compiuti nella notte, non riuscirono a mettere in acqua le barche, perché la maggior parte di esse non appena toccava l'acqua veniva travolte dalla forte corrente.

Anche questa volta le operazioni della prima notte fallirono e, nonostante i sacrifici affrontati, non fu possibile effettuare alcun passaggio malgrado operassero ben 8 Compagnie Pontieri, rinforzate da altre 8 di Zappatori che parteciparono all’operazione.

Quest'altro caso conferma l'importanza che, nelle operazioni di forzamento, riveste la ricognizione del corso d'acqua, la quale deve essere fatta con la maggiore cura possibile affrontando tutti i pericoli che comporta.

Gli esempi citati dimostrano anche come durante l'esecuzione di operazioni del genere non sia possibile correggere i difetti di impostazione nei quali si è caduti nella preparazione, errori i quali spesso, anche in apparenza insignificanti, causano il fallimento delle operazioni stesse.

 


 

Il Piave, che era stato il nostro più valido alleato durante la battaglia difensiva del giugno 1918 ed aveva contribuito, con le sue piene che sono passate alla leggenda per il modo provvidenziale con il quale si sono verificate, al conseguimento di una delle più grandi vittorie difensive che ricordi la nostra storia, per la battaglia di ottobre diveniva per noi un grave ostacolo a causa delle piene impetuose alle quali dava luogo proprio nei giorni in cui doveva svolgersi la nostra offensiva.

Questa difficoltà unita alle formidabili difese delle quali il nemico sapeva munirsi, rendevano quelle operazioni di forzamento molto rischiose e incerte.

Ma la preparazione fu accuratissima, specie quella dei nostri pontieri che si accinsero con piena fiducia e con tutte le loro forze a predisporre la loro opera.

Sulla base delle esperienze passate, si provvide all'approntamento della maggiore quantità possibile di materiale, ricorrendosi perfino alla requisizione di materiali non del tutto adatti (1) e prevedendo l'impiego di una passerella di non riconosciuta rispondenza (2).

 


 

Le operazioni di forzamento più importanti compiute dalle nostre truppe durante la 2ª guerra mondiale sono state quelle del Kalamas in Albania e quella del Dnieper in Russia. Per la prima, compiuta dal XVI Battaglione Pontieri, non ho elementi per parlarne; per la seconda, invece, compiuta dal IX Battaglione Pontieri che ho avuto l'onore di comandare anche in quella circostanza, ho elementi che mi consentono di fare di questo forzamento una esposizione dettagliata e, ritengo, molto utile.

Il IX Battaglione Pontieri venne costituito il 15 aprile 1940 presso il Deposito del 1° Reggimento Pontieri di Verona.

Esso non era compreso fra le Unità che avrebbero dovuto essere mobilitate presso quel Deposito e perciò la sua costituzione riuscì molto laboriosa per l'insufficienza del personale mobilitabile e del materiale da ponte e degli automezzi disponibili; mancavano persino gli stampati e i manuali di istruzione. Solo dopo un mese di attesa giunsero gli autocarri di requisizione, provenienti da tutte le regioni d'Italia, tutti di tipo differente e in pessimo stato di manutenzione. Per il materiale da ponte si dovettero fare perfino prelevamenti dalle dotazioni del 2° Reggimento Pontieri.

L'addestramento degli specializzati richiese molto tempo, specie per gli autieri, dei quali se ne aveva solo un quarto rispetto al numero previsto dagli organici.

Al termine dell'operazione il battaglione risultò così formato:

 

. un Plotone Comando;
. due Compagnie pesanti, 21ª e 22ª, con equipaggio n. 2;
. una Compagnia leggera (23ª), con due equipaggi n. 1;
. un Plotone traghettamento con 8 battelli d'assalto e 8 pneumatici.

 

Il battaglione in un primo tempo venne assegnato all'Armata Po; successivamente, e cioè al termine delle operazioni sul Fronte Francese, passò alla 5ª Armata con la quale partecipò alle operazioni in Jugoslavia e, infine, al Corpo di Spedizione Italiano in Russia (C.S.I.R.) nella Campagna sul Fronte Russo.

Il 29 agosto 1941, mentre il battaglione è in sosta a Wradjiewka, località a 30 chilometri a ovest dal Bug, riceve l'ordine di portarsi nel più breve tempo possibile a Krivoi-Rog per passare a disposizione del I Gruppo Corazzato tedesco di Von Kleist.

La marcia su quattro scaglioni venne iniziata alle ore 15.30 dello stesso giorno e ultimata alle ore 18.00 di quello successivo, superando una distanza di ben 370 chilometri su strade a fondo naturale, polverose e con un traffico molto intenso. Il Comando del Gruppo Corazzato tedesco rivolse un elogio al battaglione per l'ordine e la celerità con la quale aveva compiuto il trasferimento.

Il battaglione venne subito posto alle dipendenze del III Corpo d'Armata Motorizzato tedesco che doveva compiere il forzamento del Dnieper, e pertanto il giorno successivo si trasferì a Dniepropetrowsk, ove venne fatto sostare fuori strada in un bosco a circa 20 chilometri dalla città dal Comandante, il quale, avendo preceduto le truppe, aveva riconosciuto che la sponda sinistra di fronte alla città stessa era ancora occupata dal nemico, salvo una piccola testa di ponte.

 

2

 

Presentatosi il comandante del Battaglione al Comando del III Corpo, ricevette l'ordine di effettuare una ricognizione, unitamente a un ufficiale di tale Comando, per esaminare la possibilità di ripristinare il passaggio su uno dei ponti interrotti dal nemico mediante il gittamento di un ponte di barche.

La ricognizione accertò che:

 

  • il fiume nel tratto considerato aveva una larghezza variabile dai 1000 ai 1300 metri;
  • in corrispondenza della città esisteva una piccola testa di ponte, di raggio inferiore a 2 chilometri, tenuta da un battaglione; essa non riusciva a coprire alla vista e al tiro lo specchio d'acqua interessante i ponti (vedi fig. 2);
  • nel tratto delimitato dalla testa di ponte vi erano quattro ponti tutti interrotti, due in ferro e due in legno; di questi ultimi, uno si trovava quasi al margine a valle della testa di ponte, mentre l'altro, che era al centro di essa, presentava due interruzioni e il passaggio era stato ripristinato alla meglio con una passerella su battelli pneumatici la quale al momento della ricognizione, causa il tiro nemico, era pressoché intransitabile.

 

I ponti di legno erano costituiti da tre strati di grossi tronchi del diametro di circa 40 centimetri, disposti come indicato in fig. 3, con al disopra uno strato di travicelli posti trasversalmente all'asse del ponte sui quali appoggiavano due guide di tavole messe in corrispondenza della carreggiata.

Le travi nei vari strati e gli strati tra di loro erano collegati con arpesi, caviglie e funi metalliche fissate alle travi. I ponti erano sostenuti da grosse ancore del peso di oltre 2 quintali mediante funi metalliche fissate agli strati di tronchi. Caratteristica principale di questo tipo di ponti è la notevole resistenza ai tiri dell'artiglieria e la facilità colla quale se ne possono riparare i danni.

 

Era intendimento del Comando del III Corpo che si provvedesse al ripristino del ponte di legno a valle; all'uopo venne eseguita nella notte un'accurata ricognizione di esso constatando che presentava un'interruzione di m. 650 che poteva superarsi mediante il gittamento di m. 150 di ponte di cavalletti e 550 di barche. Venne anche definita completamente la manovra prevedendo per il tratto di ponte di barche il gittamento per parti, sistema che è il più rapido, specie per un fiume di rilevante larghezza; senonché esistevano due gravi inconvenienti, e cioè: la limitata ampiezza della testa di ponte la quale, per sottrarre il ponte dal tiro delle armi portatili avrebbe dovuto ampliarsi di un buon chilometro verso valle, e la scarsezza delle barche di riserva che si sarebbero ridotte a 17, insufficienti per far fronte alle imprevedibili necessità. Prospettato l'esito della ricognizione al comandante del Genio del III Corpo, colonnello Luschnig, egli condividendo le idee del comandante del Battaglione ottenne dal superiore Comando che si rinunziasse al ponte a valle e venisse invece preso in esame il ripristino di quello a monte.

 

Pertanto nelle prime ore del 3 settembre si effettuò un'accurata ricognizione di questo ponte, da cui risultò, (v. fig. 4) che il passaggio comprendeva due ponti in legname del tipo descritto, uno per ciascun ramo del fiume: il maggiore della lunghezza di m. 1050, l'altro di m. 200 circa. Mentre il secondo era in buono stato, il primo presentava invece due interruzioni, una a 600 m. dalla sponda di partenza, l'altra a circa 100 m. da quella di arrivo. La prima intenuzione, la più ampia, era larga 178 m. e la seconda m. 45; entrambe, causa la notevole profondità dell’acqua, dovevano essere ripristinate con ponti di barche.

 

Le difficoltà che presentava questo ripristino erano le seguenti:

 

  • necessità di eseguire tagli alle quattro testate dei tronconi del ponte interrotto per poter stabilire la congiunzione con quello di barche che si sarebbe dovuto gettare;
  • necessità di spingere verso monte la prima testata di ponte che risultava spostata a valle per circa 20 m.;
  • esistenza di ostacoli inamovibili lungo l'asse del ponte.

 

Difficoltà dunque molto gravi: la prima per l'ammasso disordinato e aggrovigliato di grosse travi, tutte legate fra loro con robusti arpioni, caviglie, staffe e funi metalliche, che richiedevano un laborioso e difficile lavoro per il taglio da compiersi di notte; la seconda e la terza si presentavano così gravi da ritenere del tutto impossibile poterle eliminare per l'enorme peso dei complessi che si sarebbero dovuti spostare, costituiti da un tratto di ponte staccato dal rimanente e rimasto legato sotto il pelo d'acqua mediante una grossa fune di acciao, e di un rimorchiatore affondato, che costituivano entrambi seri pericoli per la manovra delle barche, specie di notte.

3

 

Queste difficoltà, assieme alle altre, poterono essere superate sfruttando le belle caratteristiche del materiale; il quale, snodato come è, consente di fare assumere al ponte curve molto sentite senza pregiudizio per la stabilità... e difatti quello in esame poté assumere la forma di una grande S senza che derivassero complicazioni per il passaggio (vedi figg. 4 e 5).

Altra difficoltà era dovuta alla rilevante lunghezza del ponte in legno (m. 600) che si doveva percorrere per portare il materiale a pie’ d'opera; essa venne superata con l'approntamento di otto carrelli di circostanza, costituiti da avantreni di carri-barca muniti superiormente di appositi telai costruiti sul posto, carrelli che servirono molto bene per il rapido avvicinamento del materiale e per il grande risparmio di militari.

Infine, altra difficoltà notevole fu quella delle sponde, le quali essendo ripide o a picco a monte, obbligarono a ricavare a valle lo scivolo per la messa in acqua delle barche, le quali poi dovevano risalire a monte girando intorno al primo troncone di ponte con notevole perdita di tempo.

4

 

Si dovette poi ancora ripristinare in molti punti il ponte in legno perché danneggiato dai tiri di artiglieria, per renderlo idoneo al passaggio dei veicoli destinati alla manovra.

Il nemico non mancava di disturbare ogni nostro tentativo di ripristino; tutte le notti effettuava tiri di artiglieria, ricognizioni aeree con lancio di razzi illuminanti e bombe.

Date le difficoltà esposte e l'attività che il nemico esplicava, la preparazione venne curata nei più minuti particolari; agli autisti venne fatto compiere di giorno il percorso che essi avrebbero dovuto compiere di notte, il quale si presentava molto complicato per l'attraversamento della città, e perciò qui venne più che altrove completato di tabelle e di indicanti con fanali rossi; gli itinerari vennero migliorati sgombrando le macerie e colmando le buche di granate; furono requisiti nelle città attrezzi da carpentiere (prevedendosi insufficienti quelli di dotazione degli equipaggi), ancore, funi ed ogni altro materiale idoneo al rafforzamento del ponte di zattere; vennero poi approntate circa 40 travi di legno di lunghezza superiore a 7 m. per il montaggio di quattro galleggianti di congiunzione, fra ponte di barche e ponte in legno, predisposizione che fu completata con la costruzione di quattro pedane.

Per l'eventuale difesa del ponte si scavarono anche elementi di trincea sulla sponda di partenza.

Infine venne fatta prendere visione a tutti (ufficiali, sottufficiali e piloti di galleggianti) del posto ove ciascuno si sarebbe trovato ad operare durante la notte e, per regolare gli ancoraggi che di notte sono sempre difficili, vennero disposti lungo il tratto di ponte da gettare tre barchetti di guida.

Ogni difficoltà fu prevista e chiarita a ciascuno con le prescrizioni da seguire e tutto venne opportunamente preparato e predisposto, compresa un'azione dimostrativa a valle affidata a un plotone con otto barche e materiale di circostanza.

Alle ore 20.00 i reparti che nelle notti precedenti avevano serrato sotto gli equipaggi e i materiali occultandosi in un bosco ai margini occidentali della città, iniziarono l'avvicinamento al ponte.

Alla 23ª Compagnia (1) rinforzata da 16 Squadre barcaioli tratte dalle altre due, venne affidato il gittamento del tratto di ponte per il ripristino della prima interruzione lunga m. 178; quello della seconda, di circa m. 45, venne affidato a un plotone della 22ª Compagnia il quale doveva trasportare con le barche anche il materiale d’impalcata e iniziare il gittamento senza attendere il compimento del primo tratto.

I carpentieri e falegnami di tutte le Compagnie vennero destinati al taglio delle travi sporgenti alle testate del ponte da ripristinare.

 

5

 


 

Materiale da ponte.

 

Gli esempi citati hanno messo in evidenza l'importanza che ha per un esercito la disponibilità di un ottimo materiale per ponti leggeri, indispensabili per alimentare una testa di ponte sino a quando essa abbia assunto un'ampiezza tale da sottrarre il ponte ai tiri della maggior parte delle artiglierie nemiche, consentendo così il gittamento del ponte pesante.

Il problema da risolvere oggidì è quindi quello di studiare un materiale da ponte leggero, di facile maneggio e di portata sufficiente per dare il passaggio ai mezzi relativamente leggeri di primo impiego. Per tale necessità si ritiene che sia sufficiente la portata di 24 tonnellate. Questo materiale, oltre alle caratteristiche accennate a pag. 4, dovrebbe avere per l'esperienza acquisita nell’ultima guerra anche le seguenti:

 

  1. facilità di sostituzione degli elementi del ponte quando vengono danneggiati;
  2. sufficiente tenuta dei galleggianti colpiti o danneggiati, requisito che potrebbe ottenersi completando la barca con materiale insommergibile; in tal modo, in caso di avaria, il materasso concorrerebbe a sostenere l'impalcata per il tempo richiesto dalla sostituzione;
  3. possibilità per gli autoveicoli di transitare sul ponte a velocità di almeno 15 chilometri all'ora;
  4. possibilità di gettare e impiegare il ponte con personale ridotto, cioé con la sola guardia al ponte; requisito questo che porterebbe ad orientarsi verso il ponte di portiere, il quale però presenta nei riguardi di quello gettato per barche successive un inconveniente grave, quello cioè di dare un ponte rigidamente rettilineo non suscettibile, come quello gettato per barche successive, di assumere curve o deviazioni quali spesso si rendono necessarie per gettare un ponte fra due pontili esistenti non allineati o in direzione obliqua rispetto alle sponde ecc. (1)

 


 

Le operazioni di forzamento richiedono come già si disse un'organizzazione minuziosa e avveduta, ciò che è possibile solo a chi ha una lunga esperienza della specialità. È necessario inoltre ridurre al minimo le questioni da risolvere durante la manovra, la quale va iniziata solo quando è risolta in ogni particolare esecutivo e potrà essere compiuta con un automatismo intelligente da parte di tutti, ossia con iniziativa bene inquadrata.

Occorre poi che per ogni operazione e per ogni situazione sia ben valutato il tempo necessario tenendo presente che un errore di valutazione su un particolare si ripercuote, per lo stretto legame che le varie operazioni hanno tra di loro, e in modo spesso deleterio, su tutta la manovra.

È necessario sfruttare sempre al massimo il terreno, il corso d'acqua e il materiale, armonizzando tutto per il conseguimento della sorpresa senza la quale il forzamento ha poche probabilità di riuscita.

Il personale, perciò, deve essere impiegato col criterio di ripartire il più equamente possibile lo sforzo in modo da evitare logoramenti eccessivi e disuguali, ciò che potrebbe avere conseguenze gravi anche dal punto di vista morale. Occorre inoltre stimolare lo spirito di sacrificio, l'emulazione, l'entusiasmo ed è perciò che il comandante di un reparto pontieri deve essere oltre che sagace organizzatore anche un capo sicuro. Occorre infine che tali facoltà siano sviluppate negli ufficiali fin dal tempo di pace con esercitazioni ben preparate diurne e notturne fuori scalo, inquadrate in temi tattici verosimili di immediata comprensione e non vaghi e teorici.

Solo così possono formarsi gli ufficiali pontieri adatti per le operazioni di forzamento del futuro, che si prevedono molto più difficili di quelle del passato, per la maggior potenza e varietà delle armi che la difesa potrà impiegare.

 

 

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