Matilde Comollo: chi era veramente?

20/03/2014 21:12 #1 da Marco
Matilde Comollo: chi era veramente? è stato creato da Marco
Ciao a tutti gli amici del forum UNIRR.
Vorrei chiedere il vostro aiuto per approfondire la conoscenza di un personaggio citato nel libro di Arrigo Petacco L'armata scomparsa (v. pdf allegati con il brano Una voce nella notte).

Si tratta della fuoriuscita italiana Matilde Comollo la quale, dopo essere stata deportata nel campo di Tambov a seguito delle purghe staliniane, vi svolse opera di propaganda politica tra i prigionieri italiani.

Nel libro di Petacco - il quale, detto per inciso, è probabilmente convinto che dell'armata richiamata nel titolo non facessero parte divisioni di fanteria ma solo truppe alpine - viene descritta una persona di grande umanità, del tutto in controtendenza rispetto ad altre note figure di propagandisti comunisti italiani.

Vi chiederei pertanto se avete sentito parlare di questo personaggio e in che termini.

Grazie a tutti!
Marco
Allegati:

Accedi o Crea un account per partecipare alla conversazione.

22/03/2014 15:58 - 23/03/2014 10:13 #2 da Patrizia Marchesini
Risposta da Patrizia Marchesini al topic Matilde Comollo: chi era veramente?
Innanzitutto è forse bene spiegare in poche parole il fenomeno del fuoriuscitismo.
I fuoriusciti – vocabolo coniato durante il regime fascista – erano quegli Italiani che, avversi politicamente al regime, espatriarono volontariamente oppure furono costretti a optare per l’esilio, per evitare il carcere o il confino.
Centinaia di persone furono coinvolte in questo movimento di migrazione atipica, e si trasferirono chi in Svizzera, chi in Germania e Belgio, chi a Parigi. Dopo l’ascesa del nazismo in Germania e l’occupazione tedesca di gran parte dell’Europa, molti fra i fuoriusciti italiani e gli oppositori dei regimi fascisti e nazisti di altre nazioni raggiunsero l’Unione Sovietica, ritenuta il paradiso dei lavoratori.
Per quanto riguarda gli Italiani, vi erano esponenti sia della classe operaia sia della dirigenza ad alto livello di partiti o sindacati disciolti durante il ventennio, sia giornalisti.
La maggior parte di essi, una volta giunti in U.R.S.S., si stabilì a Mosca. Le condizioni di vita – senza dubbio migliori rispetto a quelle del cittadino medio sovietico dell’epoca – erano abbastanza misere e comunque lontane da quelle di cui godevano nel loro paese di origine.
Anche la posizione giuridica di queste persone era incerta: le autorità concedeva un permesso di soggiorno, in contemporanea con il ritiro del passaporto e di ogni altro documento identificativo rilasciato dal paese d’origine. Il permesso di soggiorno andava rinnovato ogni tre o sei mesi.
Dopo il 1933 la situazione peggiorò, con l’imposizione ai fuoriusciti della cittadinanza sovietica (e la perdita conseguente della cittadinanza d’origine). Chi tentava di opporsi veniva a trovarsi senza alcun documento d’identità valido, e perdeva la possibilità di reperire alloggio, vitto e lavoro.
In seguito – nella seconda metà degli anni ’30 – vi furono purghe severe. Ebbe inizio un periodo di terrore per gli emigrati politici italiani. Molti furono gli arresti da parte dell’NKVD. Fra gli oltre seicento emigrati politici italiani in Unione Sovietica, circa un terzo conobbe il carcere o la deportazione. Alcuni furono condannati a morte e giustiziati. Palmiro Togliatti, bisogna dirlo, non mosse un dito in favore dei compagni di partito caduti in disgrazia.
Decine di fuoriusciti italiani parteciparono attivamente al progetto di rieducazione politica nei campi per prigionieri di guerra, ma si conosce nome e cognome soltanto di una parte di essi. Molti utilizzarono uno pseudonimo.

Per saperne di più sull’argomento si possono leggere il secondo capitolo de I prigionieri di guerra italiani in URSS – Tra propaganda e rieducazione politica – L’Alba, 1943-1946 (Luca Vaglica, Prospettiva Editrice, Civitavecchia-Roma, 2006) e il quarto capitolo de I prigionieri italiani in Russia (Maria Teresa Giusti, Il Mulino, Bologna, 2003), ma ho citato solo i libri in mio possesso. Ne esisteranno di sicuro molti altri.

Matilde Comollo era conosciuta come signora Torre e – benché il marito Aldo Gorelli, un fuoriuscito, fosse stato fucilato nel 1938 con sentenza del Tribunale Militare di Mosca – svolse attività di propaganda fra i prigionieri di guerra italiani catturati dai Sovietici. Su di lei ho trovato varie testimonianze.

Fidia Gambetti in Né vivi né morti – Guerra e prigionia dell’ARMIR in Russia – 1942-1945, conferma in parte il racconto di Petacco, descrivendo l’arrivo a Tambov della tradotta su sui aveva viaggiato insieme ad altri prigionieri.

[...] appena il treno di fermò a una delle tante stazioni anonime, una voce di donna ci parla nella nostra lingua, ripetendo di vagone in vagone: “Italiani, il campo di concentramento si trova a quattro chilometri. I feriti e i congelati non si muovano.”

Pochi giorni dopo la donna comparve nella baracca di Gambetti. Si presentò come un’emigrata politica di Torino, con funzioni di interprete. Sprona i prigionieri ad avere pazienza... l’organizzazione migliorerà, il lager verrà meglio attrezzato. Ma, forse altrettanto importante agli occhi degli Italiani, la donna assicura che i prigionieri potranno scrivere a casa. Vengono in effetti consegnati cartoncini rosa con gli emblemi della Croce Rossa e della Mezzaluna Turca.
Ma alla domanda di Gambetti sulle modalità di invio di tali cartoline, la donna – di cui l’autore non specifica il nome – risponde che sacchi contenenti la posta dei prigionieri verranno lanciati dagli aerei nelle retrovie del fronte, con la speranza che le cartoline arrivino a destinazione.

Il maggiore Alberto Massa Gallucci – nel suo libro No! 12 anni di prigionia in Russia – descrive l’incontro con la signora Torre nel lager di Tambov. La donna si stupì delle condizioni in cui gli Italiani erano stati mandati a combattere, senza scarpe e cappotti. I prigionieri che le erano intorno la interruppero, sottolineando che erano stati i Sovietici a depredarli:

Non sapeva, la signora [...] che ci avevano portato via gli stivali, i guanti, le coperte, ogni cosa? La donna rimase interdetta e ci lasciò parlare. Poi disse che nell’esercito russo c’erano ancora molti troskisti e che essi si comportavano come predoni per sabotare il buon nome dell’armata sovietica. Questo sarebbe stato per anni e anni, come imparai più tardi, uno degli spunti più sfruttati dalla propaganda russa quando non poteva negarsi l’evidenza di ingiustizie e ruberie.

E ancora:

[…] Ci tennero un pezzo davanti al portone chiuso, quasi due ore. Per non gelare, saltellavamo come durante la marcia del davaj. Ci passò accanto la Torre e molti gridarono parole di protesta [...]. La Torre si risentì. “Avete battuto le mani a Mussolini, adesso battete i piedi.”

Più tardi quel gruppo di prigionieri italiani fu condotto in una baracca e la donna rassicurò tutti sul trattamento che avrebbero ricevuto. Alla domanda del maggiore Massa Gallucci su come si sarebbe provveduto ai feriti e ai congelati, la signora Torre replicò che i Russi dovevano pensare a fare la guerra e che il lager non era una clinica.

Anche Lelio Zoccai, nel suo libro Prigioniero in Russia, parla di una signora italiana, con la figlia Mila, una certa Torre di origine piemontese, moglie del compagno comunista che si dice sia morto in un gulag del Circolo Polare Artico. [...] Le andiamo incontro, fiduciosi come verso un’amica comprensiva, sperando che ci aiuti un po’ presso il Comando russo. Invece ci delude amaramente [...]. Sostiene che siamo trattati fin troppo bene e che noi siamo indegni di questa loro magnanimità, perché siamo venuti in Russia senza essere invitati [...].
[...] è l’Italia che ha attaccato quella nazione. Però che colpa ne ha il soldato?, ribatte qualcuno; inutile difesa, ti rispondono che avresti sempre potuto disertare e passare nelle file russe.


Certo, sia Zoccai sia Massa Gallucci fecero parte di quel gruppo di prigionieri trattenuti ben oltre la fine del conflitto. Conosciuti come gli ultimi 28 (nonostante, secondo Maria Teresa Giusti, fossero un po’ di più) questi prigionieri vennero accusati di crimini di guerra più o meno gravi, sottoposti a processi che qualsiasi avvocato giudicherebbe farseschi, e condannati a pene lunghissime. Alcuni, come Zoccai, rientrarono in Italia nel 1950; altri, come Massa Gallucci, dovettero aspettare la morte di Stalin. Massa Gallucci rivide il nostro Paese solo nel febbraio 1954.
Dopo una simile esperienza è comprensibile che il sistema dei lager in generale e i fuoriusciti in particolare non suscitassero un gran entusiasmo.

A quanto pare Matilde Comollo operò non solo a Tambov. In seguito svolse azione di propaganda anche a Suzdal’, dove Don Turla, autore di 7 rubli per il cappellano, ebbe modo di incontrarla: la chiama angelo di Tambov, ma tale soprannome ha toni piuttosto duri e sarcastici.

Maria Teresa Giusti, nel libro già citato, a pag. 130 inserisce il breve stralcio di una lettera indirizzata dalla signora Torre a Vincenzo Bianco, il 28 gennaio 1943:

Mi trovo al campo n. 188 [Tambov, n.d.r.], dove si trovano 9.000 italiani!!! Dei quali più di 3.000 ufficiali di diverso grado. Il lavoro è enorme e io mi trovo sola in mezzo a questo mare in bufera.
Ti garantisco che per il nostro partito è indispensabile, urgente, necessarissimo la presenza del nostro partito, quindi caro Bianco, prendi misure immediate e se non venite voi, che sarebbe desiderabile, mandate minimo 2-3 elementi politici in aiuto. Aiuto.

Segue la richiesta di letteratura in lingua italiana e francese e di vocabolari di italiano-russo. Non è specificato se la letteratura dovesse essere di genere politico, ma si può avanzare tale ipotesi, in quanto molti prigionieri hanno poi riportato che i libri disponibili nei campi dopo i primi mesi terribili (durante i quali l'ultimo dei pensieri era quello di leggere) vertevano su tematiche socio-politiche.

Concludendo questo lunghissimo post, mi è capitato in diverse occasioni di leggere accenni sui fuoriusciti nei libri di memorialistica scritti da reduci dalla prigionia.
Una buona percentuale ne dà un giudizio negativo; alcuni di essi vengono descritti, però, come brave persone e non mancano sentimenti di commiserazione, nell’avere intuito che – se certi erano politicamente molto motivati e duri con i prigionieri – vi erano anche casi di individui disillusi e stritolati dal sistema sovietico. Un esempio è quello di Armando Cocchi che domandò ripetute volte di poter tornare in Italia. Non fu accontentato e morì a Mosca – come riporta Maria Teresa Giusti – nell’agosto 1946.

Saluti.

Patrizia Marchesini

Accedi o Crea un account per partecipare alla conversazione.

25/03/2014 11:30 #3 da Marco
Risposta da Marco al topic Matilde Comollo: chi era veramente?
Cara Patrizia,
grazie del tuo dettagliatissimo post e delle ricerche che hai fatto.
Tuttavia, anche considerando che una buona parte delle informazioni che citi proviene da fonti "polarizzate" (diciamo così), mi resta il dubbio di come (e, soprattutto, perchè) Petacco abbia potuto prendere una simile cantonata.
E' vero che parlando dei fuoriusciti e dei propagandisti nei campi, l'autore cerca spesso di "contestualizzare" il loro comportamento facendo intendere che in quelle circostanze forse non si poteva fare diversamente da come si è fatto, però resta il fatto che in base a quanto hai potuto appurare questa storia di Matilde Comollo è riportata in modo totalmente romanzato.
Boh...
Grazie ancora della tua gentilezza.
Marco

Accedi o Crea un account per partecipare alla conversazione.

25/03/2014 22:41 #4 da Patrizia Marchesini
Risposta da Patrizia Marchesini al topic Matilde Comollo: chi era veramente?
Non c'è di che...
Magari altri utenti hanno letto testimonianze ulteriori su Matilde Comollo e possono aiutarci a fare luce su di lei e sull'operato di altri fuoriusciti, in relazione a quanto riporta Petacco nel suo volume (che io non ho).
Io mi sono basata soltanto sui libri che si trovano nei miei scaffali e quindi la mia risposta, per forza di cose, non può essere considerata esaustiva.

A presto.

Patrizia

Accedi o Crea un account per partecipare alla conversazione.

Moderatori: Maurizio ComunelloPatrizia Marchesini

Usiamo i cookies per migliorare il nostro sito e la vostra esperienza nell'utilizzarlo. I cookies usati per le operazioni essenziali sono già stati impostati. Per ulteriori informazioni sui cookies che utilizziamo e su come cancellarli, leggete la nostra privacy policy.

  Accettate i cookies da questo sito?