Da Diario in un soldato in Russia – un friulano curioso del mondo – luglio 1941-dicembre 1942
Antonio Zanfagnini, a cura di Claudio Zanier, Aviani & Aviani Editori, Udine, 2011
8 novembre 1941 – Tiraspol
Nel pomeriggio ho incontrato un Tedesco che si fa capire in italiano. Il suo reparto di una Divisione corazzata è rimasto imbottigliato qui a Tiraspol come noi. Infatti, nemmeno i carri armati riescono a superare lo sbarramento del fango. Andando di questo passo, quando arriveremo a Mosca, Leningrado, agli Urali e in Siberia?
14 novembre 1941 – Tiraspol
Nonostante il freddo intenso stamattina ho calato la gavetta nel vicino pozzo per attingere l'acqua con cui lavarmi. La temperatura è così rigida che l'acqua mi si gela sul viso.
3 dicembre 1941 – Petropavlovka
Da quando siamo qui è finita la storia dei viveri di riserva. Ora funziona una vera cucina, che prepara cibi caldi per noi e per i poveri del paese.
Infatti c'è sempre una piccola folla di poverissimi davanti al nostro Comando durante l'ora del rancio. Fra questi tapini vedo alcuni ragazzetti dal volto butterato dal vaiolo, una vecchietta dal volto cisposo che mette innanzi un pentolino senza forse vedere, un vecchio sciancato e gobbo, dagli occhi vivaci, magro come un chiodo.
Quest'ultimo mi domanda oggi una cicca, io gli do due sigarette. Mi fa un inchino da buffone, poi se ne va guardando a destra e a sinistra, come se temesse di essere pedinato.
10 dicembre 1941 – Petropavlovka
Verso le 17 sono arrivati 210 feriti dal fronte, li abbiamo ristorati con del minestrone e caffè. Ho parlato con alcuni di questi camerati, i quali mi hanno raccontato molte cose dal fronte: di battaglie, che hanno sofferto la fame, oltre il freddo terribile. [...]
12 dicembre 1941 – Petropavlovka
I feriti rimangono ancora qui, perché il fango delle piste non permette alcun movimento di autoveicoli. In Russia esistono strade vere e proprie soltanto nelle città, mentre nessuna via di comunicazione unisce queste tra loro. I paesi sono totalmente isolati.
Cosa ha fatto questo comunismo, che non si conosce nemmeno in venticinque anni di dominio! Finora, con la gente con cui ho potuto parlare e di quel poco che ho capito, tutti odiano Stalin.
Durante la giornata abbiamo continuato ad assistere i feriti come potevamo. Verso sera la temperatura si abbassa di nuovo, fa freddo intenso. Stiamo consumando il rancio quando un soldato tedesco entra gridando: "Feuer (fuoco)!"
Usciamo e ci mettiamo le mani nei capelli! L'incendio è scoppiato nelle scuole dove sono ricoverati i feriti. Accorriamo tutti, si mettono in moto i camions per trasportare i feriti in altro locale qualunque. Scena indescrivibile di panico e terrore. Il fuoco, sprigionatosi da una stufa, divora la paglia, o meglio lo strame sul quale sono distesi i poveri sofferenti. Li avvolgiamo nelle coperte e uno a uno li portiamo fuori in braccio. Se il camion non è pronto dobbiamo deporli a terra e correre a prendere gli altri.
È una gara tragica contro la morte, nella quale siamo aiutati anche dai civili, vecchi e donne. Riusciamo a metterli in salvo tutti, ma non credo che tutti arrivino a domani.
Mio padre, Antonio, mi raccontava spesso della Russia. La sua Russia. Quella combattuta nelle retrovie a colpi di pane e gallette tra la gente della steppa. Lui era furiere, un soldato che si occupava di quelle pratiche che oggi si definirebbero logistica, approvvigionamenti, organizzazione, amministrazione. Non era un combattente nel senso letterale della parola e non era neppure un alpino, ma ha condiviso con i commilitoni della fanteria di prima linea tutte le sofferenze e i dolori di quella terribile avventura che è stata la Campagna di Russia. Sensazioni che egli ha trascritto con certosina pazienza annotando giorno per giorno tutte le vicende che scorrevano davanti ai suoi occhi [...]. (Dalla presentazione di Fabrizio Zanfagnini)