di Patrizia Marchesini

 

 

A Bologna vi è uno dei cimiteri più suggestivi al mondo. Non è una vanteria esagerata, se si pensa che anche Charles Dickens ne fece accenno nel suo Impressioni d’Italia (1846). Alla Certosa Monumentale – dove sono sepolti, fra gli altri, Giosuè Carducci e Ottorino Respighi, Marco Biagi e Lucio Dalla, Giorgio Morandi e Riccardo Bacchelli – si trova un’opera in bronzo dedicata ai bolognesi caduti in Russia.

Chiamata affettuosamente Il Soldatone, la statua fu voluta con forza nei primi anni Cinquanta da un comitato promotore formato da ufficiali reduci dai campi di prigionia sovietici della sezione U.N.I.R.R. di Bologna, fra i quali il generale Emilio Battisti e Don Enelio Franzoni.

Una lettera del suddetto comitato – datata dicembre 1953 – specificava che non si intendeva erigere un monumento, bensì piuttosto una tomba simbolica per ricordare e onorare quei bolognesi che, partiti per il Fronte Orientale, non fecero ritorno e non ebbero una degna sepoltura.

 

 

Copia della lettera del comitato promotore, a firma del generale Emilio Battisti, dicembre 1953

 

Per sostenere le spese di realizzazione, il comitato promotore aprì una pubblica sottoscrizione presso la Banca Popolare di Bologna, cui fecero riscontro parecchie offerte, “generose, umili, significative”, a testimoniare il sostegno al progetto non solo dei bolognesi, ma anche degli emiliani.

Tale tomba simbolica sarebbe dovuta sorgere su un’area concessa dal Comune di Bologna: la richiesta di concessione gratuita del terreno era stata indirizzata al Sindaco già nel maggio del 1951 e, un anno dopo, venne data rassicurazione verbale che la domanda era stata accolta. 1

Nel marzo del 1954 tutto sembrava procedere per il meglio: ricevuto il nulla osta per l’esecuzione dei lavori, i materiali necessari furono trasportati alla Certosa.

Ai primi di maggio, tuttavia, il prof. Samaia 2 – lo stesso che aveva fornito rassicurazione verbale sulla concessione del terreno e che aveva anche già individuato l’area – domandò al comitato promotore se la tomba simbolica sarebbe potuta divenire un monumento dedicato ai caduti di tutte le guerre.

Sembrarono esservi ostacoli anche dopo che il comitato – sempre su richiesta del prof. Samaia – ebbe comunicato il testo dell’epigrafe, scelto per essere apposto al basamento. Durante il Consiglio Comunale del 23 luglio 1954, infatti, la delibera per l’erezione della tomba simbolica non venne approvata. Il sindaco di Bologna, Giuseppe Dozza, indirizzò al generale Battisti una lettera,3 nella quale si affermava di “avere a suo tempo presentato e sostenuto una proposta di delibera in cui, affermata l’opportunità di una tomba simbolica comune per tutti i caduti, si invita[va] l’U.N.I.R.R. ad aderire alla richiesta di considerare la tomba simbolica della quale si è fatta promotrice come la tomba di tutti i caduti lontano dalla Patria.”

 

Recente cerimonia di commemorazione defunti

Siccome la sottoscrizione era stata aperta con uno scopo ben preciso e siccome il comitato promotore non riteneva lecito l’utilizzo del denaro raccolto fino a quel momento per una ragione diversa da quella dichiarata in precedenza, la sezione U.N.I.R.R. di Bologna chiese al Comune quali passi erano necessari per acquistare una porzione di terreno presso la Certosa.

In seguito il generale Battisti aderì alla richiesta del sindaco, proponendo la sostituzione dell’epigrafe decisa in precedenza con un’altra a ricordo dei caduti italiani in terra di Russia e di “quant’altri in terra, in mare, in cielo s’immolarono nell’adempimento del dovere militare e, per eventi bellici, non ebbero onorata sepoltura”. 4

Un articolo successivo, pubblicato su L’Avvenire d’Italia il 5 novembre 1954, si fece portavoce della protesta di alcune persone che si erano rivolte proprio alla suddetta testata giornalistica. Si trattava di bersaglieri reduci, di madri e mogli di caduti, i quali – così l’articolo rimarcava – non erano neppure soci U.N.I.R.R., ma avevano espresso il chiaro desiderio di una tomba simbolica dedicata in maniera specifica a quanti erano scomparsi durante la Campagna di Russia, a fronte del fatto che a Bologna monumenti generici ai caduti e monumenti-ossari erano già esistenti.

Il materiale in mio possesso non mi permette di conoscere gli ulteriori sviluppi, ma Il Soldatone presenta l’epigrafe originaria stilata dal comitato promotore, incisa su un blocco di travertino. Sta appoggiato al suo moschetto, con uno sguardo che va dritto al cuore, tanto che mia sorella – avrà avuto all’epoca tre o quattro anni e non sapendo leggere – una delle volte che la nonna ci aveva portate davanti al Soldatone chiese chi fosse quel signore così triste. La nonna – probabilmente immersa nelle sue preghiere – disse sbrigativamente che la statua era stata messa per ricordare i caduti in Russia. A quel punto mia sorella mi tirò la manica e mormorò preoccupata: “Certo che quelli lì che sono caduti devono essersi fatti molto male.”

 

L’artista

La tomba simbolica è opera di Cesarino Vincenzi (Monte S. Pietro, 1914 – Bologna, 2011). Vincenzi si diplomò presso il Liceo Artistico di Bologna e seguì un corso di scultura all’Accademia di Belle Arti, nella stessa città. Ottenuta l’abilitazione per l’insegnamento delle materie artistiche nel 1953, fu professore titolare prima al Liceo Artistico, poi all’Istituto Statale d’Arte di Bologna.

 

Cesarino Vincenzi al lavoro su una statua di Padre Pio - Immagine tratta dal sito ufficiale di Cesarino Vincenzi

 

Si è sempre dedicato all'arte sacra, realizzando in tal campo un numero di opere impossibile da elencare, ma ha sconfinato, talvolta, nel profano: ricordiamo – per esempio – un monumento in bronzo a Pioppe di Salvaro, dedicato alle vittime del nazismo, oppure il busto in bronzo di Robert Schumann, posto presso la sede del Parlamento europeo di Strasburgo, o il ritratto dell’attrice Lisa Gastoni, o ancora sei statue in polistirolo (alte tre metri) per il film di Fellini, 8 ½.

Si cimentò anche nella realizzazione di alcuni presepi in terracotta policroma, per alcune importanti chiese della sua città.

Oltre a parecchie testate nazionali, hanno parlato di lui anche Le Figaro e The Times.

 

 

Un ringraziamento a Odile Cocchi e a Pierangela Marchi per la documentazione fornita.

 

 

Leggi l'articolo pubblicato in data 29.07.54

 

01.Articolo 29.07.54

 
 

Leggi l'articolo pubblicato in data 29.10.54

 

Articolo del 29 ottobre 1954
 
 
 

Leggi l'articolo pubblicato in data 03.11.54

 

Articolo del 3 novembre 1954
 
 

Leggi l'articolo pubblicato in data 05.11.54

 
Articolo del 5 novembre 1954
 

fine

 

 

 


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