Da I più non ritornano, Eugenio Corti, Ugo Mursia Editore, Milano, 1990
Fuori, nella neve sporca illuminata dall'ondeggiante bagliore dei fuochi che quei disgraziati tenevano sempre accesi, giacevano alcuni cavalli stecchiti e incrostati di brina.
Uno, però, non era morto, era morente, e si agitava da giorni nel freddo crudele, in una interminabile agonia.
Lo avvicinai per esaminarlo; forse il povero animale mi sentì: ebbi l'impressione che, nel dimenarsi, cercasse di protendere verso di me la testa ghiacciata dagli occhi ciechi.
Non potevo lasciar continuare quello strazio.
Avaro dei miei colpi di pistola, mi posi dirimpetto alla sua fronte, e la investii con un violentissimo calcio del pesante scarpone. Speravo di ucciderlo, come con un colpo di mazza: invece l'animale si adoperava ora ad allontanare la testa da me.
Ancora e ancora lo colpii, sempre inutilmente.
Trassi infine con rapidità la pistola, e gli trapassai il cervello.