Da La Campagna di Russia, CSIR-ARMIR: 1941-1943, Aldo Valori, Grafica Nazionale Editrice, Roma, 1950-51

Testimonianza del Dottor Pallavicini, tenente medico del XX Battaglione, 3° Reggimento Bersaglieri

 

Stemma araldico del 3° Reggimento Bersaglieri19 dicembre 1942

Da quarantotto ore i Russi hanno attaccato e le prime notizie fanno subito capire che si tratta non di azioni di disturbo, ma di una offensiva vera e propria. Il 6° Bersaglieri ha dovuto cedere. Il Comando del 120° Artiglieria viene accerchiato. Da ventiquattr'ore anche la nostra 2ª Compagnia ha sostenuto un urto sanguinoso col nemico e stamane si è resa necessaria una conversione onde impedire l'aggiramento di tutto il sistema difensivo.

Chi bene incomincia!

Il colonnello Felici si è fratturato una costola uscendo dal suo improvvisato ufficio. Lo sostituisce il colonnello Longo, comandante del 30° di marcia.

Ai microfoni è un susseguirsi di chiamate, un incrociarsi di ordini e contrordini, in un accumularsi e interferirsi confusionario di voci disparate. Telefonisti di servizio e comandanti di reparto o di settore; medici e ufficiali di vettovagliamento; sergenti alle munizioni e responsabili di capisaldi si alternano e si incrociano in un dettare disposizioni e chiedere precisazioni.

Il Comando di Divisione da undici ore tace.

Dall'ordine pervenuto di primo mattino di tenere sgombrate le piste per l'imminente arrivo di truppe tedesche destinate a sbloccare la strada di Meškov, nessuna voce dalla Divisione.

Un trillo di telefono. Vedi? Te lo dicevo che sbagliavi, pensando...

No, non è la nostra Divisione. È la Torino che ci comunica l'ordine di operazioni: ripiegare sul Tihaja e là stabilire la nuova linea di resistenza a oltranza (ore 17.15).

Ci siamo.

Mi presento al Comandante di Battaglione. Il suo volto è apparentemente calmo, ma l'occhio e le mani tradiscono al medico la giusta preoccupazione.

C'è pure il capitano della Compagnia Comando. Ordini secchi, tragici nella loro laconicità: telefonare alle Compagnie, distruggere i documenti, distribuire le munizioni e i viveri a secco; inutilizzare le linee telefoniche lungo il tragitto; ore 10.30 [di sera]: inizio movimento sulla direttiva Nasarov-Kalmikov.

Con noi verrà anche quel centinaio di poveri diavoli che hanno ieri abbandonato autocarri e uffici, gravine e magazzini, per essere immessi in linea ad aumentarne, davvero non so in qual modo, l'efficienza. Infatti, soltanto qualche ora fa – insieme all'aiutante maggiore – col ricordo ormai lontano dell'istruzione pre-militare e della Scuola, ero impegnato a mostrar loro il funzionamento di quattro pesanti '14, scovate chissà dove, facendo poi sgranare qualche raffica di prova sul fondo del vallone, con il timor panico di una disgrazia sull'istante e la certezza di un fallimento all'atto dell'impiego.

Proprio come quelle povere compagnie di guitti che, raccolte in paese le comparse per la loro rivista, si affaccendano ad abbigliarle alla bellemeglio e a farle muovere almeno una volta sul proscenio prima dello spettacolo. Ma se qui va male non si può chiudere il velario. E soprattutto non ci sono porte di servizio!

Dopo una vivace discussione mi faccio assegnare una slitta per feriti gravi. Ne incarico l'aiutante sanità, mentre con l'altro ufficiale medico, fresco di nomina e capitato quaggiù proprio nel momento meno adatto per un collaudo suo e un aiuto mio, raccolgo tutto il materiale di medicazione che divido in due blocchi, vuoi per l'eventuale perdita, vuoi per il probabile impianto di due distinti posti di medicazione.

In movimento. Buio pesto; e al buio si brancola.

Cammina, cammina; proprio come nelle fiabe che ci addormentavano sulle ginocchia della mamma.

E cammina, cammina, proprio come nella melodia che tante volte ci aveva allietati nelle ore serene.

Dopo pochi chilometri la 5ª Compagnia si attesta su una moghila, alla confluenza di tre piste: spiegamento a ventaglio, armi in postazione. Le è toccato in sorte di proteggere il ripiegamento del grosso. L'ordine è di rimanere sul posto sino all'alba. I superstiti, nell'eventualità di un'azione, raggiungeranno il Battaglione come potranno. E soprattutto, se lo potranno.

Si attraversa un villaggio, Silenzio sepolcrale. Solo il crepitante friggìo della neve sotto ai passi che incominciano a farsi pesanti.

Un autocarro letteralmente appoggiato a un'isba sembra voler cercare asilo con la forza dei suoi HP. O non piuttosto puntellare quel misero impasto di fango, paglia e sterco? Ma almeno là si starebbe al riparo.

Guardo l'orologio: quasi le due. I miei pazienti della slitta dormono. O perlomeno se ne stanno buoni. Ma non mi sembrava così ingombrante e ingombrata, quella slitta.

Uno, due, quattro, sette, dodici. Chi sono? Non importa, se nessuno all'intorno protesta. Come fanno a starci proprio non lo capisco. Elevazione al cubo della buona volontà. No, uno dei tanti miracoli della disperazione. Un sorso d'acqua e caffè, e avanti.

Albeggia.

 

 

 


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