Da Prigioniero in Russia – Un guastatore alpino nei lager sovietici – 1943-1950
Lelio Zoccai, Ugo Mursia Editore, Milano, 2004
Finalmente il 6 luglio [1950] arriva il grande giorno. [...]
Nel campo di Segheti, in Romania, sostiamo [...] prima di partire su un carro bestiame per Vienna, dove ci fermiamo un giorno e mezzo, appena il tempo di alloggiare per l’ultima volta in un vagone ferroviario e per qualche ora in una specie di ospedale; anche in quella fase dobbiamo lavorare prima di essere consegnati dai russi agli italiani, dopo tante peripezie.
Nessuna cerimonia, niente discorsi di saluto, un’accoglienza gelida e formale.
Con noi c’è Mottola, [...] che ha gettato fango su tanti nostri ufficiali e si è accanito con menzogne in particolare su don Brevi, rendendosi responsabile di grandi sofferenze morali e fisiche.
Non possiamo accettare di dividere con lui neanche l’aria del vagone, ci ripugna essere costretti a viaggiare insieme e insieme tornare in Italia. Su di lui si scarica tutta la nostra rabbia, così a lungo repressa; ora finalmente possiamo far tornare i conti ed è nostra intenzione prenderlo con la forza e buttarlo giù dal treno in corsa. Si progetta di farlo durante il tragitto da Vienna verso l’Italia, una volta fuori dal controllo dei russi, ma intervengono due signori, subito qualificatisi per carabinieri in borghese, che ci dicono: “Se lo buttate fuori passerete dalle prigioni russe a quelle italiane.”
Non troviamo di meglio che abbandonarlo in un angolo, solo come un cane, e lo ignoriamo.
A Tarvisio Mottola troverà ad aspettarlo le forze dell’ordine. Più tardi, processato e riconosciuto colpevole di crimini odiosi, verrà condannato a dieci anni di reclusione. [...]
Varcato il confine, eccoci di nuovo in Italia, tanto sospirata e tanto amata nei lontani lager della Siberia, e tanto invocata, perché soltanto sul suo suolo ci sentiamo di ritornare uomini veri, e per di più uomini liberi.
In treno si avvicina un signore distinto e molto elegante, di chiara origine veneta, di ritorno da Vienna; siamo piuttosto malconci e ci osserva incuriosito.
“Di dove venite?”, ci chiede.
“Dalla Russia.”, è la nostra risposta corale.
Sul suo volto si dipinge un grande stupore.
Trovarsi davanti a reduci, che tornano dalla prigionia dopo tanti anni, lo commuove. Ci rivolge molte domande, poi estrae il portafoglio e ci allunga 5.000 lire, anzi am-lire, una banconota – mi sembra – di colore verde-celestino.
Sbalorditi, non crediamo ai nostri occhi... una vera fortuna.
Pensiamo di avere in mano una cifra enorme e di poter comperare molte cose. Non riusciamo ancora a crederci, ma ormai siamo ex-prigionieri.
A Tarvisio, sbarbati e ripuliti, vestiti di abiti borghesi scelti fra centinaia in un deposito, ci accoglie un’osteria, dove si sprecano le ordinazioni perché finalmente si può mangiare e bere a sazietà: affettati, formaggio, pane, prosciutto e altre prelibatezze – delle quali abbiamo perso il sapore – vengono portati in tavola.
La signora, che ci serve incuriosita e sorridente, vuole farci assaggiare altre cibarie, ma quando arriva l’ora del conto restiamo esterrefatti: la somma è molto superiore al nostro bigliettone, una cifra da far strabuzzare gli occhi.
Sorpresi e sgomenti non sappiamo che pesci pigliare. Io, che sono il cassiere, con grande imbarazzo esibisco la banconota rettangolare; e pensare che mi sarei aspettato il resto!
Ma la padrona del locale ha intuito tutto, quando ha capito che torniamo dalla Russia. “Ragazzi,” dice “non voglio nulla.”
E non vuole neppure le 5.000 lire, malgrado le nostre insistenze per pagare.
Ci augura un’infinità di bene e ci bacia uno per uno.
Più tardi, in caserma, conosco il vero valore di questi soldi dal maresciallo Zanchi, un mio conterraneo di Thiene.
L'am-lira (Allied Military Currency) era la valuta che circolava in Italia dopo lo sbarco americano in Sicilia del luglio 1943. Cento am-lire corrispondevano a un dollaro americano, quattrocento – invece – a una sterlina britannica. Contribuì alla grave inflazione cui il nostro Paese dovette fare fronte nelle fasi conclusive del secondo conflitto mondiale e nel dopoguerra. Se il Nord Italia – per quelli che furono gli eventi bellici – fu influenzato in misura minore da tali e specifici svantaggi economici, nel Meridione il costo della vita crebbe in modo abnorme, con una serie di conseguenze negative di cui ancora oggi, in un certo senso, permangono gli strascichi. Dal 1946 cessò di essere moneta di occupazione e venne utilizzata insieme alla lire normale, con la quale era intercambiabile. Rimase in vigore fino al giugno 1950 (alcuni siti riportano, come data di fine validità, il 3 giugno... altri il 30) per cui – se si considera che Lelio Zoccai partì dall'Unione Sovietica il 6 luglio di quell'anno – sembra strano che quella banconota da 5.000 am-lire fosse ancora valida. Può essere, tuttavia, che vi fosse stato un breve periodo di transizione, durante il quale le am-lire erano accettate. Tuttavia diverse pagine e/o siti web riferiscono che il taglio maggiore era di 1.000 am-lire (e quindi la banconota descritta da Lelio Zoccai sembrerebbe non essere mai esistita).