Da Ritorno, Nelson Cenci, Ugo Mursia Editore, Milano, 1991

 

Ritorno copertinaQualche volta, quasi sempre accompagnato dall'attendente e in pieno giorno, andava per i camminamenti, soprattutto in quelli messi più in alto, da dove si dominavano meglio le linee russe; allora si spingeva fino dal tenente Sarpi, siciliano di Catania, più vecchio di anni e di naia, che si diceva fosse anche lui andato in Russia volontario.

Lo conosceva da molto tempo e la prima volta che lo aveva visto ad Avelengo, al campo estivo, con la penna dritta sul cappello ormai quasi del tutto stinto dall'acqua, dal sole e dal sudore, si era subito chiesto come mai avessero mandato un meridionale – e per giunta siciliano – su per i monti, a faticare negli alpini. [...]

Adesso, dopo quest'ultimo trasferimento, il caposaldo di Sarpi era messo in cima all'altura, mentre gli altri stavano sul costone o giù nella valletta; tutti, però, scavati nella terra gelata e nella neve, a guardare verso il fiume.

Così ora capitava che si sentivano quasi sempre solamente per telefono, le poche volte che questo funzionava.

Accadeva di rado che lui andasse a trovarlo.

Qualche volta si vedevano, invece, anche con gli altri ufficiali, alla mensa del Comando di Compagnia sotto i resti della vecchia chiesa, ed era solo per le grandi occasioni, come era accaduto a Natale, quando Beppo, il loro capitano, montanaro di Valstagna, un paese dell'Altopiano di Asiago, venuto fuori con ferite e medaglie dal fronte occidentale e dalla guerra in Grecia, aveva fatto trovare un po' di quel vino che dicevano si bevesse solo ai Comandi, giù a Podgornoje, a trenta chilometri dal fronte; e poi sigarette, e non Milit, ma di quelle fini e profumate!

Anche quella volta, come succedeva quasi sempre quando si incontravano, erano rimasti a parlare sino a che aveva incominciato a far buio: a ricordare i tempi passati prima di andare sotto le armi, quando ancora erano al paese. Avevano discorso anche di ragazze: delle loro, di quella di Buogo, che aveva appena scritto, e di quando andavano in libera uscita.

Ma soprattutto si erano raccontati di quanto avrebbero fatto al loro ritorno: sarebbero andati al mare, uno in quello di Catania, e l'altro a Rimini; nudi, a farsi scaldare sulla sabbia... e poi a ballare, rivedere gli amici e, come allora, andare per mare in lunghe notti pescose.

Si erano poi incamminati per raggiungere ognuno il proprio caposaldo.

"Quando sarà finita la guerra e torneremo a casa" disse Sarpi "dovrai venire con me in barca. Ti piace andare in barca? Dico barca a vela, naturalmente."

"Sì, molto.", rispose lui "Non sono però gran che pratico di come condurla. Credo che le prime volte avresti una paura del diavolo."

"Ti insegnerò io e in poco tempo diventerai un buon marinaio. In fondo non è difficile andare in barca a vela. Bisogna solo aver rispetto del mare e conoscerlo. Così come è per la montagna. Non si può lasciare nulla all'improvvisazione. Certo, ci vuole una buona barca di almeno dieci metri. Con quella ti puoi permettere di andare con qualsiasi mare e con qualsiasi vento."

"So che mi piacerebbe soprattutto per il silenzio e la solitudine che ci si trova, ma le prime volte vorrei proprio essere con te. Penso che dovrebbe essere molto bello riuscire a navigare insieme."

"Per una barca di dieci metri l'ideale è essere in due. Mi ricordo che proprio qualche tempo prima di essere richiamato ci sono stato per dieci giorni filati, con un amico, e abbiamo fatto il giro di tutte le isole Eolie. Il vento era sempre teso, le vele cantavano e il mare quasi calmo. Erano notti di luna. Sul far del mattino la si vedeva oltre la metà del cielo, mentre dal lato opposto rimaneva l'ultima stella nel chiarore di quelle albe indimenticabili. [...]"

"Anch'io negli ultimi giorni di licenza prima di partire per il fronte sono stato su una barca... da pesca. Ci andavo, prima di venire sotto le armi, spesso. Si rimaneva fuori tutta la notte e a volte anche due o tre giorni di seguito. Quasi sempre la pesca era buona e noi verso l'alba si cucinava sulla griglia il pesce appena pescato."

"Ma tu cosa facevi quando non eri in barca?", chiese Sarpi.

"Mi piaceva andare alla spiaggia di buon mattino. Soprattutto in settembre, mi piaceva, quando il mare è quasi sempre calmo, piatto come una tavola e non c'è la più piccola onda fino a che non si alza la brezza di terra. Nuotare per chilometri e chilometri, tutto solo, come essere in una grande piscina. [...]"

Così parlando andavano per il camminamento, uno dietro l'altro, fermandosi ogni poco per meglio continuare il discorso.

"Vedi, però è inutile sognare.", disse Sarpi a un certo momento. "Adesso siamo qui in un punto della Russia che sino a ieri non sapevamo esistesse, che quasi nessuno conosce, piantati in mezzo alla neve, e purtroppo l'unica cosa che ci resta per evadere è quella di sognare, di sperare. Siamo qui per fare la guerra. Ma la guerra a chi? SIamo qui per fare in modo che i Russi non riprendano la loro terra, per uccidere qualcuno che non conosciamo e che forse la pensa come noi, che magari sogna anche lui il mare, la barca a vela, la casa, uno che ha le nostre stesse idee, col quale – conoscendolo in altro luogo – saremmo potuti diventare amici. Insomma, uno come noi. Non riesco a capire perché gli uomini si vogliano fare la guerra e perché tanta gente debba crepare."

"Hai proprio ragione," rispose lui "anch'io la penso così. Mi viene voglia, a volte, di andare dall'altra parte del fiume e dire: «Noi non abbiamo nulla contro di voi. Torniamo a casa. Lasciamo fare la guerra a quelli che vogliono farla, a quelli che vogliono uccidersi.»"

"E tu cosa credi che ti risponderebbero?", chiese Sarpi.

"Non so, forse penserebbero che non sono normale. [...] Non riesco a capire [...] come si possa rimanere indifferenti davanti a un cielo carico di stelle, a una persona che soffre, al pianto di un bimbo. Come non si possa desiderare di fare qualcosa per chi ti chiede di essere aiutato. Le nostre mani sono fatte soprattutto per soccorrere, non per offendere."

Intanto avevano percorso ancora un piccolo tratto di camminamento ed erano giunti al bivio vicino al fossato anticarro, da dove partiva il sentiero, tutto in salita, che portava al caposaldo di Sarpi.

Qui si erano lasciati. Lui era rimasto un po' ad ascoltare il rumore che facevano i passi che si allontanavano sulla neve ancora fresca [...].

 


 

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