Da Hai veduto mio figlio?, Gino Zabeo, Tipografia Artigiana Mestre, 1952
Parte per l'Italia un primo contingente di prigionieri italiani. Sono tutti invalidi e ammalati. L'entusiasmo è grande. Affidiamo loro dei biglietti per le nostre famiglie, che da tre anni sono prive di notizie, come noi di loro. Fra gli abbracci, le strette di mano e i pianti per l'emozione, il gruppo si avvia all'uscita.
Qui vengono perquisiti e letteralmente spogliati di ogni minimo pezzetto di carta che portavano.
Cantando si avviano lungo la strada polverosa.
I notri occhi li seguono e il nostro cuore è vicino al loro.
[...] Passa così un mese, sembra che i giorni non abbiano più fine. Finalmente! Adunata generale, esclusi gli ufficiali. Mi permettono di portare con me alcuni volumi, dei giornali e la scatola che contiene gli indirizzi dei deceduti.
Gli ufficiali italiani rimasti e i Tedeschi ci guardavano con le lacrime agli occhi mentre ci allontanavamo. Ci volgemmo indietro. Il campo di concentramento si vedeva indistintamente e a poco a poco scomparve alla nostra vista.
È un mese che siamo in viaggio; dopo avere attraversato buona parte della Russia e della Polonia facciamo sosta a Francoforte sull'Oder. Da due giorni siamo fermi qui, vediamo passare senza interruzione intere tradotte di oggetti, i più vari: carrozzelle per bambini, biciclette, mobili, quadri, e perfino dei vasi da notte. E tutto viene portato in Russia. Di questa città è rimasta solo la chiesa, in piedi. Tutto dimostra i grandi combattimenti subiti. [...]
Dopo 38 giorni di viaggio possiamo finalmente bere il bel cielo azzurro d'Italia del quale da tanto tempo eravamo assetati. [...]
Siamo a Pescantina, mamme e spose ci chiedono supplichevoli, con le lacrime agli occhi "Hai veduto mio figlio? Era alpino della Tridentina...", "...era dell'81° Fanteria...", "... della Celere...", "... della Montebello, non ricordi? Non ricordi?"
Povere donne dal volto solcato da profonde rughe, dagli occhi infossati e rossi di pianto, vestite di nero, che errano dall'uno all'altro redivivo con fotografie sgualcite e ingiallite, bagnate di pianto... cercando come pazze il volto atteso. [...]
Si fruga nella mente, si guardano le fotografie che ci vengono mostrate, si riconosce qualcuno. [...]
Intanto le madri continuano il loro calvario: "Hai veduto mio figlio?"