Da La mia scoperta dell'Italia e degli alpini – 1942-2012
Alim Morozov, Kvarta, Voronež, 2012
Subito prima del sorgere del sole un grosso bimotore passò sopra le nostre teste nel suo volo di carico. Evidentemente i piloti tedeschi volevano guardare più da vicino i risultati del loro lavoro di distruzione.
Il fragore dei motori a poco a poco si allontanò e scomparve. Gli scoppi delle bombe, le raffiche della contraerea non disturbarono più la calma del mattino a lungo attesa.
Sfiniti dalla tremenda notte insonne, ci trascinammo verso casa.
Dalla stazione all’ospedale già si affrettavano le autoambulanze e i normali camion. Anche se con timore, io comunque corsi verso l’accettazione per vedere cosa vi succedeva. Barelle insanguinate, bende sporche avvolte in fretta e furia sulle ferite, visi scuri ed emaciati di feriti.
In uno di loro riconobbi un conoscente, il macchinista Laptjov di Via Fevral’skaja.
Giaceva tranquillo con gli occhi chiusi. Il calzone intriso di sangue sopra il ginocchio era stretto da un laccio.
In seguito seppi che gli avrebbero amputato quella gamba.
Il giorno dopo gli aerei nemici cominciarono la loro nera opera già ai primi chiarori. In città correva la voce speranzosa che alla stazione era arrivato un treno blindato con armi contraeree.
Osservando come, avvicinandosi al villaggio, gli Junkers si riordinavano prima del bombardamento, io attendevo con impazienza il momento in cui li avrebbero colpiti quelli della nostra contraerea.
La distanza attutiva i loro spari, ma io riuscivo a vedere bene le nuvolette delle esplosioni di proiettili accanto agli aerei tedeschi.
“Perché non bruciano? Perché non cadono?”, mi chiedevo con stizza.