Da La mia scoperta dell'Italia e degli alpini 1942-2012, Alim Morozov, Kvarta, Voronež, 2012

 

La mia scoperta dell Italia e degli alpini 1942-2012 copertinaIl 14 gennaio [1943], giovedì, gli occupanti acquartierati nella città non mostrarono nessuna preoccupazione. Di sera molti di loro festeggiarono l'arrivo dell'anno nuovo secondo il vecchio calendario. Anche Tescari preparò una cena di festa per i suoi sergenti.

Quella sera rimasero seduti a tavola fino a tardi, chiacchierando animatamente e versandosi in continuazione nei bicchieri il vino rosso della botticella ricevuta ancora per Natale.

Si avvicinava la mezzanotte, quando verso la fine della loro serata cantarono tutti insieme O sole mio, e se ne andarono alle loro caserme. In quel momento nessuno dei sergenti avrebbe potuto pensare che già l'indomani la metà di loro non sarebbe potuta tornare a questi tavoli; e anche quelli a cui sarebbe riuscito di tornare si sarebbero seduti a essi per l'ultima volta. 

 

"Alzati, figliolo!" Nell'intonazione della voce di mia madre colsi subito un'ansia trattenuta e il mio sonno se ne volò via immediatamente. Nella stanza raffreddata dalla notte c'era ancora buio. Dietro le imposte non del tutte chiuse, sulla finestra coperta di brina della nostra camera da letto, si rifletteva il primo debole raggio dell'aurora.

E là, dietro le pareti della nostra casa, nelle vie della città [...] proveniva un fragore crescente [...]. Cos'era? Temporale e tempesta nel mezzo dell'inverno?

"Vestiti, presto.", incitava la mamma.

Io mi affrettavo, ma le mie mani tremanti non si infilavano nelle maniche della camicia. Vestendomi, tendevo l'orecchio a questi suoni confusi e, per questo, ancora più spaventosi. [...] in cucina, accanto alla brandina, sedeva il cuoco Tescari in pieno assetto di guerra: in cappotto, con la borsa antigas a tracolla, con l'elmetto e la carabina stretta tra i ginocchi.

Le pentole lavate accuratamente la sera prima ora accanto a lui sembravano cose inutili, estranee. Di solito a quell'ora il cuoco stava già attizzando il fuoco, correva al pozzo per l'acqua; ma ora, preso come noi dallo spavento, si trovava in tale stato di confusione che non riusciva ad attendere alle sue quotidiane faccende culinarie. [...]

Ognuno di noi stava teso ad ascoltare i rumori della battaglia. Gli spari dei fucili, gli scoppi dei proiettili e delle bombe ora si avvicinavano, ora si allontanavano.

Nelle pause tra le sparatorie si sentiva chiaramente il fragore dei motori dei carri armati.

Ma di chi fossero, questi carri armati, per noi abitanti della città che avevamo paura a lasciare le nostre case, non era possibile capire.

 

I sergenti che frequentavano la mensa a casa nostra [...] apparvero soltanto verso mezzogiorno. Messi insolitamente in subbuglio dagli avvenimenti, erano già in evidente stato di ubriachezza. Vennero correndo cinque o sei uomini. Dalle tasche sporgenti e dalle falde dei cappotti dei sergenti sbucavano bottiglie di vino, pacchetti, scatolette.

Fatta irruzione in sala e posati sul tavolo gli alimenti scovati chissà dove, senza spogliarsi pretesero da Tescari che portasse loro dei bicchieri.

Più ubriaco degli altri sembrava il mio antico avversario, il sergente dai sottili baffetti neri. Prima di sedersi a tavola tirò fuori [...] un pacchetto di gallette tedesche, le sparse sul pavimento e incominciò a calpestarle. Intanto gridava con stizza:

"I Tedeschi sono codardi, i Tedeschi sono vili codardi. Sono scappati, ci hanno abbandonato, ma noi siamo alpini! Noi da soli sconfiggeremo i Russi!" [...]

 

Oltre le pareti di casa si sentiva il calpestio di gente in fuga, accompagnato da grida d'allarme: "Carri armati! Carri armati! Carri armati russi!"

Rovesciando le sedie, lasciando cadere bottiglie e bicchieri dal tavolo sul pavimento, i sergenti si gettarono verso l'uscita. Anch'io strappai dall'appendiabiti il cappotto e corsi fuori [...]. Dopo l'oscurità delle stanze, strizzai gli occhi per il sole chiaro e quando li riaprii vidi a circa settanta metri tra le case un carro armato bianco-sporco, con la torretta voltata indietro. I sergenti ubriachi, chinatisi e saltando tra i mucchi di neve, correvano verso la macchina minacciosa.

Io non feci in tempo a guardare bene il carro armato, ma dalle dimensioni e dall'aspetto indovinai che si trattava di un nostro trentaquattro.

Dalla canna del carro armato brillava il fuoco, rimbombavano gli spari che sollevavano di colpo dalle pareti della casa vicina una nuvola di polvere di mattone. E subito [...] la macchina da guerra si mosse in direzione della stazione. [...]

 

La battaglia in città si smorzò gradatamente, e nella casa della Markovna apparvero i segni tipici di quella vita umana quotidiana abituale che nemmeno la guerra può fermare.

Qualcuna delle donne portò dalla baracca una bracciata di legna, accese la stufa, e subito in cucina le donne di casa si diedero da fare con le loro pentole. [...]

Per noi era insolito vedere il cuoco [Tescari], sempre affaccendato, stare seduto senza far niente. Era evidente che dava fastidio alle nostre cuciniere, ma nessuna si decideva a dirglierlo. Tutte capivano la sua condizione e, a quanto pare, ognuna delle nostre donne ne aveva compassione, a modo suo.

Inaspettatamente la guerra che aveva fatto irruzione a Rossoš' aveva disfatto il solito corso di vita del cuoco, e le sue colazioni, pranzi e cene all'improvviso avevano perso significato.

I sergenti che egli sfamava e dissetava ogni giorno non sarebbero più tornati nella loro mensa.

Dove fossero ora, cosa ne sarebbe stato di loro domani, Tescari non ne aveva idea.

 

 


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