Come ci vedevano i russi?

18/03/2014 21:37 - 18/03/2014 21:39 #1 da DARIO
Come ci vedevano i russi? è stato creato da DARIO
Dopo qualche libro letto e vari documentari visti, non sono ancora riuscito a farmi un'idea di come i soldati russi ci vedevano.

La gente civile, comune, povera che abitava quelle terre aveva familiarizzato con i soldati italiani; sono tante le testimonianze al proposito. Correggetemi se sbaglio...

Ma l'esercito russo come vedeva e cosa pensava dell'esercito italiano e dei nostri soldati?
Avevano la consapevolezza dell'arretratezza dell'armamento e dei mezzi degli italiani rispetto al loro esercito e a quello tedesco?

E al di là degli armamenti, i russi vedevano un particolare coraggio, ardimento o valore dei soldati italiani o erano visti sotto tale aspetto al pari o magari inferiori ai tedeschi? Esiste qualche testimonianza a riguardo da parte russa?

E all'interno dell'Armir, l'esercito russo credeva o effettivamente notava una maggiore forza o preparazione nel corpo degli alpini rispetto alle altre divisioni, ammesso che fosse davvero così?
Grazie in anticipo.

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20/03/2014 16:35 - 14/10/2017 00:46 #2 da Patrizia Marchesini
Risposta da Patrizia Marchesini al topic Come ci vedevano i russi?
Salve, Dario...

Ci poni una questione interessante.
Come tu dici, nella memorialistica sono riportate molte testimonianze relative ai buoni rapporti fra gli Italiani al Fronte Orientale e la popolazione civile.
A tale proposito – se non avessi già letto – ti segnalo che in questo forum troverai alcuni post al riguardo. Guarda in Film - Italiani brava gente .

Al di là dei racconti dei nostri soldati, però, è importante capire cosa pensassero davvero Ucraini e Russi.

Sbirciando nei miei libri ho trovato in La Campagna di Russia – Nel 70° anniversario dell’inizio dell’intervento dello CSIR – Corpo di Spedizione Italiano in Russia – un testo di cui riporterò alcuni stralci.
Il volume, a cura di Antonello Biagini e Antonino Zarcone, raccoglie gli atti di un convegno tenutosi presso l’Università La Sapienza di Roma (organizzato dall’Università stessa e dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito) nell’autunno 2010. Il testo è relativo all’intervento del professor Sergej Ivanovič Filonenko, vice-rettore per l’attività internazionale dell’Università Agraria Statale di Voronež.
Il titolo dell’intervento era Popolazione locale e occupazione sul Don tra il 1942 e il 1943: contrapposizione e antagonismo.

[...] Dal 13 gennaio al 2 febbraio 1943, durante le operazioni di attacco di Ostrogozsk-Rossoš’ [...] delle truppe sovietiche, fu liberato un territorio di 45 mila chilometri quadrati, ponendo così fine all’occupazione temporanea nei rioni della regione di Voronež. [...]
Durante le operazioni di liberazione le truppe sovietiche attaccanti ricevettero l’ordine di interrogare la popolazione occupata. Lo scopo principale di questi interrogatori fu la ricerca delle evidenze di atti illeciti nei confronti dei prigionieri di guerra e dei civili da parte delle truppe tedesche, ungheresi e italiane.
Queste particolari testimonianze della popolazione locale e degli ex-prigionieri [di guerra sovietici, n.d.r.] vennero raccolte a caldo [...]. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di manoscritti, poiché raramente veniva usata la macchina da scrivere.
Il volume di questi documenti andava da circa mezza pagina a otto pagine di testo.
Ogni atto riportava la data e il posto preciso, il nome della città, del paese o del kolchoz, ed era firmato da testimoni e da un rappresentante delle truppe liberatrici. Oggi, nell’Archivio Centrale del Ministero della Difesa della Federazione Russa, all’interno dei fascicoli relativi al Fronte di Voronež, si conservano 175 di questi atti, compilati nel periodo dal 20 gennaio al 16 marzo 1943. [...]
Esaminando gli atti relativi alle [175, n.d.r.] azioni illecite compiute, nel 60% dei casi si registrano violenze da parte delle truppe di Hitler, nel 35% da parte delle truppe ungheresi e solo nel 5% da parte degli Italiani. Molte sono le ragioni a spiegazione di questo. [...] Gli Italiani arrivarono sul Don quando il fronte lungo il fiume era già stabilizzato. Questo spiega perché la maggioranza della popolazione locale associava proprio ai Tedeschi le fucilazioni dei comunisti e dei fedeli al regime durante i primi giorni dell’occupazione. [...]
[Inoltre] solo alcune parti del Corpo alpino di tutta l’8ª Armata combatterono contro l’Armata Rossa sul fronte di Voronež nel gennaio 1943.
La percentuale sopraindicata si spiega non solo con le dimensioni delle truppe. Per capire gli eventi è importante valutare le relazioni tra la popolazione locale, i Tedeschi e gli Italiani, informazioni che si trovano nei documenti analitici degli organi di sicurezza statale sovietica. In particolare, il 25 gennaio 1943 [...] il maresciallo Golubev mandò a Mosca un rapporto sulla “tattica politica degli occupanti tedeschi e italiani nei confronti di vari strati della popolazione e l’atteggiamento dei locali verso gli occupanti”.
Il rapporto confermava che la popolazione preferiva gli Italiani ai Tedeschi perché essi molestavano meno i civili, anche se complessivamente l’atteggiamento era negativo. [...]
Non esistono occupanti buoni. L’Armata Rossa uccideva e la popolazione locale odiava le truppe nemiche indipendentemente dall’origine dei soldati dei paesi invasori.
Sia i documenti che le testimonianze pubblicate confermano che gli Italiani commisero un basso numero di molestie, atti illeciti e fucilazioni di civili sui territori occupati della regione di Voronež. Questo spiega quindi il fatto che durante la ritirata del 1943 gli Italiani feriti ricevettero l’aiuto misericordioso (tetto e cibo) della popolazione locale civile, in gran parte dalle donne.
Le condizioni fisiche di questi occupanti erano disastrose, quindi la popolazione locale li percepiva non più come nemici, ma come esseri umani sul confine tra la vita e la morte [...].
Quest’anno a Voronež sono state pubblicate le memorie di A.V. Špilevoi, testimone oculare degli eventi, che nel 1942 aveva 15 anni. È interessante una testimonianza presente nel suo libro: “Gli Italiani, com’è noto, non avevano tanta voglia di aiutare i loro padroni, i Tedeschi.
Secondo i racconti dei locali, che si trovarono sulla riva destra del Don, la vita cominciò a essere sopportabile. Si eliminarono quasi del tutto i saccheggi. I soldati italiani aiutavano i locali durante i lavori agricoli e in cambio dei prodotti alimentari davano loro il cherosene, le sigarette e altri generi di proprietà militare.
[...]”
Ciò nonostante, con la fine della guerra alcuni soldati italiani [che si trovavano prigionieri nei lager sovietici, n.d.r.] furono arrestati e condannati dai tribunali militari sovietici per reati militari e crimini commessi tra il 1941 e il 1943, e dimostrati durante l’investigazione.


Un libro che si potrebbe leggere è quello del professor Alim Morozov, Dalla lontana infanzia di guerra. Morozov all’epoca era un bambino e visse l’occupazione sia delle truppe tedesche, sia di quelle alpine italiane.

È una testimonianza – come le precedenti, riportate da Filonenko – riferita al settore tenuto dal Corpo d’Armata alpino. Purtroppo non ho trovato dettagli sul settore di fronte occupato dalle nostre Divisioni di fanteria.

In merito, invece, all’altra questione – come ci vedeva l’Armata Rossa e quale valutazione desse delle nostre truppe – non ho trovato molto, ma bisogna considerare che non ho libri di autori russi, eccetto Il tragico Don, di Vladimir Galitzki.

Ecco cosa riporta Galitzki alle pagine 28 e 29.

Quanti Italiani combatterono sul Fronte Russo? L’Italia stava combattendo all’epoca la Guerra d’Africa; ciononostante inviò al fronte 11 divisioni, che furono più tardi raggruppate e battezzate “Ottava Armata” (ARMIR), composta di circa 374 mila persone. [Le Divisioni italiane dell’8ª Armata erano dieci e il numero complessivo delle truppe dell’ Arm.I.R. era – secondo USSME – di circa 229.000 uomini , n.d.r.]
[...] L’Ottava Armata italiana non aveva rilevante tradizione di guerra e il suo potenziale bellico era modesto. La bassa truppa era formata da uomini religiosi, superstiziosi, ignoranti, dotati di un fortissimo senso della famiglia, che consideravano il servizio militare e ancor più dover partecipare a una guerra come un obbligo penoso.
Gli ufficiali, d’altro canto, non erano adeguatamente preparati per affrontare una guerra in territorio sovietico. Erano autoritari e spesso si imponevano sui soldati ricorrendo alle maniere forti. Tra di loro erano molto diffusi sentimenti e convinzioni monarchici.


Altro, per il momento, non ho.
Saluti.

Patrizia Marchesini
Ringraziano per il messaggio: DARIO

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27/03/2014 11:35 #3 da DARIO
Risposta da DARIO al topic Come ci vedevano i russi?
Molto interessante. Sempre precisa e approfondita. Grazie.

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19/12/2014 10:31 #4 da DARIO
Risposta da DARIO al topic Come ci vedevano i russi?
Girando sul web ho trovato questo.

Commenti?

'Intervistati per la prima volta i comandanti sovietici' tratto da Storia Illustrata numero 266 del gennaio 1980.
'Steppa senza fine del Don, le mani dei conducenti si ghiacciano, presto su questa pianura correranno veloci i carri'. Con questa annotazione intrisa di lirismo, l'allora generale Polobujarov, oggi maresciallo dell'URSS (nel dicembre del 1977 venne incaricato di presiedere all'organizzazione dei funerali di Vassiljievski, uno dei maggiori condottieri della Seconda Guerra Mondiale), ricorda nel suo diario personale di cui siamo venuti a conoscenza la vigilia dell'attacco che l'Armata Rossa sferrò contro l'Armir schierato lungo la riva destra del Don.

Era la sera del 15 dicembre 1942. Da cinque giorni si sviluppava una intensa azione di logoramento delle posizioni degli italiani. Adesso era venuto il momento di sferrare l’offensiva di sfondamento. Oggi, a trentotto anni di distanza, Polobujarov afferma di non poter 'raccontare di quella battaglia nulla di gradevole'. Continua: 'Gli italiani non vennero sconfitti soltanto dal generale inverno, ma dal valore dei nostri soldati. Bisogna aggiungere che noi avevamo oramai una preparazione, una tecnica, una quantità di mezzi, decisamente superiori. L'avventura di Mussolini, l'aggressione a tanti chilometri di distanza contro di noi non poteva che concludersi drammaticamente'.

L'allora tenente colonnello Leonid Baukov, oggi generale della riserva, dal canto suo entrò a Kantemirovka, dove avevano sede i magazzini del II Corpo d'Armata italiano, il 19 dicembre. In una conversazione avuta con noi a Mosca risponde: 'Uno dei primi spettacoli che mi si presentò furono i corpi di alcuni soldati italiani completamente nudi. Non so per quale ragione fossero in quello stato. Presumo che fossero stati spogliati dai loro commilitoni bisognosi di indumenti'. Alla nostra domanda su come abbia giudicato la preparazione degli italiani, risponde: 'Non avevano nè la cultura nè le armi della guerra moderna'.

Gli abbiamo posto un'altra domanda: 'Nella polemica fra i comandi italiani che segui alla sconfitta dell'Armir è stato detto che fu un grave errore non fare uscire dai capisaldi del Don il Corpo d'Armata alpino per attaccare sul fianco destro le armate sovietiche nella fase di preparazione dell'offensiva contro il II Corpo d'Armata comandato dal generale Zanghieri'. Risponde: 'Di fronte allo schieramento degli alpini mi risulta che vi fosse soltanto una divisione-civetta, a ranghi ridotti, con finte postazioni di mitragliatrici. Tuttavia tale attacco avrebbe avuto soltanto conseguenze limitate e tali da non influire sul risultato finale dell'offensiva. La quantità e la mobilità delle nostre riserve ci avrebbero consentito di parare il colpo entro breve tempo'.

Il capitano Bomotov fu anch'egli in quei giorni coinvolto nella grande battaglia ingaggiata lungo un fronte amplissimo, da Stalingrado al Don. Era al comando di un carro armato T34 e dice di aver visto con i suoi occhi degli italiani: 'Era un gruppo di soldati laceri, segnati dalla fatica e dalle privazioni. Vagavano nella steppa dopo essersi arresi e mi chiesero da che parte si trovasse il campo di raccolta. Ricordo che mi limitai a fare un cenno verso l'est. Non provavo odio verso di loro anche se rappresentavano il nemico'. E’ la prima volta che dei testimoni da parte sovietica, della battaglia sul Don che portò alla distruzione dell'8a Armata italiana, accettano di parlare di quella lontana vicenda con dei giornalisti italiani: sono gli autori di questo articolo che da poco hanno completato un volume sulle vicende dell'Armir di prossima pubblicazione presso la Mondadori.

Questo volume si avvale (oltre che delle testimonianze e dei documenti di parte italiana) di testimonianze e documenti di parte sovietica raccolti sempre dagli autori a Mosca e sul Don; e inoltre delle conversazioni che essi hanno avuto con storici e scrittori sovietici, tra cui i colonnelli Vassili Morozov, capo redattore della voluminosa storia della Seconda Guerra Mondiale edita a Mosca su incarico del ministero della Difesa dell'URSS, e Igor Celiscev, vice cape redattore della stessa. E ancora, lo scrittore Beliajev, Filatov e altri. Queste testimonianze dirette hanno consentito di ricostruire l'andamento della battaglia da parte sovietica in parallelo con le vicende italiane, di risolvere molti quesiti finora rimasti senza risposta e di allargare l'indagine al clima, agli stati d'animo che regnavano oltre la linea del fiume.

Le operazioni sul fronte russo nell'autunno del 1942 vedono i tedeschi e i loro alleati italiani, ungheresi e rumeni, attestati lungo il corso inferiore del Don, a ridosso del Caucaso, mentre l'armata di Paulus che si è spinta verso il Volga ha il compito di conquistare Stalingrado. Sul resto dell'immenso fronte l’attivita ristagna. Contrariamente a quello che pensavano i russi, i quali si aspettavano un attacco in grande stile nella zona di Mosca, i tedeschi avevano deciso di forzare la situazione a sud sia per impadronirsi dei pozzi petroliferi, sia per prendere alle spalle, dopo la caduta di Stalingrado, l'imponente schieramento sovietico disposto attorno alla capitale. Ma i tedeschi ignoravano che l’URSS disponeva ancora di imponenti riserve di uomini e che poteva contare su una industria bellica in piena efficienza.

Hanno una funzione decisiva a questo riguardo le regioni orientali dove, già prima della guerra, era stata creata una possente base industriale. Lontane dal fronte sono invulnerabili. Nella zona del Volga, negli Urali, nella Siberia occidentale, nell'Asia centrale e nel Kazachstan dove, fra la seconda metà del 1941 e gli inizi del 1942, sono state evacuate più di millecento aziende industriali, si stanno costruendo nuove fabbriche militari e nuovi stabilimenti metallurgici. Anche per aumentare l'estrazione del carbone nel bacino di Kuzbass, sono stati inviati in queste zone circa 100 mila fra operai, tecnici e ingegneri e sono stati investiti 16 miliardi di rubli (più del 50 per cento di tutti gli stanziamenti per l'economia nazionale) nei 10.315 cantieri. Particolare attenzione viene dedicata alto sviluppo dell'industria aeronautica e dei carri armati, tra i quali il T34, uno dei più avanzati per resistenza, mobilità e volume di fuoco.

E' in questo periodo che compare sulla linea del fronte la famosa katiuscia, soprannominata anche 'organo di Stalin', cioè il mortaio multiplo a trentasei canne. In seguito a questa svolta dell'industria sovietica viene annullata la superiorità tecnica della Germania. Sul finire del 1942 la produzione bellica sovietica supera quella tedesca di due volte per i carri armati e gli aerei, di più di quattro volte per i cannoni, di cinque volte per i mortai e due volte e mezzo per i fucili. E in virtù di questa superiorità che è riuscito al generale Eremenko di chiudere nella sacca di Stalingrado la 6a Armata di von Paulus, che i tedeschi pensano di poter sbloccare con la controffensiva del feldmaresciallo von Manstein. Il contrattacco tedesco parte la mattina del 12 dicembre. I mezzi corazzati del generale Hoth muovono da Kotelnikovo diretti verso Stalingrado. Un altro corpo corazzato, al comando di Hollidt, dovrebbe partire dal fiume Tchir.

I russi non si limitano a contenere l'attacco di Hoth facendo accorrere la 2a Armata di Malinovski, ma prendono a loro volta l'iniziativa praticamente allargando il fronte di Stalingrado fino al Don e scatenando due robuste offensive di sfondamento contro i tedeschi e i rumeni di Hollidt, e contro il II Corpo d'Armata italiano. 'Già in novembre', spiega Polobujarov, 'le nostre truppe avevano portato un duro colpo ai romeni della 3a Armata. Il piano originate dell'attacco preparato dal comandante del fronte di Sud-Ovest, Vatutin, in collaborazione con la Stavka, cioe il nostro comando supremo, si chiamava Saturno e prevedeva adesso di attaccare gli italiani, i tedeschi e i romeni sul Don e sul Tchir con tre grandi puntate offensive: una affidata alla 1a Armata della guardia, che partendo dall'ansa di Verchnje Mamon doveva raggiungere Millerovo; una seconda, con la 3a Armata della guardia del generate Leljuschenko che, partendo da Cerniscevskaja, doveva raggiungere anch'essa Millerovo; infine una terza puntata, affidata alla 5a Armata corazzata, doveva toccare Morozovsk e Tazinskaja'. Si trattava di impedire che forze fresche affluissero verso Stalingrado e di scompaginare l'intera ala sinistra dei tedeschi e dei loro alleati con una offensiva che avesse come ultimo obiettivo Rostov sul Don e ponesse in pericolo di accerchiamento lo stesso gruppo di eserciti A che si era avventurato nel Caucaso.

Continua Polobujarov: 'Lo schema dell'offensiva sul Don subì in seguito delle modifiche e per questo venne ribattezzata Piccolo Saturno. Per dare più forza all'attacco, la 6a Armata del fronte di Voronez venne sottratta al generale Golikov e passata alle dipendenze di Vatutin'. E’ un piano di vasta portata. Le unità corazzate sovietiche della 6a e della 1a Armata devono sfondare le posizioni degli italiani per raggiungere, con una serie di affondi nella steppa gelata, Kantemirovka, Millerovo dove è installata l'intendenza dell'Armir, Morozovsk e Tazinskaja da dove partono i rifornimenti aerei per Stalingrado. Verso Morozov punterà anche la 3a Armata che dovrà travolgere le posizioni del gruppo Hollidt.

'Noi giudicavamo le divisioni italiani forti nella difesa e deboli nell'attacco', ci dice il colonnello Morozov. 'Le armi di cui essi disponevano non gli consentivano di prendere iniziative. Già nel corso dell'estate avevamo gettato nei punti prestabiliti sul Don, sotto il pelo della corrente, delle passerelle che potevano sopportare il peso dei nostri carri armati. Sarebbe stata una sorpresa per quanti confidavano che il fiume, anche se gelato, avrebbe costituito una naturale linea difensiva'. Dopo il logoramento del II Corpo d'Armata italiano che si è protratto dalla mattina dell' 11 alla notte del 15 dicembre, il 16 mattina duemila cannoni aprono it fuoco contemporaneamente sulle posizioni degli italiani.

Racconta Bomotov: 'Era uno spettacolo spaventoso, ma c'era la nebbia e noi comprendevamo che i cannoni dovevano dirigere il fuoco soltanto sugli obiettivi prefissati'. E’ questa stessa nebbia che impedisce ai russi di sconvolgere subito il sistema dei capisaldi e i centri dell'artiglieria italiana e tedesca, costringendo i sovietici a fare entrare in azione prima del previsto le riserve di carri armati. Ricorda ancora il capitano Bomotov: 'I giorni della vigilia avevano visto un'attività senza pari nelle nostre retrovie. Colonne di camion circolavano di notte a fari spenti trasportando truppe e materiale. A ogni reparto era stata minutamente spiegata l'importanza dell'attacco e tutti avevano promesso di compiere fino in fondo il proprio dovere'.

Le punte dell'attacco sono i carri del XVII Corpo corazzato, comandato da Polobujarov, e del XXIV, comandato dal generale Badanov. Alla 174a brigata corazzata del colonnello Scibankov è stato affidato il compito di varcare il Don fra Deresovka e l'ansa di Verchnje Mamon, per puntare su Kantemirovka. Il tenente colonnello Baukov è, all'epoca, Capo di Stato Maggiore della brigata. Ci dice: 'Quello che più ci infastidì fu il fossato anticarro scavato dagli italiani alla base dell'ansa di Verchnje Mamon. Nell'insieme tutte le opere di difesa erano buone. Io e il mio comandante, colonnello Scibankov, che sarebbe caduto molto più avanti nel tempo, mentre già marciavamo verso Praga, ci incontrammo la sera precedente l'attacco per studiare gli ultimi particolari. In quei giorni avevamo ricevuto anche la visita del generale Polobujarov, molto amato dai carristi. Era un uomo che non si risparmiava. Sapevamo che aveva preso parte alla guerra civile nelle unità di cavalleria.

Quella sera del 15 dicembre, Scibankov e io ci chiedemmo quali imprevisti avremmo potuto ancora incontrare. Eravamo sicuri del successo, ma non volevamo esporre inutilmente le vite dei nostri uomini. II colonnello Scibankov era particolarmente attento ai suggerimenti che gli venivano. E se nessuno aveva consigli da dargli era solito chiudere l'incontro con questa frase: 'Non importa, mi basta che mi siate amici'. Per meglio garantire il successo dell'attacco avevamo escogitato anche una specie di diavoleria. Osservando gli attacchi degli Stukas tedeschi ci eravamo resi conto che molti degli effetti psicologicamente dirompenti provocati da questi aerei dipendevano dalla sirena che mettevano in azione durante le picchiate. Avevamo quindi provveduto a montare sui carri armati delle sirene, confidando nella sensazione di panico che il loro suono avrebbe provocato nel momento dell'attacco, anche perche si poteva pensare che i nostri T34 fossero più numerosi'.

L'offensiva dei russi si svolge secondo i piani, anche se vi sono dei rallentamenti. Il massimo sforzo viene compiuto, per quel che riguarda la fanteria, dagli uomini della 127a divisione fucilieri, 172a , 350a, 195a e 1a divisione. Oltre che nell'ansa di Verchnje Mamon tenuta dal II Corpo d'Armata italiano, composto dalle divisioni Cosseria e Ravenna, l'attacco viene concentrato nell'ansa di Ogolev, difesa dalla divisione Pasubio del XXXV Corpo d'Armata, comandato dal generale Zingales. Sostiene ancora Baukov: 'Eravamo al corrente anche di scontri che si erano verificati tra italiani e tedeschi. Malgrado la propaganda che ci perveniva attraverso lanci di fogli dagli aerei o con gli altoparlanti, sapevamo che fra gli alleati non regnava l'armonia'.

E’ la mattina del 19 dicembre quando i primi carri della 174a brigata si presentano sulle alture che dominano l'abitato di Kantemirovka. Ai T34 non è stato affidato il compito specifico di prendere le città e i villaggi. Essi devono scompaginare le difese, in modo che le fanterie possano introdursi nelle case. I carristi puntano dunque le bocche da fuoco verso lo spiazzo della stazione mirando ai camion. Baukov dice: 'Quando anch'io raggiunsi Kantemirovka, degli italiani erano rimasti soltanto i feriti nell'ospedale. Dovunque c'erano automezzi sventrati, corpi con le membra straziate sotto le ruote. Non è uno spettacolo che mi piace ricordare. I magazzini erano pressochè intatti. Evidentemente non c'era stato il tempo di bruciarli. Erano comunque ben riforniti, più di quanto potessi immaginare dall'aspetto dei primi prigionieri italiani'.

Come chiarisce il colonnello Morozov, 'a mezzogiorno del 19 dicembre i T34 si impadroniscono di Kantemirovka. Nello stesso tempo entravano in città i mezzi della 66a brigata corazzata oltre alle avanguardie della 31a brigata motorizzata di fucilieri. Alle otto di sera la città era liberata. Con ciò veniva tagliata una importante via di comunicazione fra Voronez e Rostov sul Don. Da questo momento i carristi del XVII corpo corazzato continuarono a sviluppare l'offensiva in direzione sud verso il Donez settentrionale'. Il 16, giorno dell'inizio dell'offensiva contro gli italiani, Hoth è stato bloccato sulla strada di Stalingrado, precisamente sulle rive del fiume Axai. Cinque giorni dopo la liberazione di Kantemirovka, i carristi di Badanov occuperanno Tazinskaja dopo avere travolto romeni e tedeschi. La 6a armata rimane nella sacca di Stalingrado. La linea del Don è definitivamente infranta.

Rimane intatta a nord, oltre le paludi del fiume Kalitva, ed è tenuta dal Corpo d'Armata alpino e, piu oltre, dalla 2a Armata ungherese. Queste unità sono quanto rimane sul Don del Gruppo di Armate B, comandato dal maresciallo von Weichs, assieme al XXIV corpo corazzato tedesco del generale Wedel e al Gruppo Kramer posto alle spalle degli ungheresi. Dopo il Natale del 1942 l'offensiva sovietica si attenua un po'. I reparti fucilieri rastrellano il territorio compreso fra il Don e il Donez nel quale si difendono ancora alcuni presidi italiani e tedeschi, come a Cercovo e Millerovo, mentre si stringe ancora di più la cintura di fuoco attorno a Stalingrado, che cadrà alla fine di gennaio. Gli italiani sono di nuovo coinvolti nella battaglia alla metà di gennaio 1943, quando si e già sviluppato il nuovo attacco sovietico che porta il nome di operazione Ostrogoszk Rossosc, affidato al comandante del fronte di Voronez, generale Golikov.

Golikov ha incominciato a stendere i suoi piani il 20 dicembre, e il 25 ha raggiunto Mosca in aereo per sottoporli personalmente a Stalin. Questi ha approvato il progetto e anzi ha deciso di fare intervenire nuove forze nell'operazione, il cui scopo principale è di riconquistare la linea ferroviaria che scende da nord verso Rossosc, base di lancio delle future offensive verso il cuore dell'Ucraina. Golikov sorprende il comando tedesco che si aspetta un attacco sul fronte del Corpo d'Armata alpino, e non sui fianchi. Il generale russo lancia le sue offensive contro le posizioni tenute sul Kalitva dal XXIV corpo corazzato tedesco che include la divisione Julia frettolosamente fatta scendere più a sud, e che si è già dissanguata nella difesa del quadrivio di Seleny Jar. Inoltre attacca a nord sul fronte della 2a Armata ungherese. Il Corpo d'Armata alpino si trova chiuso dentro una gigantesca tenaglia, cui cercherà di sottrarsi a prezzo di gravissimi sacrifici.

Una delle caratteristiche essenziali del piano di Golikov è che, alle manovre avvolgenti delle sue armate corazzate, si accompagnano quelle di rastrellamento. Il generale sovietico non vuole incorrere nello stesso errore compiuto dai tedeschi fin dall'inizio della guerra sul fronte russo, allorchè, nella loro spinta verso est, hanno lasciato dietro di loro intere armate solo nominalmente distrutte. Nel corso dell'avanzata, tre generali italiani cadono prigionieri. Sono Battisti, Ricagno e Pascolini, rispettivamente comandanti della Cuneense, della Julia e della Vicenza. L'operazione Ostroszk-Rossosc si conclude 1'1 febbraio, lo stesso giorno in cui von Paulus capitola a Stalingrado. Ma già il successo per Golikov si è delineato il 20 gennaio, quando sul fronte delle sue armate è cessata ogni resistenza organizzata.

Se per le tre divisioni alpine, Tridentina, Julia e Cuneense, e per la divisione di fanteria Vicenza, coinvolte in questa gigantesca manovra di accerchiamento, la ritirata attraverso la steppa e con una temperatura che spesso raggiunge i quaranta gradi sotto zero, si risolse in una tragedia (soprattutto per il ritardo con cui il comando supremo tedesco autorizzò dopo molte resistenze il loro sganciamento dalla linea del Don), per i russi essa ebbe a un certo momento le caratteristiche di un'azione di 'bonifica' del territorio liberato. Ci dice Morozov: 'Concluse rapidamente le due battaglie di sfondamento a nord sul settore ungherese, e a sud su quello tedesco del XXIV corpo corazzato, per le armate sovietiche che già avevano raggiunto Valuiki, si tratto di rastrellare la grande sacca: un compito, diciamo, quasi di ordinaria amministrazione nel quadro dell'intera operazione Ostrogoszk Rossosc'.

In queste stesse settimane è incominciata la ritirata tedesca dal Caucaso e anche il fronte di Leningrado passato all'offensiva dopo il lungo assedio della città. L'avventura degli italiani in terra di Russia è praticamente terminata. I primi reparti superstiti affluiti in un primo tempo verso Voroscilovgrad, in seguito verso Dniepropetrovsk e Gomel, incominciano a rientrare in Italia a partire dalla metà di marzo. In Russia rimangono i morti e i prigionieri.
Ringraziano per il messaggio: Patrizia Marchesini

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21/12/2014 21:02 #5 da Patrizia Marchesini
Risposta da Patrizia Marchesini al topic Come ci vedevano i russi?
Contributo esaustivo e interessante.
Su due dettagli specifici non concordo.

Primo. Non credo proprio che i nostri militari trovati nudi a Kantemirovka siano stati spogliati da altri Italiani... La ritengo una sciocchezza. Anche perché a Kantemirovka si verificò un fuggi-fuggi generale (l'unico, direi), alla vista dei carri armati avversari sulle alture della città.
Difficile, quindi, che qualcuno si fosse attardato a spogliare i cadaveri dei commilitoni. A quale scopo, oltretutto?
Probabile, invece, che la popolazione civile avesse preso indumenti e calzature, visto che - nella maggioranza dei casi - le condizioni di vita di Ucraini e Russi erano piuttosto misere.

Secondo. Da quanto si legge in molte opere di memorialistica specifiche sulle Divisioni italiane del II, XXXV e XXIX Corpo d'Armata, la resistenza fino al 17-18 dicembre (per quanto riguarda il II CdA) e al 19 dicembre (se si parla di XXXV e XXIX CdA) fu accanita. Le perdite subite dai reparti in linea furono pesanti.
L'azione sovietica non fu rallentata - ma è la mia modesta opinione - tanto dalla nebbia, quanto da come i nostri (pur in evidente inferiorità numerica e di artiglierie) reagirono all'attacco, con la forza della disperazione.

Poi, certo, vi fu un incrociarsi di ordini confusi... e l'entrata in campo dei carri rese vana ogni resistenza, soprattutto in relazione alle prime fasi del ripiegamento delle Divisioni di Fanteria.
I movimenti a tenaglia descritti nel commento di Dario furono efficaci e le colonne in marcia si scontrarono a più riprese contro gli sbarramenti avversari, o vennero incalzate da altre forze corazzate e da Unità motorizzate di fanteria.

Infine... quanto si legge nelle ultime righe muove una profonda tristezza. Si parla di "ordinaria amministrazione" nel rastrellare la "grande sacca". Tante vite si dibatterono per giorni e giorni inutilmente e tantissimi, purtroppo, da quella sacca non uscirono mai più.
C'è da dire che i Sovietici seppero trarre lezione da quanto era avvenuto in precedenza, con tante loro Unità rinchiuse in sacche enormi dall'avanzata dei Tedeschi e dei loro alleati (fra cui anche le nostre Unità, coinvolte in una battaglia tra giganti).


Saluti.


Patrizia

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