di Patrizia Marchesini
Novembre 1942.
La tradotta procede verso il Fronte Russo.
Il giorno 17 scrivi una cartolina... Babbo e mamma carissimi...
Racconti brandelli di viaggio: la sistemazione in brandine (negli scompartimenti di 1ª e 2ª classe), il tempo nebbioso.
Stiamo per arrivare nella città dei valzer.
Dunque, a Vienna.
Chissà se sai ballare, Alfiero. Chissà se, mentre scrivi, ti torna alla mente una serata danzante, il tuo braccio che guida la ragazza, il tessuto leggero del suo abito sotto le tue dita.
Il treno va e le ultime rassicurazioni si arrampicano sulla cartolina, a rovescio.
Il mio spirito è alto.
Lo sia anche il vostro.
Non state in pensiero.
Parole che sembrano volere lasciare la carta, e correre in Italia.
20 novembre 1942.
Stai per giungere a Leopoli. Un’altra cartolina.
C’è neve. Il treno non percorre più di duecento chilometri al giorno.
Nell’invitare i tuoi a non preoccuparsi, li avverti che l’indirizzo-mittente non è ancora quello preciso e che, per il momento, è meglio non scriverti.
Però già indichi Bers. – Fronte Est – P.M. 40... con ogni probabilità sei destinato alla Divisione Celere.
Poi... Nulla.
I tuoi genitori aspettano, come tanti altri.
Tu, sottotenente Alfiero Innocenti, risulti disperso dal 19 dicembre 1942.
I giorni si trascinano, si accumulano sul cuore, lo schiacciano.
Come si può alzare lo sguardo, vedere l’azzurro, sentire la primavera, con un peso simile. Come si può vivere?
Eppure il respiro continua, l’aria entra nei polmoni e ne esce.
Perché forse una notizia arriverà. Domani. Sì, domani.
Forse sei prigioniero.
E allora basterà attendere la fine della guerra.
Perché, quando le guerre finiscono, poi i soldati tornano a casa.
E i figli si sciolgono nell’abbraccio di chi li ha aspettati tanto.
Il tuo reparto, in Russia, era l’11ª Compagnia del XXV Battaglione (3° Reggimento Bersaglieri).
Giorni terribili, per il 3°, dal 17 dicembre in poi.
Ecco quanto riferiscono le fonti ufficiali.[1]
“Dopo la rottura operata dai Sovietici contro la 3ª Armata romena (19-23 novembre), all’inizio della Battaglia del Volga, la Celere – dislocata in seconda schiera nella valle del Bogučar – aveva dovuto mutare impiego e assumere il tratto di fronte di circa cinquanta chilometri già occupato dalla 62ª Divisione tedesca, per sostituirla in quanto chiamata a operare altrove.
La Celere si era schierata a cavallo del basso corso della Tihaja, dove l’andamento del Don descrive una curva convessa verso sud, tra la Torino (a sinistra) e la Sforzesca (a destra).”[2]
La Divisione ebbe in rinforzo la Legione Croata (cui venne assegnato un piccolo tratto di fronte), che andò a dislocarsi all’estrema sinistra, a contatto con la Torino.
Da sinistra a destra erano poi schierati il 3° e il 6° Reggimento Bersaglieri, con tutto l’organico disponibile in prima linea, fatta eccezione per il XIX Battaglione (6° Reggimento).
Data l’ampiezza del fronte che avrebbe dovuto difendere, alla Celere vennero assegnati anche il XXVI Battaglione Mortai della Torino (meno una Compagnia), una Compagnia del CIV Battaglione Mitraglieri e il LXXIII Gruppo misto d’Armata (con calibri da 149/40 e 210/22).
I reparti con maggiore mobilità (XLVII Battaglione Motociclisti, LXVII Battaglione Corazzato e XIII Gruppo Semoventi) vennero trasferiti, con l’inizio dell’offensiva sovietica che portò le nostre Divisione di Fanteria ad arretrare, nei settori del XXXV e II Corpo d’Armata, per supportarne le Grandi Unità, coinvolte fin da subito nella battaglia.
“Alle ore 7 [del 17 dicembre] la Divisione [Celere] era attaccata violentemente sulla linea di contatto tra il VI e il XIII Battaglione (6° Bersaglieri) e, dopo un’ora, l’attacco si estendeva a tutta la fronte del VI Battaglione, poco a est della confluenza della Tihaja nel Don [...].
A nord della Tihaja l’attacco si estendeva e si approfondiva [...].
[...] Alla fine della giornata, il settore del 3° Bersaglieri non aveva subito attacchi in forze [...]. Però il nemico [...] tentava di aggirare da sud le posizioni tenute dal Reggimento, già isolate sulla destra.
Nel settore del 6° Bersaglieri il nemico aveva operato una falla ampia circa dodici chilometri, penetrando per circa dieci, contrastato dai resti dei Battaglioni Bersaglieri VI e XIX, dalla 105ª Compagnia Artieri e dalla 45ª Compagnia Ferrovieri tedesca. Il XIII Battaglione manteneva le posizioni sul Don, isolato sulla sinistra dalla penetrazione nemica su Birjukov.”[3]
Di grande interesse il racconto del cappellano militare Don Agostino Bonadeo, che proprio la mattina del 17 dicembre è in procinto di raggiungere il 3° Reggimento Bersaglieri.
Un tenente lo avverte:
“Ma non sa che è semi-circondato? I russi hanno sopraffatto un Battaglione del 6° e tengono fortemente impegnato il fronte sul quel settore...”
“Non importa, io devo raggiungere il reparto; se c'è pericolo ci sarà più bisogno del Cappellano.”
“Venga, allora, queste sono le macchine.” [4]
All’arrivo a Meškov, sede del Comando di Divisione della Celere, il cappellano trova una situazione abbastanza caotica, con autoambulanze che scaricano feriti e subito ripartono.
Don Bonadeo passa dall’ospedale, dove gli uomini sono ammassati anche nei corridoi, e si sofferma a parlare con un tenente, cui una scheggia di mortaio ha asportato una mano. Il ferito gli sussurra:
“È un inferno, padre... sono troppi questa volta, i Russi... forse non si potrà resistere. Datemi la benedizione.” [5]
Nel tardo pomeriggio del 17 dicembre, finalmente il cappellano giunge al Comando del 3° Reggimento Bersaglieri, a Konovalov.
Vi è grande agitazione, poiché i Sovietici stanno attaccando su tutto il settore. Causa lo sbandarsi di un reparto tedesco, vi è rischio di accerchiamento per lo stesso Comando reggimentale.
Il colonnello in persona [Ercole Felici, comandante il 3° Reggimento] è al telefono,[6] gli ufficiali del Comando sono lì in piedi in attesa di ordini. Gli ordini si susseguono concitati: dare il cambio ai reparti impegnati da lunghe ore in una impari battaglia; stabilire un servizio di pattuglie per arginare le infiltrazioni russe e presidiare il Comando; ciascuno è inchiodato al suo posto, non c'è neppure il tempo di mangiare: un panino, un bicchiere di vino... è il vero pasto di guerra.[7]
Alle 23.00 del 17 dicembre una pattuglia esce per contrastare eventuali infiltrazioni avversarie e Don Bonadeo – ricevuta autorizzazione dal capitano che comanda la pattuglia stessa – accompagna il piccolo reparto.
La sortita non è esente da rischi, in quanto la piccola unità si scontra con una pattuglia sovietica.
Nella notte tra il 17 e il 18 dicembre le cose peggiorano... il telefono – presso il Comando del 3° – non fa che squillare. A un certo punto il colonnello Felici riceve una telefonata dal maggiore Squadroni, comandante il XXV Battaglione:
“La situazione si fa sempre più insostenibile; bisognerebbe dare ad ogni costo il cambio ai reparti, bisognerebbe provvedere ad un rinforzo all’11ª Compagnia; i Russi stanno ammassando un gran numero di forze. Si stanno preparando momenti duri...” [8]
L’11ª è la tua Compagnia, Alfiero.
All’alba del 18 dicembre il fronte sembra tranquillizzarsi, e Don Bonadeo ne approfitta per andare verso la prima linea a recuperare – con un autocarro – morti e feriti. Questi ultimi, a causa della temperatura e della perdita di sangue, sono quasi privi di sensi.
Il mezzo, con il suo carico, fa ritorno a Konovalov, al Comando del 3° Reggimento Bersaglieri.
La storia ufficiale, con poche parole efficaci, descrive la situazione...
“Alle ore tre [del 18 dicembre] aveva luogo un violento attacco al limite di settore divisionale con la Torino, mentre si verificava un forte bombardamento aereo su Meškov. Altri attacchi erano sviluppati e respinti contro la destra del 3° Bersaglieri, e in valle Tihaja.
Il nemico faceva affluire nuove forze di fanteria, mortai e artiglieria, e alle ore sette riprendeva l’attacco su Birjukov e contro l’ala destra della Divisione, durato per l’intera giornata.
Si delineava lo sforzo per aggirare la destra del 3° Bersaglieri, approfondire la penetrazione nella valle Tihaja e raggiungere Meškov.”[9]
Don Bonadeo racconta che, nella tarda mattinata del 18 dicembre, a Konovalov perviene notizia che all’11ª Compagnia – dislocata a est della quota 163,3, tra Mrykin e Tyhoskij – vi sono morti e feriti. Il cappellano chiede al colonnello Longo[10] di andare in linea, “[...] dove si muore.” [11]
A mezzogiorno un autocarro è pronto a portare munizioni al XXV Battaglione e Don Bonadeo – provvisto dell’altarino da campo, di una pagnotta e di un salamino, e indossato un lungo cappotto tedesco con pelliccia – parte con tale mezzo.
Riceve ordine di tornare con feriti e congelati non appena consegnate le munizioni. L’itinerario è pericoloso, in quanto bisogna attraversare un punto esposto e battuto dal fuoco avversario.
Ma, per fortuna, la situazione in quel momento è abbastanza tranquilla (così riferiscono i due bersaglieri mandati in avanscoperta) e, verso le 14.00 del 18 dicembre, il cappellano giunge al Comando del XXV Battaglione.
Nell’infermeria cinque feriti e sette congelati attendono di essere trasportati a Konovalov. Uno dei feriti è grave. L’occhiata che l’ufficiale medico rivolge al cappellano è eloquente: una scheggia ha asportato l’avambraccio sinistro al bersagliere. Il suo viso è molto pallido... racconta che è sposato e da due mesi gli è nato un figlio.
Don Bonadeo non rientra al Comando del 3° Reggimento, a Konovalov. Il camion con i feriti riparte senza di lui, che preferisce trattenersi e fare visita ai bersaglieri, nei loro bunker.
La sera, nel Comando del XXV Battaglione, sfodera la pagnotta e il salamino... mentre il telefono comunica notizie sempre più allarmanti.
Durante la notte, l’attacco sovietico insiste in modo particolare contro la tua 11ª Compagnia, Alfiero.
La pressione avversaria si fa insostenibile e soltanto la decisione ed il valore del tenente Brandiele [12] riesc[ono] ad evitare una catastrofe. Pare che la quota tenuta dal tenente Santoro sia stata persa, con la perdita di alcuni bersaglieri. Quasi contemporaneamente la notizia di altre quote perdute. Anche all'11ª ci sono due feriti gravi. Bisogna ricuperare i morti, bisogna salvare i feriti.
Alle ore ventuno circa, il sergente dell'11ª Compagnia annuncia di aver visto un buon numero di Russi passare il Don ed infiltrarsi nella balka. Bisogna preparare la difesa.[...] [13]
“Signor maggiore, la pattuglia dell'11ª si è scontrata con la pattuglia russa; abbiamo avuto due feriti leggeri, ma la pattuglia nemica è distrutta. Abbiamo catturato tre prigionieri.”
Il maggiore è al telefono: “Pronto, Brandiele?”
“Comandi, signor maggiore.”
“Bravo, domattina all'alba [19 dicembre] avrai munizioni e cognac per i bersaglieri. Verrà anche il Cappellano... vuol dire la Messa alla tua valorosa Compagnia.” [14]
Alle sei del mattino la Divisione Celere non ha ricevuto i rinforzi promessi e tanto attesi. Il programmato contrattacco, da effettuarsi con le forze residue, non ha successo: i Sovietici prevengono l’azione con attacchi violenti nel settore del 6° Reggimento e nella zona a sud-ovest di Mrykin (3° Bersaglieri); è chiara l’intenzione di allargare il varco tra i due Reggimenti Bersaglieri, arrivando dietro il 3° e puntando su Meškov, al Comando divisionale.
Alle ore dieci di mattina il 3° è ancora schierato sul Don, nonostante le pressioni avversarie e la minaccia di accerchiamento.
Alle ore 14.00 il Comando del XXIX Corpo d’Armata germanico (da cui dipendono la Torino, la Celere e la Sforzesca) ordina che tutte le Unità ripieghino sul fiume Tihaja, organizzando una nuova linea di difesa.
Il 3° Reggimento, però, ormai è isolato dal resto della Divisione Celere e l’ordine di ripiegare gli verrà trasmesso più tardi, tramite il Comando della Torino, schierata a sinistra del Reggimento.
Nel pomeriggio, a Meškov, il Comando della Celere e parecchi Servizi divisionali sono pressoché distrutti da due attacchi di reparti corazzati sovietici. Alla mezzanotte del 19 dicembre non si hanno ancora notizie sulla sorte del 3° Bersaglieri e della Legione Croata.[15]
Riprendiamo, tuttavia, il racconto di Don Bonadeo.
Raggiunto il Comando dell’11ª Compagnia nelle prime ore del 19 dicembre, viene accolto con calore dal tenente Brandiele, e riesce nel suo intento di celebrare la Messa, alle otto di mattina.
Durante la celebrazione, però, un sibilo, uno schianto, una ventata di polvere e sassi: [16] un colpo di mortaio sfascia l’altarino da campo, senza provocare perdite.
Il cappellano visita i capisaldi, molti bersaglieri piangono.
Bisogna poi recuperare due bersaglieri che non sono rientrati. Si pensa siano morti. Escono, insieme, il tenente Brandiele e Don Bonadeo, ma sul luogo dello scontro – evidenziato da brandelli di divise, munizioni abbandonate e chiazze di sangue – i corpi non ci sono. Forse i due bersaglieri – feriti e non morti – sono stati catturati.
Nel corso della giornata non è più possibile arginare la marea avanzante; il numero dei Russi aumenta spaventosamente, sono decisi a passare il Don a tutti i costi. Il fuoco delle artiglierie ha assunto un volume impressionante, il nemico tenta il forzamento del fiume. L'ordine è di resistere ad ogni costo ed i bersaglieri resistono; tengono duro quasi fossero attaccati a queste posizioni da catene invisibili; con le mascelle serrate e gli occhi fissi sul nemico respingono tutti gli attacchi [...]. [17]
Le munizioni scarseggiano e si prevede un contrattacco all’arma bianca, per cogliere di sorpresa i Sovietici che hanno attraversato il Don.
Il tenente Brandiele guida i suoi bersaglieri e l’azione improvvisa ha un successo insperato. L’avversario arretra, abbandona alcune armi, si fanno prigionieri.
Ma la tregua dura poco.
Ricomincia la preparazione di fuoco delle artiglierie nemiche, segno che un nuovo attacco sta per verificarsi.
Quando i Sovietici investono una volta di più i bersaglieri dell’11ª Compagnia, il corpo a corpo che ne segue è spietato.
Fra i nostri vi sono morti e feriti... Don Bonadeo ormai è sfinito e fatica a raggiungere tutti, nel tentativo di dare un ultimo conforto.
Una voce flebile mi chiama insistentemente. Tra i ciuffi d'erba affioranti sulla neve un bersagliere riverso sul fianco mi fa cenno di accorrere a lui. È morente, con lo sguardo rivolto verso il fiume, s’aggrappa disperatamente al mio braccio.
M’inginocchio presso di Lui e mentalmente recito una preghiera.
“Signor tenente... è stata dura, ma l'abbiamo spuntata... Quelli non debbono mai passare il fiume...”
Con una mano si comprime la parte dove è stato colpito, un rantolo di dolore non gli permette di parlare. Un nodo mi serra alla gola [...]. [18]
Il tenente Brandiele è consapevole che non sarà possibile resistere ancora a lungo. Ma non vi è tempo per troppi discorsi, perché i Sovietici attaccano.
Di nuovo, per la terza volta in poche ore.
Poi arriva una telefonata dal Comando del XXV Battaglione, che trasmette l’ordine di ripiegare, alle 17.40.[19]
Destinazione Kalmikov, dove convergerà l’intero 3° Reggimento.
All’ora stabilita l’11ª Compagnia si raduna, pronta per sganciarsi. Brandiele è arrabbiato: a che scopo tanti morti, per poi abbandonare agli avversari le posizioni tenute con simile sacrificio?
Ma si va, con i feriti sulle slitte. Le loro divise sono sporche di sangue e gli occhi brillano di febbre. Una stanchezza infinita traspare dal volto di tutti.
Gli uomini dell’11ª Compagnia – nonché gli altri bersaglieri del 3° – non sanno che la situazione è peggiorata, in modo velocissimo, né che gli avversari li hanno sopravanzati e che di conseguenza sono stati emessi altri ordini.
Non sanno che il loro destino sta per compiersi.
Il 20 dicembre trovano i Sovietici ad attenderli, a Meškov.
Provano a passare. Non ce la fanno e ripiegano di nuovo a Kalmikov, dove trascorrono la notte.
Nelle prime ore del 21 dicembre i resti del 3° Reggimento vengono annientati.[20]
E tu, Alfiero?
Disperso dal 19 dicembre ’42. Una data che, alla luce dei fatti, dice e non dice.
Nel novembre 1946 arriva una lettera.
È del tenente Franco Santoro, lo stesso menzionato da Don Agostino Bonadeo nel descrivere quanto accaduto la notte tra il 18 e il 19 dicembre.
Santoro racconta alla tua mamma di averti conosciuto a Pola, all’epoca del corso ufficiali, e di averti poi ritrovato in Russia, al comando di un plotone della sua stessa Compagnia, l’11ª.
Quel tuo plotone fungeva da collegamento tra il 3° e il 6° Reggimento e il 18 dicembre 1942 venne attaccato con insistenza terribile dai Sovietici.
Poiché i vari reparti erano collegati a mezzo telefono, il tenente Santoro provò a chiamarti. Nulla.
Sentì, allora, il Comando di Compagnia e parlò con il tenente Brandiele:
“Pallino sta bene. È in Paradiso”, gli riferì l’ufficiale.
Quel tuo soprannome, Alfiero, così inaspettato, mi ha commosso oltre ogni dire.
In mezzo alla tempesta della guerra, ti avevano affibbiato un nomignolo che così poco aveva a che fare con la guerra stessa.
Segno, forse, che alcuni uomini riescono a rimanere uomini in tutte le circostanze. Individui, prima che soldati.
Un segno chiaro, per noi tutti... per ammonirci a ricordare te.
Alfiero. Non il sottotenente Innocenti – con il tal numero di matricola – ma Pallino...
Il tuo ultimo atto, secondo la lettera del tenente Santoro (che riferisce il racconto del tenente Brandiele), fu quello di strappare il piumetto da bersagliere dall’elmetto, e di stringerlo al cuore.
Ma a me piace pensare che – mentre gli occhi ti si velavano – tu abbia pensato al babbo e alla mamma, così lontani (e vicinissimi, in quell'attimo al di là di spazio e tempo)... e, chissà, a una serata danzante, al vestito leggero di una ragazza che, forse, aveva ballato con te.
La guerra è avida. Ruba senza pensarci due volte: ha portato via te, Alfiero, e tanti altri, fra cui il tenente Brandiele, morto in prigionia, a Suzdal’, nella primavera del ’43.
Qualcosa ha sottratto anche al tenente Franco Santoro, che nella lettera dice di odiare i Russi, e che continuerà a odiarli finché avrà una goccia di sangue.
Spero che tanta amarezza, Alfiero, si sia poi attenuata con il tempo.
La guerra. Quasi sempre vince lei. Spazza ogni cosa...
A noi rimangono i ricordi, e vecchie foto che mostrano sorrisi affacciati alla vita, oppure occhi pensosi, nei quali sembra quasi – a volte – di cogliere un accenno di presagio, o comunque una saggezza strana, di chi – a poco più di vent'anni – ha visto tutto o quasi.
Ciao, Pallino.[21]
Grazie, di cuore, al signor Tommaso Braccini – cugino di Alfiero – per avere fornito la foto e la corrispondenza che potete vedere in questo articolo.
[1] Quanto segue è tratto da Le operazioni delle Unità italiane al Fronte Russo (1941-1943), Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, edizione del 1977.
[2] Opera citata, pag. 371.
[3] Opera citata, pag. 372.
[4] Da Sangue sul Don, Don Agostino Bonadeo, Editrice Academia, Milano, 1948.
[5] Opera citata.
[6] Il giorno successivo – 18 dicembre – il colonnello Luigi Longo sostituirà il colonnello Felici che, a causa di una brutta caduta, dovrà essere trasportato a Vorošilovgrad, cedendo il comando del 3° Reggimento.
[7] Opera citata.
[8] Opera citata.
[9] Da Le operazioni delle Unità italiane al Fronte Russo (1941-1943), USSME, Roma, 1977, pagina 381.
[10] Si veda la nota 6.
[11] Da Sangue sul Don, Don Agostino Bonadeo, Editrice Academia, Milano, 1948.
[12] Il tenente Aldo Brandiele, classe 1915, è il comandante dell’11ª Compagnia.
[13] Opera citata.
[14] Opera citata.
[15] Si veda Le operazioni delle Unità italiane al Fronte Russo (1941-1943), USSME, Roma, 1977, pag. 387.
[16] Da Sangue sul Don, Don Agostino Bonadeo, Edizione Academia, Milano, 1948.
[17] Opera citata.
[18] Opera citata.
[19] Il comandante del 3° Reggimento Bersaglieri – colonnello Luigi Longo – nella sua relazione sui fatti riferisce di avere ricevuto – alle 15.00 del 19 dicembre – ordine di ripiegare, dal Comando della Divisione Torino... alle cui dipendenze è stato posto, da qualche ora, il 3° Bersaglieri. Il movimento sarebbe dovuto iniziare alle 19.00, lasciando tre Compagnie (una per ogni Battaglione del 3°) in funzione di mascheramento, fino alle sei di mattino del giorno 20.
[20] Il colonnello Longo, nella relazione già citata, riferisce la propria cattura. Sopravvissuto alla prigionia, rientrerà in Italia dopo l’estate 1946 (la relazione porta la data del 29.11.46).
[21] Il tenente Aldo Brandiele, comandante l’11ª Compagnia, avrebbe voluto proporre il sottotenente Alfiero Innocenti per la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Della cosa si occupò il tenente Franco Santoro una volta rientrato in Italia (così si legge nella sua lettera indirizzata alla mamma di Alfiero). Tuttavia non emergono decorazioni, a nome di Alfiero. La domanda, dobbiamo supporre, non venne accolta.