Grazie Maurizio.
Per chiarire devo giocoforza fare un inciso.
Il Caduto per il quale ho inoltrato la foto fu lo zio di mia madre FRAULINI Francesco.
Per mero scherzo del destino si creò, nel 1920, un caso di omonimia perchè anche mio nonno paterno venne battezzato come FRAULINI Francesco Ferdinando: due rami dello stesso albero anche se non direttamente parenti. In piccoli paesi di montagna capitava sovente anche questo.
Da dire che, nel caso del nonno paterno Francesco Ferdinando, la responsabilità sulla scelta del nome va attribuita unicamente alla perdita, durante la Grande Guerra, di un fratello maggiore: inquadrato nel 6° Rgt. Alpini Btg. Sette Comuni, caduto sull' Altipiano d' Asiago (caso più unico che raro il fatto che tutti i nati dopo il 1920 in casa Fraulini avevano per primo nome Francesco seguito da un secondo nome. Verrà arruolato nel medesimo Reggimento del fratello caduto ad Asiago anche il fratello minore del nonno Francesco Ferdinando: Francesco Giovanni che patirà la deportazione in Germania dopo l' 8 settembre e rimarrà internato fino alla liberazione nel 1945).
Il destino volle che sia il nonno che lo zio di mia madre parteciparono alla sfortunata campagna di Russia , lo "Zio" inquadrato nella 2^ Divisione Alp.Tridentina , 6° Rgt. Btg. Verona partecipò all'offensiva contro la Francia e si imbarcò per l' Albania. Partito per il Fronte Russo cadde a Postojali durante le fasi della ritirata nel gennaio 1943.
Testimone oculare dell'evento che lo vide cadere fu, un suo compaesano che, al ritorno in Patria, portò la notizia alla famiglia.
Il nonno, all'inizio delle ostilità, venne inquadrato nel 89° Rgt. di fanteria e, sorteggiato, per essere addestrato a Civitavecchia nella nuova specialità dei Guastatori. Da Civitavecchia partì per il fronte Russo dove venne ferito e rimpatriato nelle prime fasi dell'offensiva russa.
Da quanto appreso da ragazzo dalla viva voce del nonno Francesco Ferdinando ho saputo della sua partecipazione alla Campagna di Russia. Dopo qualche anno, partito volontario nell' Esercito Italiano, venni assegnato, dopo il corso di specializzazione in Savoia Cavalleria. Appena giunto a casa, alla prima licenza, notai che il nonno si mostrava contrariato in merito agli attributi della mia uniforme poichè, secondo lui , non avevo diritto ad indossare una uniforme che si era distinta in terra di Russia. Mi raccontò di averli visti passare "i cavalieri" diretti verso il fronte. Di aver sentito le cannonate e veder tornare indietro i cavalli scossi. Con espressione fiera disse: li cacciarono indietro. Capii che probabilmente poteva essere stato vicino alla località della carica più famosa della storia delle nostre Armi cioè Isbuscenskij.
Come ogni reduce, il nonno, mal volentieri parlava della "sua guerra". Mi disse che: " l'elmetto teneva calda la testa in inverno (con il passamontagna); che era tragico fare pipì ed impensabile andare di corpo; Che con una sigaretta accendeva l'altra avendo cura di fumarla chiusa nel palmo della mano per non essere visti, di notte, dai cecchini russi.
Al bar del paese assistevo, da piccolino, alle liti guascone con un altro reduce: bersagliere motociclista del 3° di "papà Caretto": ma era folclore; spacconerie da bar. infatti finivano sempre in grosse risate confermando una amicizia nata da tempo.
Una volta mi raccontò della presa di un prigioniero. Inviato nelle retrovie sotto scorta, il prigioniero e la scorta, non giunsero mai al comando.
Mi disse che fu incaricato di fare il portaordini con la bicicletta ma che l'incarico era faticoso e la bicicletta a passo fisso era ingestibile. Chiese di essere sostituito. Al sostituto fu assegnata una motocicletta ma, questi, purtroppo, non tornò a casa.
Fu ferito durante un bombardamento di preparazione all'attacco. Ricevette l'ordine di portare la sua arma (la famosa mitragliatrice Breda 37 ) in posizione unitamente al suo compagno. Una granata cadde proprio sulla testa del capo Arma che si era appena avviato e, le schegge, investirono il nonno che, per l'onda d'urto fu praticamente spogliato. Ripresosi dal trauma vide il tenente che lo incitava ad andare indietro poichè impressionava gli altri. Del suo plotone non vide più nessuno.
Con rammarico mi disse: quando partimmo non vedevo testa e coda del treno, al ritorno eravamo due vagoni.
Questo è quello che so sulla Campagna di Russia del nonno. Sto ricostruendo la sua avventura e quello dello "zio" per consegnarla a chi verrà dopo di me perchè non si dimentichino certe cose.
Grazie.