Da Vita quotidiana durante la Campagna di Russia (1942-1943) - Il diario fotografico inedito di un alpino sul Don,
Pasquale Grignaschi, Interlinea Edizioni, Novara, 2000
25 gennaio 1943
Camminiamo da circa un'ora, nel buio fattosi intenso, e dovremmo quindi essere in vicinanza dell'abitato meta per la notte. E presto ce ne accorgiamo, poiché la testa della colonna è falciata da nutrite raffiche di mitragliatrici appostate all'ingresso dell'abitato.
Non possiamo efficacemente controbattere se non con il fuoco della semplice fucileria, e dopo avere valutato – stesi sulla neve, al coperto del cavallo di Vandoni fatto coricare per riparo – la soluzione meno dannosa, per quanto certo la meno eroica, ci ritroviamo con il favore dell'oscurità (lo scrivente e i tenenti C. e D.) sul cammino del ritorno verso la stazione, seguiti da un gruppo dei nostri alpini.
Entrati in uno dei locali a pianterreno della stazioncina, pare di essere giunti in paradiso.
Il locale è caldo per una stufa accesa e per l'assembramento di diversi alpini ivi sistemati prima di noi, rischiarato debolmente con fumosi pestiferi lumi alimentati con grasso antigelo.
Entriamo, osteggiati, in una decina di persone, mentre altre trovano posto in locali contigui della stazione. Adocchio subito il posto preferito sull'ampio ripiano della stufa, ove ci si asciuga bene. Non ho nulla da mettere sotto i denti, ma al caldo spero proprio di potere riposare.
Ho però fatto i conti senza due bambini, acquattati sulla stufa e fino allora sfuggiti alla mia osservazione.
La madre si dà da fare per procurare acqua e legna. Il mio apparire presso di loro li fa scoppiare in lacrime e così, con singhiozzi e pianti, mi torturano tanto le orecchie da farmi disperare del sospirato riposo. Tento di zittirli più volte e sono sul punto di tamponare loro la bocca per farli tacere. Durante l'ennesimo tentativo di cattivarmi, non dico la loro simpatia, ma almeno la loro indifferenza, scorgo qualcosa di biancastro che tentano di occultare alla mia vista, ricoprendolo con stracci.
Allungo la mano e mi accorgo che si tratta di un agnellino, timoroso come i suoi padroncini, deliziosamente tiepido e tenero. Come l'attiro a me, si moltiplicano a dismisura le strida e i pianti dei due malenkij.
Mi fa indugiare qualche attimo la titubanza tra la pietà per l'agnellino e per i suoi padroncini in lacrime, e la mia fame urgente.
Poi la fame ha il sopravvento e, trasformato in lupo mannaro, sacrifico la vittima innocente sull'altare dell'esistenza.
Con olio di girasole in una padella fornita dalla donna, viene preparato un arrosto, mentre la cantilena lamentevole dei bambini continua, esasperatamente.
Quei bambini avranno visto in me l'orco che tutto divora, senza pietà per il loro agnellino. [...]
31 gennaio 1943
[...]
Intanto si diffonde la notizia che a circa trenta chilometri, a Šebekino, si effettua il raduno delle truppe [alpine] in ritirata. Non voglio crederci, poiché già troppe volte ci siamo illusi per l'annunciata prossima fine del duro calvario. [...]
Prima di sera, attraversato un ponticello in legno, sull'altra sponda del corso d'acqua, ci attendono autocarri italiani destinati al trasporto di ammalati, di feriti, di congelati ai più vicini ospedali.
Siamo nella zona di Bolske Troizkoje [Bol'šie Troickoe].
Incalziamo gli autieri in troppi e con troppe domande per ottenere ciascuno la risposta desiderata. Nell'autiere che mi sta davanti, dal normale aspetto di soldato tranquillo e sereno, abbastanza bene alimentato, con quella meraviglia diffusa sul volto alla vista di allucinati come noi dobbiamo apparirgli, intravedo la salvezza, il collegamento tra la morte e la vita.
Non può immaginare cosa lui rappresenti per me in questo momento, mentre io vorrei abbracciarlo per manifestargli tutta la mia riconoscenza e la mia grande gioia. E gli offro la mela.
L'ultima piccola mela sotto salamoia rimasta nella tasca del mio pastrano, impiastricciata di strani residui.
Mi pare di offrirgli un tesoro.
Quello non si scompone, per lui non sarà altro che una piccola mela sotto salamoia, senza alcun valore. Forse, addentandola, se poi lo farà, rimarrà disgustato per l'aspro sapore che brucia in gola.