Se ne è già parlato nel forum, ma ci sembra doveroso dare maggiore visibilità alla scomparsa di Luigi Venturini, avvenuta il 29 gennaio scorso.
Venturini, classe 1921, in passato ha ricoperto la carica di Presidente della sezione U.N.I.R.R. Friulana; partecipò alla Campagna di Russia con il III Battaglione Misto-Genio della Divisione Julia ed era incaricato della manutenzione degli apparecchi rice-trasmittenti della Divisione.
Guido Vettorazzo, reduce del Battaglione Tolmezzo, ha raccontato che Luigi Venturini – durante il ripiegamento – tentò di mettersi in contatto radio con il Comando di Corpo d'Armata alpino... o con qualsiasi nostro Comando potesse essere in ascolto. Parlava in dialetto friulano, per non farsi capire in caso di intercettazione. Dall'altra parte, il silenzio.
In mancanza di collegamenti-radio Cuneense, Julia e Vicenza si diressero a Valujki, come da ordini ricevuti in precedenza. E fu proprio a Valujki, il 27 gennaio 1943, che Venturini fu catturato dai Sovietici.
Rientrò in Italia nel dicembre 1945, con il fisico fortemente debilitato dagli anni in prigionia.
Convinto che Qualcuno avesse provveduto a salvarlo dall'inferno dei lager, nel 1946 iniziò a scrivere un diario in cui raccontava la sua esperienza. Il diario, poi rivisto in anni recenti, fu pubblicato nel 2003 con il titolo La fame dei vinti, edito da Paolo Gaspari Editore.
Nel brano che segue Luigi Venturini descrive la perquisizione dopo la cattura e i sentimenti di angoscia che lo pervadono in quei primi momenti...
È la prima volta che vedo a così breve distanza i soldati russi. Questi sono tutti d'origine mongola e la maggior parte ha il viso che porta i segni lasciati dal vaiolo.
Quasi tutti ubriachi di vodka, ci fanno serrare con violenti spintoni urlando parole incomprensibili. Ora siamo fermi in colonna per due. Dietro a noi stanno ancora arrivando prigionieri. La fila si allunga sempre più fino a perdersi in lontananza. Ormai saremo più di un migliaio.
Alcune centinaia di metri davanti a noi, ove c'è un folto gruppo di soldati russi, c'è molta animazione. Ci sono molti morti sulla neve e ogni tanto si sente uno sparo accompagnato da urla e risate.
La fila di prigionieri avanza lentamente. Giovanni [Dal Molin] mi è vicino. Stiamo tutti guardando attentamente per capire che cosa succede in quel luogo. Alcuni compagni italiani che si trovano più avanti passano parola, informandoci che in quel posto si sta effettuando la perquisizione dei prigionieri.
Il sole ormai è quasi calato. Avanziamo ancora verso il punto di perquisizione e da qui ora riusciamo a vedere meglio cosa succede e a capire il motivo degli spari.
I prigionieri sono perquisiti due alla volta da soldati mongoli: tasche, zaini, gavette e sacchetti vari vengono vuotati sulla neve. I perquisitori intascano le cose interessanti e, mentre alcuni prigionieri vengono fatti passare alla svelta, contro altri si alzano delle grida che ci concludono con un colpo di pistola.
Quando un malcapitato cade, i due retrostanti sono costretti a raccoglierne il corpo, per poi depositarlo sul mucchio che sia sta incrementando vicino al posto di perquisizione.
Sono annichilito dal terrore; chissà perché l'hanno ucciso.
Si sente ancora uno sparo, un altro prigioniero cade.
"Giovanni, perché uccidono?"
"Non lo so, può darsi che ce l'abbiano con determinati prigionieri, perché sono molti coloro che passano."
Siamo incolonnati da due ore e ormai siamo vicini. Ora si vede bene cosa succede e la paura mi sta bloccando le mascelle.
Siamo frammisti a soldati di varie nazionalità. I perquisitori sbottonano con violenza i cappotti e le giacche frugando dappertutto. Sequestrano sistematicamente orologi, oggetti d'oro, oggetti personali, guardando documenti, mostrine e gradi sulla divisa: se è Italiano o Ungherese, ha salva la vita, se è graduato o ufficiale tedesco, viene infilzato con la lunga baionetta triangolare o finito con un colpo di pistola!
Giovanni e io siamo sottufficiali. Il terrore aumenta talmente in me che mi ritrovo a pensare ai miei genitori lontani.
Siamo alla mercé dei vincitori: recito una preghiera per la vita che forse sto per perdere. Ancora quattro prigionieri e poi tocca a noi due. Ora vedo che la maggioranza dei morti è di nazionalità tedesca, mentre gli Italiani sembra li lascino passare: basta consegnare velocemente gli orologi e gli oggetti di valore.
Ci siamo, il mio perquisitore esclama: "Italiano?"
"Sì..."
"Vediamo.", ribatte aprendomi brutalmente il cappotto per controllare le mostrine della giacca. "Karasciò (va bene). Vediamo lo zainetto? Karasciò."
Mi strappa allora l'orologio da polso e, dopo avermi sottratto il taccuino di pelle, mi affibbia un violento spintone, dicendomi: "Vai laggiù."
Giovanni è pure passato. Io ho salvato l'orologio da quadro che avevo nel taschino, il grasso anticongelante, mezza tasca di tabacco, gli scarponi nello zainetto e alcune fotografie ricordo.
È passata! Ora i nervi si allentano. C'incamminiamo verso il folto ammassamento che si sta formando lungo un reticolato, che sembra recingere una vasta area con molte baracche di legno mezzo sfondate.
Siamo certamente più di un migliaio. Un nugolo di soldati russi armati di mitra ci ordina di disporci in fila per quattro, formando una lunga colonna vicino al reticolato. Con il calare della notte il freddo si fa più intenso. Sono molte ore che siamo sulla neve e i nostri piedi non si sentono più.
A un tratto arrivano di corsa delle guardie che ordinano alla colonna di muoversi. Non facciamo che un centinaio di metri, quando di nuovo siamo fermi. Un ufficiale russo, attorniato da alcuni prigionieri interpreti, richiama la nostra attenzione invitandoci a guardare sulla neve vicino al reticolato.
Lo spettacolo che si presenta è orribile: sulla neve si allunga una fila di corpi nudi, ingialliti dal congelamento, legati a dei paletti che li crocifiggono con le braccia e le gambe allargate.
"Questi" grida l'ufficiale "sono nazisti che hanno osato fuggire da questo campo (indicando la zona recintata). Chi di voi tenterà di fuggire, farà la stessa fine!"
Rimaniamo ammutoliti di fronte a questo spettacolo. Ora più che mai ci sentiamo vinti. Uno strano malessere mi pervade: le emozioni, la stanchezza, la fame e il freddo scavano il fisico e lo spirito.
La fotografia di Luigi Venturini è presa da questa pagina-web del Messaggero Veneto.