Da Storie di alpini e di muli, Giuseppe Bruno, Edizioni L'Arciere, Cuneo, 1983
L'atmosfera che trovammo a Gomel' era un misto di rabbia, di stanchezza, di gioia per l'imminente rimpatrio... e anche di paura.
Paura, dalla quale anch'io non ero esente, di lasciare la pelle sotto i bombardamenti aerei nei giorni in cui già si allineavano sui binari della stazione i convogli del nostro ritorno; paura della morte improvvisa quando le mani stavano per aprire le porte in un vagone in procinto di mettersi in moto verso ovest.
Atmosfera di rabbia, soprattutto negli ufficiali che, più dei soldati, si rendevano conto della immane tragedia della ritirata e dell'improntitudine dei capi politici e militari di allora [...].
Ed erano frasi dure di fronte ai superiori, critiche aspre e senza sottintesi, gesti di insofferenza contro nuovi ordini.
Di questi diffusi e penosi stati d'animo fanno fede le parole di Gariboldi, comandante dell'8ª Armata in Russia, nella circolare n. 06/7360 emanata il 1° marzo [1943, n.d.r.] e che trascrivo integralmente:
Nelle mense e riunioni di ufficiali, nei comandi modesti ed elevati, si parla, si discute, si giudica, si critica e anche con enfasi cattedratica l'operato di Tizio e Caio, naturalmente in modo feroce, ma sempre senza cognizione di causa, quasi sempre senza la necessaria competenza.
E si tratta di azione verso superiori talvolta elevati, fino ai più elevati.
E, ancora peggio, ciò è tollerato e talvolta alimentato dai superiori presenti. In queste concioni ciascuno appare un eroe e un genio e gli altri inetti, colpevoli e peggio.
E la disciplina?
Non è dubbio che ciò risponda a disfattismo e, come accenno nella mia precedente, coinvolge responsabilità in chi parla e in chi tollera che entrano spesso nella sfera del penale; si menoma l'efficienza dell'Esercito, minando gravemente la fiducia nel superiore e quindi la gerarchia.
La cosa è estremamente grave e non ha bisogno di illustrazioni.
Prego provvedere energicamente ed evitarmi il vivo dolore di dover essere io a dare esempi di sanzioni che non potrebbero essere che gravi.
No, non erano disfattistiche le critiche, rispondevano alle verità degli eventi.
Troppo grande e ingiusto era stato il sacrificio per potere ancora ciecamente credere, obbedire combattere, per di più a fianco di un alleato che ormai odiavamo apertamente.