Da L'alpino dalle sette vite sul fronte russo, Diotalevio Leonelli, Gaspari Editore, Udine, 2013

 

L alpino dalle sette vite sul fronte russo copertina

Il 20 agosto del 1942 partimmo in treno da Gorizia per la Russia. [...]

Le tradotte erano formate da carri merci, senza alcuna attrezzatura all’interno. Facemmo il viaggio non seduti come al giorno d’oggi, sulle sedie, ma sulla paglia destinata al bestiame.

La stessa paglia sulla quale dormivamo [...].

Le uniche interruzioni del viaggio in treno furono delle soste di mezza giornata per far mangiare e abbeverare i muli.

Eravamo vestiti con la divisa da alpini e dentro gli zaini avevamo un po’ di maglie e indumenti di ricambio, la gavetta per mangiare, borraccia e viveri di riserva.

Legati all’esterno dello zaino c’erano il telo tenda, il pastrano, l’elmetto e le coperte (che si riveleranno poi importantissime).

Lo zaino così organizzato era detto zaino affardellato.

Indossavamo gli stessi scarponi che usavamo in Italia nelle marce in montagna, non adeguati all’inverno russo. Come armi avevamo il moschetto con la baionetta, per gli scontri corpo a corpo.

L’unico contrattempo doloroso del viaggio in treno si presentò in una stazione della Polonia, dove trovammo un treno stipato di ebrei. Faceva un caldo tremendo, ma i loro vagoni erano tutti chiusi.

Qualcuno riuscì a rompere alcune assi dalla fiancata di un vagone. Prima calarono il cadavere di un bambino, poi qualche ebreo scese, rifugiandosi sotto il treno. Subito accorsero le guardie ucraine (disertori bianchi, aggregati all’esercito germanico) e uno per volta spara[ro]no loro in testa.

Furono i primi morti ammazzati che vidi.

Non sapevo che ne avrei visti altri, a migliaia e migliaia.

 

 


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