Cara Claudia,
eccomi anche qui...
Parto dalle sue ultime considerazioni. Non è facile - d'acchito - servirsi del sistema WebGIS, ma con qualche prova si prende dimestichezza in fretta.
Per arrivare alla realizzazione di mappe personalizzate, ecco il percorso.
www.plini-alpini.net -->
Progetto GIS-Russia 1941-1954 (lo noterà nel menù a sinistra... vi clicchi sopra).
Una volta aperta la schermata
Progetto GIS-Russia, clicchi su
Altre notizie e poi su
Il WebGIS.
A questo punto può creare delle mappe personalizzate, servendosi dei parametri che vede sulla destra e aiutandosi con i pulsanti-comando.
In merito ai tre quesiti che ha posto... purtroppo non so darle certezze.
So solo che - nelle retrovie dei Corpi d'Armata delle Divisioni di Fanteria - Kantemirovka, Čertkovo e Millerovo erano centri logistici molto importanti, sedi di magazzini e Servizi.
Ipotizzare a quale lager fosse stato destinato Luigi dopo l'eventuale cattura non mi è possibile. Non vi fu una vera e propria regola.
Molti conobbero la tragedia dei primi campi di smistamento (uno su tutti, Tambov), dove le condizioni di vita furono terribili.
Ma anche arrivare ai campi fu un dramma nel dramma: la stragrande maggioranza dei prigionieri dovette prima affrontare le marce del davai, per allontanarsi dalla zona dei combattimenti e giungere nelle retrovie dell'Armata Rossa.
Poi vi furono i trasporti ferroviari verso i lager: cibo scarsissimo (così come durante le marce del davai), il tormento indicibile della sete, le ferite e i congelamenti non curati... circostanze che - come intuibile - portarono durante quei viaggi a numerosi decessi.
Si ebbero, in treno, anche i primi casi di tifo e di dissenteria...
Nei lager i primi mesi furono tragici... l'alimentazione del tutto insufficiente, l'assistenza sanitaria pressoché nulla, la sistemazione riservata ai prigionieri (definirla spartana è un eufemismo) ebbero ragione in tempi molto brevi di organismi già debilitati da quanto vissuto e sperimentato a partire dalla metà di dicembre 1942.
Le epidemie di tifo petecchiale e di dissenteria - scoppiate con violenza - causarono (in modo particolare tra febbraio e marzo 1943) un numero altissimo di decessi.
A maggio-giugno del '43 solo una minima parte di coloro che erano stati catturati nell'inverno precedente era ancora in vita.
Di quanti morirono durante le marce, durante i viaggi in treno, oppure ancora nei lager... senza che le loro generalità fossero state annotate dalle autorità sovietiche, non esiste traccia - oggi - negli archivi russi.
Circostanze analoghe, comunque, si erano verificate anche per coloro che non vennero catturati: durante il ripiegamento delle nostre Divisioni (prima quelle di Fanteria e poi quelle del Corpo d'Armata alpino) non fu semplice tenere nota delle perdite subite negli itinerari che si sperava avrebbero portato alla salvezza.
Quando i superstiti dei vari reparti raggiunsero linee più sicure, uscendo dall'accerchiamento, si fecero i primi bilanci... ma per molti nostri soldati l'unica certezza fu soltanto la loro mancata risposta a un appello. E, in tanti casi, quella è l'unica certezza tuttora rimasta.
Il discorso è lunghissimo... se lo desidera - riguardo ai tantissimi che ancora oggi, come Luigi, risultano scomparsi - potrebbe leggere due testi di Carlo Vicentini, all'epoca sottotenente del Battaglione Alpini Sciatori Monte Cervino.
Carlo, reduce di prigionia, ci ha lasciati lo scorso febbraio... Aveva compiuto da poco 99 anni.
Qui
troverà i suddetti articoli: il primo si intitola
Chi sono i dispersi?, il secondo è un'analisi delle difficoltà di traslitterazione incontrate nel tentativo di identificare i nomi di nostri militari negli elenchi in cirillico forniti negli anni '90 dal Governo russo al nostro Governo.
---
In merito alla sua ultima domanda, non sono sicura di avere compreso: si riferisce al ricovero in uno dei nostri ospedali o a un campo-ospedale russo (cioè a un ricovero in prigionia)?
In entrambi i casi, non è facile darle risposta.
Fino al momento di ripiegare, i nostri soldati feriti o ammalati vennero smistati in modo graduale verso le retrovie per ricevere le cure opportune... ma è indubbio che - con l'inizio del ripiegamento e la formazione di
sacche da parte sovietica in cui i nostri si trovarono accerchiati - questo tipo di assistenza venne meno. Chi era già nelle retrovie
sicure di certo fu trasportato in Italia con i treni-ospedale.
Chi venne ferito, chi fu colpito da malattia o congelamento durante la ritirata, invece, a volte riuscì a uscire cmq dall'accerchiamento.
Le variabili furono molteplici: dipese non solo dalla gravità della ferita, della malattia o del congelamento... ma anche e soprattutto dalla possibilità che amici e commilitoni del militare in questione ebbero di soccorrerlo, di trasportarlo su una slitta, di tenerlo al caldo e fornirgli un minimo di cibo in quei giorni terribili.
Per molti esempi di abnegazione che contribuirono alla salvezza di nostri soldati, ve ne furono tanti altri che testimoniano come - ripiegamento durante - fosse difficilissimo occuparsi di un amico ferito o congelato che non era in grado di procedere in maniera autonoma.
Molti superstiti che avevano vissuto i giorni del ripiegamento raccontarono poi che la cosa più straziante fu la necessità di procedere, senza potere aiutare i tanti che chiedevano aiuto e che non erano in grado di proseguire il cammino.
Chi giunse ai campi di prigionia ferito, congelato o malato (o si ammalò nei primi tempi dopo la cattura)... non ebbe molte possibilità.
Alcuni, malgrado tutto, sopravvissero... Ma i più - come noto - non ce la fecero.
La maggioranza dei campi aveva strutture molto spartane chiamate
lazaret; per moltissimi si rivelarono l'anticamera della morte.
Per amore di verità occorre dire che l'universo concentrazionario dell'ex Unione Sovietica comprendeva anche ospedali veri e propri. In alcuni di essi i nostri soldati sperimentarono un trattamento umano: letti veri con lenzuola vere, un'alimentazione un pochino migliore e più abbondante, un atteggiamento sollecito da parte del personale... ma si trattò di eccezioni.
Chi venne ricoverato durante la prigionia, di solito, riferì di condizioni insufficienti a garantire un recupero. Mancavano i farmaci e mancavano i medici (impegnati al fronte, con i reparti dell'Armata Rossa).
Alcuni campi-ospedale dell'ex Unione Sovietica sono abbastanza famosi e ricorrono nella memorialistica, ma non saprei dirle in quale di essi sarebbe potuto finire Gigino... mi spiace.
Un saluto.
Patrizia