Da Russia 1942-1946 – Memorie di guerra e di prigionia, Mario Gullino, Edizioni L'Arciere, Cuneo, 1992
La nostra colonna di circa duemila prigionieri era arrivata a Tambov, campo di raccolta e di smistamento, verso la metà di gennaio 1943.
Dopo poche ore dal nostro arrivo in treno ci diedero una buona minestra di pesce e in seguito, ormai era già buio, ci fecero andare a dormire in una grossa capanna sul pavimento della quale c’era molta sabbia; si andava a tentoni perché non c’era illuminazione e lo spazio era talmente poco che dovemmo coricarci uno sull’altro.
Così feci anch’io, mi coricai per terra e un altro militare mi si coricò addosso; dopo un po’, però, mi disse che aveva freddo e mi pregava di coricarmi addosso a lui; lo accontentai ma capii che era ferito, perché si lamentava continuamente e mi diceva di cambiar posizione.
Dopo, credo, due o tre ore non si lamentò più e mi addormentai; al mattino, quando ci fecero uscire, con quel poco di luce che c’era guardai chi era il mio compagno di sventura e lo trovai già irrigidito dalla morte, che credo fosse sopraggiunta quando il poveretto cessò di lamentarsi.
Per rendere l’idea di come i venti giorni di tremende sofferenze fisiche e morali avessero lasciato il segno sui pochi sopravvissuti, credo che basti citare questo fatto: il secondo giorno dopo il nostro arrivo al campo un sergente italiano mi domandò qualcosa che non ricordo più e, solo dopo aver parlato qualche tempo insieme, dalla voce mi riconobbe. Era un mio sottufficiale quando io ero al battaglione e ci eravamo separati tre mesi prima; in seguito, piangendo, mi confessò che andava a mangiare i nostri escrementi.