Da Non prendere freddo – Il racconto di un reduce del Corpo di Spedizione Italiano in Russia

Luciano Vigo, Gianni Iuculano Editore, Pavia, 2000

 

Non prendere freddo copertinaIl mortaio ha un effetto psicologico terrificante, superiore a quello di altre armi della fanteria; infatti, quando si sente il sibilo della pallottola di fucile, ad esempio, si sa che quella pallottola è già passata e non potrà più colpirci, e il buttarsi a terra e il coprirsi la testa con le mani sono soltanto gesti istintivi, inutili perché la pallottola che senti fischiare non è mai quella che ti uccide.

La bomba del mortaio, invece, viaggia lenta, sulla sua traiettoria curva, parabolica, tanto che hai tutto il tempo di udire l'ululato che fa solcando l'aria, e solo più tardi lo schianto fragoroso quando esplode a terra; qualche volta, se il mortaio è abbastanza vicino, riesci a udire persino lo scoppio secco, breve, che fa la carica di lancio; poi il lungo fischio in aria, e infine il botto finale. Certo, sono pochi secondi, ma è incredibile la quantità di cose alle quali riesci a pensare in quei pochi secondi [...].

 

Dapprima i colpi caddero corti davanti a noi, nella terra di nessuno; poi allungarono il tiro, ed ecco che una bomba esplose molto vicina, tanto che oltre al fragore sentimmo anche lo spostamento d'aria.

Nell'oscurità non riuscivamo a localizzare esattamente il punto nel quale era caduta, ma era a poche decine di metri dal mio rifugio, dove mi trovavo con la mia staffetta, il bravo piccolo bergamasco Rampini Severo, e con il mio attendente, Soldati: grosso modo nel punto in cui si trovava la postazione numero quattro, occupata dal sergente Cecchini e dai suoi uomini.

Ci parve di distinguere – nel generale frastuono – delle grida, e ci precipitammo, io e Rampini, per vedere cosa era successo nella postazione... ma, dopo pochi passi, inciampammo in un corpo disteso a terra.

Era il sergente Cecchini e – con lui, sparpagliati qua e là nel prato retrostante le postazioni, il [cosiddetto] formaggio groviera – vi erano gli uomini della sua squadra, tutti sdraiati con la faccia a terra, tutti illesi salvo uno, che perdeva sangue da ferite di schegge al viso e alle braccia.

Cecchini era in preda a shock e ripeteva continuamente la stessa frase: "Mamma mia, ci ha presi in pieno... tutti morti, tutti morti..."

Li riportammo tutti nella loro buca che, comunque, era più sicura che non lo stare sdraiati allo scoperto a far da bersaglio al tiro dei mortai, e ci rendemmo conto che la bomba era esplosa pochi metri davanti alla buca, demolendo in parte la barriera di sacchi di sabbia e sbalzando via il fucile mitragliatore dalla sua feritoia.

Allora, a effetto ritardato, mi assalì la paura e sudai freddo al pensiero che, se i Russi fossero venuti all'attacco in quei momenti, avrebbero trovato la postazione sguarnita e avrebbero potuto agevolmente penetrare nel nostro settore, alle spalle delle altre postazioni.

Sfogai la mia paura sul sergente, minacciandolo di fucilazione per abbandono di posto, accusandolo di vigliaccheria e dicendogliene di tutti i colori. Povero Cecchini, che da borghese faceva il barbiere e che l'unico sangue che avesse mai visto in precedenza era la gocciolina che usciva dal graffio provocato dal rasoio di qualche suo lavorante maldestro, subito stagnata con la pietra di allume, con tante scuse, sul volto ben rasato del cliente. [...]

 

Al fuoco delle artiglierie russe si era intanto cominciato a rispondere dai nostri reparti al di là del fiume [Dnepr], con i mortai da 81; strano come fosse piacevole alle nostre orecchie il diverso, più cupo boato delle nostre bombe che andavano a esplodere sulle teste del nemico, laggiù tra le dune.

Infine le artiglierie tacquero e subentrò la sparatoria delle armi automatiche e dei fucili e la notte fu solcata da fischi rabbiosi e da luminose strisce colorate di pallottole traccianti, intersecantesi in tutte le direzioni.

Poco prima dell'alba si spensero anche gli ultimi colpi di fucile e ritornò il silenzio e, col silenzio degli uomini, si fecero riudire – incredibilmente normali e quieti – i suoni della natura: lo sciacquìo del fiume e il fruscìo del vento tra i rami spogli e gli arbusti.

 

 

Pubblichiamo questo brano in ricordo di Luciano Vigo, classe 1920, scomparso il mese scorso. Al Fronte Orientale come sottotenente dell'81° Reggimento Fanteria (Divisione Torino), gli fu concessa una licenza per esami universitari nell'estate 1942 e rientrò in Italia, rimanendo poi presso il Deposito del reggimento, a Roma. "Non prendere freddo" – titolo del libro di Luciano Vigo – furono le parole con cui la madre lo salutò al momento della partenza per la Campagna di Russia, nel luglio 1941.

 


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