Giuseppe Moroni - Prigioniero dei Tedeschi... e dei Sovietici

29/08/2014 16:08 - 29/08/2014 17:10 #1 da Patrizia Marchesini
Giuseppe Moroni - Prigioniero dei Tedeschi... e dei Sovietici è stato creato da Patrizia Marchesini
Dopo gli eventi collegati all'8 settembre 1943, oltre seicentomila furono i militari italiani deportati in Germania e internati nei lager nazisti. Quando i Sovietici - in avanzata vittoriosa verso ovest - giunsero a quei lager, accadde spesso che, invece di liberarne e rimpatriarne i prigionieri, li inviarono a est, nei loro lager. Questo si verificò soprattutto nel 1944.
Secondo i tabulati forniti dal Governo russo nei primi anni Novanta, 1.278 di quegli Italiani liberati dai Russi trovarono la morte nei campi di prigionia sovietici. Si tratta di dati di certo incompleti, perché molti morirono prima di essere registrati.

Giuseppe Moroni, classe 1924, fu uno dei nostri soldati che, dopo avere trascorso mesi e mesi nei lager nazisti come I.M.I., fu deportato a est.







Ecco quanto racconta uno dei figli di Giuseppe, il signor Leonardo Davide Moroni.

Nostro padre è nato a Foresto Sparso in provincia di Bergamo; fu chiamato in servizio di leva a diciotto anni e destinato a un reparto di artiglieria corazzata a Mantova.
Dopo l’8 settembre i Tedeschi deportarono numerosi soldati italiani. Anche mio padre Giuseppe subì questa sorte.
Il viaggio in treno verso la Germania fu molto duro, senza cibo e con pochissima acqua.
Durante i mesi di prigionia, mio padre lavorò come contadino nelle campagne e come operaio nelle fabbriche di armi tedesche (soprattutto in fonderia).
I turni erano massacranti... si sopravviveva con un pugno di cibo, resistendo al freddo con indumenti inadeguati. Diversi commilitoni morirono per la fatica e gli stenti.
















Poi arrivarono i Sovietici e cominciò un’altra lotta per la sopravvivenza: mio padre e gli altri prigionieri del campo tedesco, scortati da soldati russi, vennero costretti a camminare giorno e notte, a marce forzate. Nel procedere dovevano avere cura di non ingombrare le strade, per dare via libera ai convogli dell'Armata Rossa in avanzata verso Berlino.
Ai nostri poveri soldati ben di rado veniva concessa una sosta e molti, per l’inumana fatica, spesso orinavano sangue.
Se qualcuno dava segno di cedimento, veniva abbattuto e abbandonato nel fango o nella neve.
La notte entravano nelle chiese abbandonate nel tentativo di ripararsi dal gelo terribile... le stesse chiese in cui avevano sostato le truppe sovietiche in avanzata verso la Germania; dormivano per terra e, per non appoggiare la testa sul pavimento ghiacciato, mio padre Giuseppe usava una scarpa come cuscino.
Nel sonno i prigionieri giacevano addossati l'uno all'altro: era l’ unico modo per scaldarsi un pochino. Per giorni non venne distribuito cibo.
Marciarono attraverso la Polonia devastata dalla guerra, verso la città di Lublino, vicino al confine con l'Unione Sovietica.
Qui furono rinchiusi in un campo di prigionia situato nei pressi di un campo di sterminio nazista.
In seguito, Giuseppe e un'ottantina di soldati italiani vennero trasferiti nel campo di prigionia di Rzeszow (circa 180 chilometri a est di Cracovia), e sistemati in un ospedale da campo costituito da strutture in tela, abbandonate dai Tedeschi in ritirata e occupate dai Sovietici.
Il trattamento riservato ai prigionieri dai Russi era di poco più umano di quello che avevano subito per mano dei Tedeschi.
Nel giugno 1945 furono informati che la guerra in Europa era finita. Da allora mio padre aspettò con impazienza il momento del ritorno in Patria. Nell'ottobre 1945 una tradotta - attraversando mezza Europa - riportò in Italia Giuseppe insieme a centinaia di altri soldati italiani.
Il giorno del suo 21° compleanno giunse sull’uscio di casa e la mamma non lo riconobbe: le sofferenze patite erano state tali da renderlo irriconoscibile.


Ecco due pagine del Foglio Matricolare di Giuseppe Moroni, che documentano la sua odissea con il linguaggio scarno della burocrazia.











Giuseppe Moroni è deceduto il 10 gennaio 2014 e con la sua scomparsa - come ci ha scritto il figlio Leonardo Davide - è venuto a mancare un testimone diretto di quanto i soldati italiani dovettero affrontare durante il secondo conflitto mondiale.

Ringraziamo la famiglia Moroni per averci fornito immagini e documenti.
Ringraziano per il messaggio: Andrea Riva, Maruska

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